Sassu Teresa
Terremotati e trafficati
2016/7, p. 29
Un anno fa un terribile terremoto devastò le zone centrali del paese himalayano. Alle vittime e alle distruzioni materiali, si aggiunge un pesante effetto sociale: l’inasprimento della tratta di esseri umani, che colpisce soprattutto donne e bambini.
Il Nepal a un anno dalla catastrofe
Terremotati
e trafficati
Un anno fa un terribile terremoto devastò le zone centrali del paese himalayano. Alle vittime e alle distruzioni materiali, si aggiunge un pesante effetto sociale: l'inasprimento della tratta di esseri umani, che colpisce soprattutto donne e bambini.
Incastonato tra India e Cina, il Nepal è una piccola gemma dell'Asia: protetto a nord dalle montagne più alte della terra e a sud dalle fertili pianure irrigate dal Gange, è culla di tradizioni millenarie, crogiolo di popoli ed etnie e fusione di lingue e tradizioni.
Quando si pensa allo stato himalayano, è naturale immaginare alpinisti che scalano l'Annapurna o l'Everest insieme agli sherpa, i pazienti portatori locali, lungo gli spettacolari sentieri montuosi, tinti del rosa dei rododendri in fiore. Ancora, si materializzano le immagini dei templi induisti e buddisti che decorano ogni angolo di Kathmandu. E l'atmosfera spirituale del vicino Tibet si fa inevitabilmente palpabile.
Eppure, sotto lo strato di magia che copre questa terra affascinante, si nascondono lati oscuri. Tra essi, una piaga che lo affligge da decenni e che sembra non guarire. Anzi, forse peggiora, assai rapidamente.
La società nepalese è infatti segnata in profondità dal traffico di esseri umani, il terzo business criminale più redditizio a livello mondiale, dopo i traffici di droga e di armi.
Migrazione
di massa
Il Nepal è tradizionalmente terra di emigranti, sia dalle zone rurali alle città, sia verso l'estero, specialmente verso l'India, i paesi del Golfo arabo e l'Africa. Il fenomeno della tratta ha radici lontane, che affondano nel Regno di Rama (1847-1951): già allora si verificavano casi di sfruttamento delle ragazze come domestiche, mentre il traffico di donne per fini sessuali nei bordelli indiani è iniziato negli anni Cinquanta del Novecento ed è continuato a crescere, tant'è che oggi le giovani nepalesi trafficate finiscono per lavorare come prostitute a Mumbai e in altre megalopoli dell'India.
Un po' com'è successo in Europa con la rivoluzione industriale, lo sviluppo delle industrie di tappeti, tessuti e scialli nella valle di Kathmandu, a metà degli anni Ottanta, ha favorito la crescita economica del Nepal, ma ha anche comportato conseguenze pesanti nella società. La migrazione di massa – specialmente di donne e bambini, privi di competenze e conoscenza del settore – dalle zone rurali a quelle urbane, ha fatto sì che molti si ritrovassero a lavorare in fabbrica, ma in condizioni misere e ricevendo magri salari. Anche molti lavoratori sono dunque vulnerabili allo sfruttamento e al traffico di esseri umani.
Il problema si è acuito, nel 2006, con la fine della guerra civile che per dieci anni aveva insanguinato il paese, opponendo governo e ribelli maoisti, i quali chiedevano di cacciare la monarchia e instaurare la democrazia. La fine del conflitto interno ha lasciato il paese in condizioni precarie e in una situazione politica estremamente instabile, cosicché tanti nepalesi hanno abbandonato le loro case per spostarsi nella capitale o all'estero.
Secondo Shakti Samuha, Ong di ex vittime di tratta, che opera per strappare donne e ragazze al traffico umano in India e Cina, quasi 200 mila sono le persone oggi ad alto rischio nel paese, anzitutto donne e bambine. I principali settori dello sfruttamento sono, oltre alla prostituzione, il lavoro domestico, il lavoro forzato (un esempio: gli operai impiegati nella costruzione delle infrastrutture per i Mondiali di calcio del 2022 in Qatar) e il commercio di organi.
