Dall'Osto Antonio
Discepoli di gesù compassionevole e misericordioso
2016/7, p. 20
Nella Festa del Corpo e Sangue di Cristo celebriamo l’amore di Dio che, nel sacramento dell’eucaristia, ci ha rivelato la pienezza del suo amore compassionevole. Con lui ci nutriamo sedendoci alla tavola con i fratelli per fare di noi una sola cosa mangiando lo stesso pane. Con lui ci identifichiamo facendo nostro il suo progetto salvifico: il progetto di una cultura della compassione e della vita donata nel servizio.
Discepoli di Gesù compassionevole e misericordioso
Questa riflessione è tratta in forma abbreviata dal Messaggio dei vescovi della Commissione episcopale spagnola di Pastorale sociale per la Festa del Corpo e Sangue di Cristo, giornata nazionale della carità (29 maggio 2016)
(...) Nella Festa del Corpo e Sangue di Cristo celebriamo l’amore di Dio che, nel sacramento dell’eucaristia, ci ha rivelato la pienezza del suo amore compassionevole. Con lui ci nutriamo sedendoci alla tavola con i fratelli per fare di noi una sola cosa mangiando lo stesso pane. Con lui ci identifichiamo facendo nostro il suo progetto salvifico: il progetto di una cultura della compassione e della vita donata nel servizio.
Alla radice di tutta la vita e attività di Gesù c’è il suo amore compassionevole. Egli si avvicina a coloro che soffrono, lenisce il loro dolore, tocca il lebbroso, libera i posseduti dal male, li riscatta dall’emarginazione e li restituisce alla convivenza. Tra coloro che seguono Gesù ci sono i diseredati che non hanno il necessario per vivere: vagabondi senza tetto, mendicanti che vanno da un villaggio all’altro, braccianti senza lavoro o con contratti precari, affittuari sfruttati, vedove senza un reddito minimo né sicurezze sociali, donne obbligate a esercitare la prostituzione. Sono gli esclusi, le persone vulnerabili, gli esclusi di ieri... e quelli di oggi.
Per questo noi, davanti a Gesù Eucaristia vogliamo rinnovare la nostra unione con lui e la nostra sequela, e lo facciamo mantenendo vivo il suo progetto compassionevole come ci chiede papa Francesco: «In questo Anno Santo, potremo fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. Quante situazioni di precarietà e sofferenza sono presenti nel mondo di oggi! Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi» (MV, 15).
Di fronte all’esclusione una cultura della compassione
Contemplando il mistero dell’eucaristia e configurati ad essa scommettiamo su una cultura della compassione. Una cultura con dei tratti che la identificano e dell’implicazioni pratiche che vogliamo segnalare.
1. Stare attenti. La compassione nasce dal tenere gli occhi aperti per vedere la sofferenza degli altri e orecchi per ascoltare il loro grido. Perciò «apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto» (MV, 15).
2. Farci prossimi. È un criterio che papa Francesco sottolinea: «La prossimità e il servizio, ma la prossimità, la vicinanza!» (Discorso ai sacerdoti di Roma, 6 marzo 2014). «Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità» (MV, 15).
3. Andare incontro. « (il cammino della Chiesa è) non solo accogliere e integrare, con coraggio evangelico, quelli che bussano alla nostra porta, ma uscire, andare a cercare, senza pregiudizi e senza paura, i lontani manifestando loro gratuitamente ciò che noi abbiamo gratuitamente ricevuto» (Omelia ai nuovi cardinali, 15 febbraio 2015).
4. Curare le ferite. «Davanti alla sofferenza non basta indignarsi. Nemmeno basta accogliere. Bisogna curare le ferite, lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e la debita attenzione» (cf. Discorso ai sacerdoti).
5. Accompagnare. «La vera misericordia si fa carico della persona, l’ascolta attentamente, si accosta con rispetto e con verità alla sua situazione, e l’accompagna nel cammino della riconciliazione. E questo è faticoso, sì, certamente. Il sacerdote veramente misericordioso si comporta come il Buon Samaritano». (ib).
6. Lavorare per la giustizia. “Pratica la giustizia, ama la misericordia e cammina umilmente con il tuo Dio” (Mi 6,8). Questo prezioso messaggio del profeta Michea è raccolto dalla Caritas nel tema della sua campagna istituzionale Vivi la carità, pratica la giustizia, ricordandoci così che la prima esigenza della carità è la giustizia.
La cultura della compassione implica l’esigenza di vivere alcuni atteggiamenti concreti.
In primo luogo la libertà:
«La logica dell’amore che non si basa sulla paura ma sulla libertà, sulla carità, sullo zelo sano... Gesù, nuovo Mosè, ha voluto guarire il lebbroso, l’ha voluto toccare, l’ha voluto reintegrare nella comunità, senza “autolimitarsi” nei pregiudizi... Egli non pensa alle persone chiuse che si scandalizzano addirittura per una guarigione, che si scandalizzano di fronte a qualsiasi apertura, a qualsiasi passo che non entri nei loro schemi mentali e spirituali» (Omelia ai nuovi cardinali del 15 febbraio 2015).
«In secondo luogo superare la logica della legge ed entrare in quella della misericordia: «Anche oggi accade, a volte, di trovarci nell’incrocio di queste due logiche: quella dei dottori della legge, ossia emarginare il pericolo allontanando la persona contagiata, e la logica di Dio che, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie reintegrando e trasfigurando il male in bene, la condanna in salvezza e l’esclusione in annuncio... la carità non può essere neutra, asettica, indifferente, tiepida o imparziale!» (Ib).
Infine, verificare l’autenticità del nostra culto nella pratica della giustizia e della compassione. Gesù mette il centro della vera religione nel campo della compassione.
In due occasioni, Matteo riprende (cf. 9,9.34) questa citazione di Osea. “Misericordia voglio non sacrifici”.
Con questa espressione Gesù non rifiuta il culto, ma la falsità, l’inganno, la manipolazione e chiede un culto vero che passa necessariamente attraverso la giustizia e la compassione.
La Chiesa comunità di amore
La Chiesa, dove è presente, è chiamata ad essere “un’oasi di misericordia” (MV 12). Invochiamo l’aiuto del Signore: Donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli; infondi in noi la luce della tua parola per confortare gli affaticati e gli oppressi. Fa che ci impegniamo lealmente al servizio dei poveri e dei sofferenti. La tua Chiesa sia testimonianza viva di verità e di libertà, di giustizia e di pace, perché tutti gli uomini si aprano alla speranza di un mondo nuovo” (Preghiera eucaristica, Vc).