Hubaut Michel
Vita spirituale e preghiera
2016/7, p. 22
La preghiera è il fondamento e l’origine di tutta la vita spirituale. Ma la preghiera non è qualcosa che si “fa”, bensì accoglienza di una Presenza ed espressione del desiderio di Dio che lo Spirito suscita nei nostri cuori. È l’incontro con Dio che è Amore.
Docili alle ispirazioni dello Spirito
VITA SPIRITUALE
E PREGHIERA
La preghiera è il fondamento e l’origine di tutta la vita spirituale. Ma la preghiera non è qualcosa che si “fa”, bensì accoglienza di una Presenza ed espressione del desiderio di Dio che lo Spirito suscita nei nostri cuori. È l’incontro con Dio che è Amore.
Entra nell’intimo della tua anima, allontana tutto da te, eccetto Dio o ciò che può aiutarti a cercarlo; chiudi la porta e mettiti alla ricerca. “Ora parla, mio cuore, apriti e di’ a Dio: Cerco il tuo volto; il tuo volto Signore io cerco” (Sal 26,8)
(S. Anselmo, vescovo sec. XII)
Desiderio di Dio
La vita interiore è una paziente rinascita spirituale, un cammino interiore durante il quale, a poco a poco, passiamo dal nostro io biologico, centrato su noi stessi, tutto attraversato da passioni e pulsioni, all’uomo animato dallo Spirito, aperto al mistero di Dio. Un “passaggio” del genere avviene, in buona parte, nella misura in cui diventiamo persone di preghiera. La preghiera è sempre sorgente di vita interiore, componente essenziale di questa nascita spirituale che è un decentrarsi da se stessi per diventare, poco alla volta, un figlio sotto lo sguardo del Padre e fratello e sorella di tutti. È sempre difficile un passaggio dall’io possessivo, chiuso in se stesso, all’alterità, al dono di sé.
“Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida Abbà, Padre!” (Gal 4,6).
La prima condizione per osare di intraprendere l’avventura della vita interiore è di avere la convinzione che sono abitato da questo Spirito che non procede da me, dalle mie forze, ma che accolgo come un dono di Dio. Questo Spirito è desiderio di Dio in me. Non sarò mai una persona di preghiera pensando che essa è frutto della “mia” attività. È essenzialmente attività dello Spirito in me. Dio non si convoca, non si possiede, ma lo si accoglie. Non si “fa” preghiera, ma ci si apre a una Presenza. Pregare è accogliere, ascoltare ciò che lo Spirito mormora dentro di me. Egli è la fonte di questo dialogo di amore filiale con quel Dio che Gesù ci rivela come Padre: “Non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
Il mio cuore è il luogo in cui lo Spirito sgorga e prega in me. Lo Spirito, senza dubbio, agisce attraverso i miei desideri umani, le mie aspirazioni, la mia intelligenza, l’impulso dei miei sentimenti, l’involucro delle mie parole, ma non si confonde con tutto questo. Egli viene da “altrove”. È più grande delle mie impressioni o dei miei sentimenti fragili ed effimeri. La mia preghiera non può essere misurata dalla ricchezza del mio vocabolario. La sua autenticità si misura dall’apertura, dalla disponibilità del mio cuore allo Spirito.
“Ecco sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).
Con la preghiera posso aver l’impressione di bussare alla porta della casa di Dio, mentre sono io che gli apro la porta. La preghiera è l’espressione del mio desiderio che si apre a Dio. “È il desiderio stesso ad essere la tua preghiera. Ma, in Dio, il desiderio di dare è più forte del nostro desiderio di ricevere”, diceva sant’Agostino. Il desiderio è uno dei motori della vita di preghiera. In realtà, essa è l’incontro di due desideri. È lo Spirito che suscita in noi il desiderio della preghiera. Lo Spirito fa sì che io percepisca che Dio non è una presenza immaginaria, una proiezione soggettiva, ma un Amore vivo, creatore. È un Amore che umanizza, personifica e divinizza l’uomo. Pregare è accogliere un Dio il cui amore non mi aliena, ma mi libera, mi struttura, mi costruisce, mi crea mediante l’azione del suo amore.
Come possiamo accogliere il dono dello Spirito, udire il mormorio di questa sorgente nel nostro cuore se non coltivando il silenzio che ci avvicina a questo Altro? La qualità dei miei rapporti con gli altri dipende dal mio radicamento nel “silenzio abitato”. Non bisogna confondere la solitudine che può essere suicida con il “silenzio abitato”. La preghiera, in effetti, è anzitutto un silenzio abitato, molto più che una “pratica” di pietà. Non basta che la persona sia calma fisicamente e psicologicamente per camminare sulle strade della vita interiore. È necessario, piuttosto, accogliere la sorgente gorgogliante dello Spirito. Dio è presente in tutti i luoghi, in città come nel deserto, in cucina dove si prepara da mangiare come in cappella. È nel silenzio del cuore che impariamo a discernere questa Presenza, a percepire i suoi passi nella brezza soave al tramonto di tutti i nostri giorni.