Un Distretto
senza più donne
Il terremoto devastante che ha colpito in Nepal un anno fa, il 25 aprile 2015, causando circa 8.700 morti, ha ovviamente aggravato questo quadro sconsolante, anche se non esistono ancora evidenze statistiche a conferma. Dei 14 distretti più colpiti dal sisma, sei sono particolarmente sensibili al fenomeno della tratta, nella zona centrale e montuosa del paese. Da qui le vittime si dirigono verso Kathmandu (dove vengono impiegate in locali notturni o ristoranti e spesso, sotto minaccia, costrette a prostituirsi) o Pokhara, località nota per la sua splendida vista sull'Ama Dablan, il "Cervino dell'Himalaya". Da queste due città partono autobus diretti a Nuova Delhi, capitale dell'India, colmi di persone trafficate, destinate in parte al "mercato interno" indiano, in parte all'estero.
Altra zona soggetta al traffico è il vulnerabile confine indo-nepalese. Qui è difficile distinguere tra chi è vittima di tratta e chi si sposta liberamente. Sia gli indiani che i nepalesi, infatti, possono transitare senza visto. Purtroppo, la polizia di frontiera non è attenta e preparata ad affrontare la situazione, non ci sono procedure standard per i controlli, senza contare gli alti livelli di corruzione e i ritardi della giustizia. Non sembrano esserci dati certi su quali etnie cadano più facilmente nella rete del racket. È interessante che il gruppo etnico emarginato dei Chepang, che vive delle proprie scarse risorse nelle zone semi-montane a sud di Kathmandu, si mantenga estraneo al fenomeno, per via dell'isolamento sociale e geografico. A volte la natura salva da situazioni sociali problematiche.
D'altro canto in un distretto del Nepal settentrionale, per la maggior parte popolato da Tamang, non ci sono praticamente più donne, perché sono tutte all'estero, a lavorare nei bordelli indiani. In questa parte del paese, chi nasce donna ha il destino segnato: a partire dai 12 anni, verrà trafficata dalla propria famiglia, affinché lavori e permetta ai familiari di costruire una bella casa.
Gli espianti
dei dalit
Generalmente, il trafficante ottiene la fiducia della vittima e le offre di spostarsi in un luogo nuovo, dove prospetta ottime opportunità di una vita migliore. Siccome il reclutamento si basa sulla fiducia, spesso i trafficanti sono della stessa nazionalità delle vittime. Ciò complica l'analisi dell'andamento dei profitti: una piccola percentuale finisce per le spese giornaliere dei trafficanti; un'altra ritorna al paese di origine dei trafficanti sotto forma di rimesse. La maggior parte del guadagno finisce in altre attività criminali: riciclaggio di denaro, traffico di droga, documenti falsi, corruzione delle autorità di governo. Non esiste una mafia vera e propria che si spartisca i territori, ma la rete è capillare, coinvolge governi e polizie, e le persone implicate sono moltissime. Gli stessi familiari delle vittime, più o meno ingenuamente, giocano un ruolo attivo.
Anche in Nepal, il reclutamento avviene a livelli diversi: c'è chi adesca le vittime, pubblicizzando lavori ben retribuiti, e chi innesca un passaparola, che oggi fa presa soprattutto su coloro che hanno perso tutto a causa del terremoto. Le vittime sostengono inoltre veri e propri colloqui, alla fine dei quali ottengono un contratto di lavoro, passaporto, visto e altri documenti necessari per il viaggio. Tutto rigorosamente falso. Una volta arrivate a destinazione, le donne vengono infatti abusate e capiscono di essere state ingannate: finiranno a lavorare nei bordelli indiani o come domestiche per poter pagare il debito contratto con i trafficanti, subendo intimidazioni e violenze. Altre volte vengono vendute dopo essere state ingannate con false promesse di matrimonio, o direttamente a uomini cinesi e coreani molto più anziani o diversamente abili.
Anche i bambini sono coinvolti nei giri della prostituzione e nei lavori domestici, e inoltre nella produzione di mattoni, nelle officine meccaniche, nelle fabbriche di tappeti e nei baracchini del tè. Lavorano in ambienti malsani, senza un'adeguata alimentazione, con una scarsa remunerazione (quando c'è).