Il Signore Dio
cerca l’uomo
In maniera poetica e simbolica l’autore del libro della Genesi descrive un dialogo tra Dio e l’uomo: “Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l'uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: "Dove sei?" (Gen 3,8).
Siamo noi, oggi, Adamo ed Eva. Come loro anche noi siamo tentati di mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, vale a dire, di voler decidere che cos’è il bene e il male per noi, mettendoci al centro, al posto di Dio.
Adamo, dove sei?” Dio per primo vuole trovarci. Nonostante i nostri fuorviamenti, egli continua a invitarci al dialogo. Sappiamo per esperienza che esiste dentro di noi un conflitto permanente tra il figlio di Adamo che vuole fare la vita da solo, che pensa di bastare a se stesso e prende la distanza da Dio, e questo Spirito che, in noi, è alla ricerca della fonte della vita, aspira a Dio e grida segretamente: “Abba! Padre”.
L’uomo è fatto di polvere della terra e di un soffio spirituale. Una spessa polvere e un soffio fragile. “Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l'uomo divenne un essere vivente” (Gen 2,7).
Questo soffio di Dio, questa scintilla divina che ci abita è la fonte di questo richiamo lancinante, di questo desiderio di amare e di essere amato, di vivere eternamente. Ma, come Adamo, fuggiamo da Dio, ci nascondiamo e ci sottraiamo alla sua chiamata. Ci nascondiamo nell’agitazione delle attività che compiamo, nel torpore spirituale di una vita mediocre, o come diceva Pascal, nelle innumerevoli distrazioni. In maniera sottile possiamo perfino nasconderci dietro le pratiche di pietà senza tenerci aperti alla chiamata del Signore che ci cerca nel giardino interiore del nostro cuore.
Il cuore dell’uomo,
tempio di Dio
Tutta la rivelazione biblica è essenzialmente un apprendistato multisecolare del dialogo tra Dio e l’uomo. Essa raggiunge il suo culmine in questo versetto di Giovanni: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Questa dimora è il nostro cuore in cui possiamo “adorare il Padre in spirito e verità”. San Paolo scrive: “... vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati nell'uomo interiore mediante il suo Spirito e il Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, e così, siate radicati e fondati nella carità” (Ef 3,16ss).
Paolo, fariseo convinto, tanto rispettoso del tempio, entusiasmato da questa rivelazione del cristianesimo osa scrivere ai suoi fratelli: “Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi”. (1Cor 3,16-17).
Completamente affascinato dal Cristo trasfigurato lungo la strada, Paolo comprese che i templi di Delfo, Atene, Gerusalemme, le nostre cattedrali e le nostre piccole chiese sono solo dei segni di questa realtà nuova. A partire da allora ogni uomo che, nel silenzio, abita il proprio cuore, possiede le condizioni per ascoltare il mormorio di Dio, per accogliere lo Spirito di Cristo vivo e partecipare così al dialogo eterno del Padre e del Figlio.
Quale grande rivelazione! Essa illumina tutta la storia della creazione e del destino dell’uomo. È il fondamento che rende possibile un’autentica vita interiore. L’uomo non è un semplice tubo digerente con entrata e uscita, un aggregato di carne, di muscoli, globuli e cellule. Non è frutto del caso. Non è un animale nato per consumare, riprodursi e morire. È stato creato per essere santuario di Dio. Questo è il vertice della rivelazione giudeo-cristiana. Tutte le religioni che cercano a tentoni Dio possono trovare in essa il loro orientamento.
Pregare è, quindi, abitare la casa del nostro cuore dove Dio sempre ci precede. Pregare è rendersi presente a questa presenza di Dio. Non è necessario rappresentarla attraverso un’immaginazione creativa, ma accoglierla nel silenzio della fede. L’uomo non potrà essere presente con i suoi atti, parole, relazioni e silenzi senza abitare il proprio cuore!
Imparare
ad abitare il cuore
“Insegnami a cercarti e mostrati quando ti cerco: poiché non posso cercarti se non mi insegni, né trovarti se non ti mostri. Fa’ che desiderando io ti cerchi, cercando ti desideri, amando ti trovi e trovandoti ti ami” (S. Anselmo).
Il paradosso dell’uomo moderno è di possedere le condizioni per esplorare i pianeti, la luna e le stelle, investigare i meandri del cervello, sondare le profondità degli oceani, controllare i meccanismi della vita, allontanare la morte, ma ha smarrito la strada del proprio cuore. L’uomo moderno è come un bambino coperto di regali ma che non sa dove si trova la sua casa. È diventato estraneo a se stesso, esiliato nella periferia del suo essere. Saper abitare il silenzio è il segreto della felicità.
È nel suo cuore che l’uomo impara ad amarsi, a meravigliarsi di essere vivo, nota fragile, ma essenziale nella sinfonia della vita. Come poter amare gli altri quando non si ama se stessi, quando la persona non si sente amata con tutto l’amore del Creatore? La preghiera getta le radici nell’iniziativa di un Dio amore che desidera crearmi, farmi crescere e arricchirmi di tutti i beni, amandomi. L’amore al silenzio conduce al silenzio dell’amore. Pregare è lasciarsi amare, lasciarsi plasmare da Dio a misura del suo amore. “Dio mi inventa ogni giorno con me stesso”, diceva Emmanuel Mounier.
Un gran numero di uomini e di donne, santi conosciuti e credenti anonimi, hanno vissuto l’esperienza di questa presenza dello Spirito che ci abita e anima, di questa misteriosa facoltà interiore che la tradizione biblica chiama cuore, che designa la parte più intima della persona umana, e a volte chiamiamo anima. Il nostro cuore o anima è questa profondità intima del nostro essere in cui il Signore insufflò il suo soffio di vita, il suo stesso Spirito.
Pregare è, anzitutto, risvegliare questa facoltà interiore, spirituale che costituisce, senza dubbio, il dono più bello e discreto del Creatore alle sue creature. Una facoltà interiore che sta al centro dell’uomo, ma che spesso è sepolta. Questa facoltà è più che una semplice intuizione o emozione passeggera. Si tratta di una capacità permanente di entrare in contatto con Dio. Ogni uomo, siccome nessuna religione ha il monopolio o l’esclusività dello Spirito di Dio, possiede questa facoltà interiore, questo cuore capace di entrare in relazione con Dio poiché in esso il Signore ha deposto il suo “soffio”.
Perché tante persone sembrano ignorare o non godono di cercare questo dialogo, di praticare la preghiera? Sono molte le ragioni. Spesso hanno dei concetti sbagliati di Dio: un Dio lontano, vago, impersonale, freddo! Nessuno dialoga con un essere astratto di cui non si capisce perché dovrebbe interessarsi della nostra vita di tutti i giorni. Altri rifiutano un Dio che ritengono alienare la loro libertà mediante comandi arbitrari, puramente esteriori. Non esiste possibilità di preghiera con queste caricature di Dio.
C’è un’altra ragione che può spiegare la difficoltà dell’uomo moderno riguardo alla preghiera: egli non sa più di possedere questa qualità interiore che gli consente di entrare in contatto con il Signore. Ha smarrito la strada del suo cuore. Non sa più che in lui esiste questa cripta interiore, in cui lo Spirito Santo mormora. Molti uomini e donne non hanno mai avuto coscienza di questo tesoro interiore semplicemente perché nessuno li ha guidati a conoscerlo, risvegliandoli al dialogo con Dio. Come ogni facoltà nella vita se non è esercitata si atrofizza, lo stesso avviene con la facoltà interiore che giunge fino a sclerotizzarsi.
La preghiera cristiana suppone la scoperta di Dio come dinamismo di Amore creatore che rispetta infinitamente la sua creatura. Lo Spirito si unisce al nostro spirito, scrive san Paolo. Lo Spirito illumina la mia intelligenza, fortifica la mia volontà, infiamma il mio cuore senza mai sostituirsi alla mia libertà.
Unità perduta
e ritrovata
Il dialogo tra Dio e l’uomo è difficile non soltanto per i limiti naturali, ma anche per il dramma misterioso del peccato. Il desiderio dell’uomo, invece di accogliere l’amore gratuito di Dio, è stato di cercare se stesso. Il nostro cuore, come dice san Paolo, è diventato ottuso, tardo e ottenebrato.
La Bibbia mostra che l’uomo peccatore è incapace di ascoltare la voce di Dio e di vivere questo dialogo di amore nell’Alleanza. Tutte le sue pagine sono attraversate dalla promessa del dono dello Spirito: “Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; io vi purificherò da tutte le vostre impurit�� e da tutti i vostri idoli, vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo” (Ez 36,25-26). “Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete (...) Farò con loro un'alleanza eterna” (Ez 37,14.26).
Noi cristiani crediamo che Cristo ha realizzato questa promessa. Ha dato all’uomo un cuore nuovo capace di accogliere lo Spirito di Dio. Giovanni ha compreso bene questo momento decisivo del cambiamento di direzione nelle relazioni tra il Dio dell’alleanza e l’uomo. Mette sulle labbra di Gesù queste mirabili parole: “Viene l'ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Ma viene l'ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano” (Gv 4,21-23).
Per Giovanni, se Gesù è venuto, ha sofferto, è morto ed è risorto fu per reintrodurci nel dialogo intimo con il Padre suo. Ha guarito, purificato e ri-orientato il cuore dell’uomo. Egli è l’Alleanza fatta carne. Non è senza ragione che, simbolicamente, nel momento della morte di Cristo – la sua ora – i Vangeli dicono che il velo del tempio – del Santo dei Santi – dove soltanto il sommo sacerdote poteva entrare una volta all’anno, si lacerò da cima a fondo. Immagine simbolica per dire che Cristo trasfigurato dà a ciascun uomo la possibilità di entrare in una relazione filiale con Dio e accedere al suo Regno di vita eterna.