Coloro che riescono a salvarsi grazie all'intervento provvidenziale delle Ong che perlustrano le zone di confine o della polizia, vengono inclusi in programmi di riabilitazione ad hoc e, dopo sei mesi o un anno, reinseriti nel contesto familiare. Questa è la parte più delicata del programma di salvataggio, perché le vittime spesso vengono stigmatizzate dalla comunità e il rischio di ricadere nel circolo della tratta è elevatissimo. Sono necessari continui monitoraggi e dialoghi con la famiglia di origine, da parte del personale delle organizzazioni che operano nel settore. La privacy deve essere mantenuta, onde evitare emarginazione e stigma. Capita anche che le vittime non vogliano tornare a casa, per paura della violenza domestica, di matrimoni precoci e di altri generi di abusi.
Lo spartiacque tra la libera scelta di finire nelle mani di trafficanti e la forzatura è molto sottile. C'è chi per disperazione, povertà o assenza totale dello stato sociale, decide volontariamente di vendersi. E c'è chi viene sequestrato e privato dei propri organi a sua insaputa. Spesso, le vittime vengono ingannate con false promesse e disinformazione sulle conseguenze fisiche di un espianto; solitamente appartengono alle fasce più emarginate della popolazione, hanno un basso livello di istruzione e non hanno facilità di accesso alle risorse (è il caso dei dalit, casta sovente trafficata per questo fine). Anche in questo caso, l'India è il paese di destinazione.
Cruciale
fare prevenzione
Le cause del fenomeno sono molteplici: si va dalla povertà alla violenza domestica, passando per la forte discriminazione di genere. Nascere donna in Nepal non è una fortuna, anzi... Antiche e radicate tradizioni sociali acutizzano la disparità tra i sessi e le donne sono costantemente esposte a ogni forma di abuso.
In compenso, in Nepal sono molte le organizzazioni non governative locali e internazionali e le associazioni della società civile, incluse diverse congregazioni religiose cristiane, che da un paio di decenni lavorano a stretto contatto con le vittime di abusi e di tratta in diverse aree del paese, dal Terai all'Ovest, concentrando le forze nella parte centrale, affetta gravemente dal sisma dello scorso anno.
Caritas Nepal, insieme alle Sorelle del Buon Pastore e alle Sorelle dell'Adorazione, conduce diversi progetti, finalizzati a ridurre l'abominevole fenomeno del traffico, specialmente quello di donne e bambini.
Gli approcci sono comuni a tutti gli attori interessati, e si concentrano principalmente sull'educazione delle comunità – rivolta specialmente a giovani e donne – e sulla prevenzione del traffico di esseri umani legato alla migrazione e alla ricerca di un lavoro dignitoso. Molti corsi di formazione vengono rivolti alle comunità, agli insegnanti e alle famiglie.
Le Ong locali e internazionali e la Chiesa operano affinché i soggetti a rischio prendano coscienza delle trappole che si nascondono dietro le promesse di un lavoro facile all'estero e vengano messi a conoscenza delle procedure burocratiche legali per poter migrare consapevolmente e in sicurezza.
Parallelamente, forniscono accompagnamento (dal rilascio del passaporto e del visto a corsi per imparare un nuovo mestiere) alle persone che decidono di partire per lavorare in un altro paese. Infine – attività non meno importante – agiscono per promuovere i diritti umani, con particolare attenzione a quelli dei bambini, incoraggiare le pari opportunità e sensibilizzare le comunità (specialmente quelle rurali e isolate) sul tema della violenza domestica.
Nonostante l'importanza che viene data alla prevenzione della tratta e alla presa di coscienza delle sue cause, la spirale velenosa che alimenta tale mercato illecito resta difficile da scardinare. Nonostante le battaglie, l'intenso lavoro sul campo, le centinaia di bambini e donne che ogni anno vengono tratti in salvo, la strada da percorrere sarà lunga e irta di ostacoli. Il terremoto ha reso la battaglia ancora più aspra. Se riguarderà solo i muri, e non anche diritti e dignità di tutti i suoi cittadini, il Nepal non potrà mai dire di aver vinto la sfida della ricostruzione.
Teresa Sassu