Misericordia e VC al bivio
2016/7, p. 18
Se la persona si lascia modellare dalla misericordia di Dio,
raggiunge la piena consapevolezza di sé in quanto creatura
e ritrova il vero ben-essere vocazionale, come
realizzazione di un progetto di amore che si traduce in
dedizione gratuita e disinteressata verso gli altri.
Aspetti psicologici e spunti educativi
MISERICORDIA E VC
AL BIVIO
Se la persona si lascia modellare dalla misericordia di Dio, raggiunge la piena consapevolezza di sé in quanto creatura e ritrova il vero ben-essere vocazionale, come realizzazione di un progetto di amore che si traduce in dedizione gratuita e disinteressata verso gli altri.
«Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth». Anche i religiosi e le religiose sono chiamati a condividere questa misericordia viva e visibile, frutto di una comunione profonda con Cristo, che si riflette nel servizio ai fratelli a cui sono inviati in virtù del loro specifico carisma.
Con questa prospettiva ogni risposta vocazionale diventa fedeltà all’amore di Dio, una fedeltà che orienta il cammino di crescita umano-spirituale di quanti si mettono in ascolto della chiamata del Signore. Nella vita consacrata in particolare tale continuità porta a valorizzare il senso permanente delle proprie scelte, ma anche a riscoprire nel dubbio e nell’inquietudine dell’esistenza la forza che spinge a ricominciare ogni giorno daccapo, nella certezza che il modo migliore per vivere la propria vocazione è di rendere tangibile l’amore di Dio nel servizio misericordioso verso i fratelli.
In questo cammino di rinnovamento ogni persona consacrata è chiamata a cogliere il senso di una misericordia riconosciuta come dono, che impegna ad un itinerario di conversione continua, per uscire da se stessi ed aprirsi alle tante periferie esistenziali che attendono di condividere la ricchezza di tale realtà spirituale.
Una misericordia
“contagiosa” e perseverante
Vista così, la misericordia diventa non più un fatto occasionale o un evento straordinario ma uno stile di vita, in cui l’incontro affettivo ed empatico con l’altro viene percepito come condivisione vivificante della vita buona del Vangelo. Si tratta di un dono ricevuto, che diventa esperienza di rinnovamento, attraverso «il quotidiano paziente passaggio dall’“io” al “noi”, dal mio impegno all’impegno affidato alla comunità, dalla ricerca delle “mie cose” alla ricerca delle “cose di Cristo».
Vivere la misericordia con questa prospettiva di conversione reciproca è un lavoro in continuo divenire, a cui ci si forma con amorevole pazienza. «Un compito che richiede persone spirituali forgiate interiormente dal Dio della comunione amorevole e misericordiosa, e comunità mature dove la spiritualità di comunione è legge di vita».
Inoltre si tratta di una esperienza che coinvolge emotivamente e, soprattutto, concretamente. Infatti, «la misericordia di Dio non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio figlio. È veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”. Proviene dall’intimo come un sentimento profondo, naturale, fatto di tenerezza e di compassione, di indulgenza e di perdono».
Per i consacrati e le consacrate si tratta di una misericordia resa operativa attraverso la loro capacità di uscire dalle proprie sicurezze per andare incontro alla diversità – non sempre rassicurante e gratificante – del fratello. Riscoprire ciò permette loro di trasformare il desiderio a volte idealizzato di vivere appieno la propria consacrazione, in uno stile di vita fatto di misericordia “contagiosa” e perseverante perché forgiata nella Schola Amoris dei rapporti interpersonali.
Verso una misericordia
relazionale
La dimensione relazionale della misericordia è una grande opportunità per la crescita individuale e comunitaria, perché è nel rapporto con gli altri che la persona può far fruttificare gli aspetti di valore che riconosce dentro di sé.
Ma sono soprattutto le relazioni ricche di reciproca misericordia che aiutano a riscoprire quella «giovinezza dello Spirito che permane nel tempo» e si traduce in un modo del tutto rinnovato di vivere la solidarietà fraterna. Rivalutare la centralità dei rapporti interpersonali permette quindi di dare un significato realistico ai propri sforzi di vivere una comunione che tenga conto della diversità di ogni persona.
Pertanto la misericordia non passivizza la persona, ma anzi riattiva in essa il desiderio di autenticità che caratterizza la vita di chi ha aderito alla chiamata di Dio con il proprio “sì” quotidiano. È un modo di guardare al bene del fratello volgendo lo sguardo a Colui che è la sorgente di ogni bontà, facendo delle scelte che cambiano e a volte anche sconvolgono la propria vita, come ci racconta papa Francesco commentando l’incontro tra Gesù e Matteo.
«Passando dinanzi al banco delle imposte gli occhi di Gesù fissarono quelli di Matteo. Era uno sguardo carico di misericordia che perdonava i peccati di quell’uomo e, vincendo le resistenze degli altri discepoli, scelse lui, il peccatore e pubblicano, per diventare uno dei Dodici. San Beda il Venerabile, commentando questa scena del Vangelo, ha scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo scelse: miserando atque eligendo. Mi ha sempre impressionato questa espressione, tanto da farla diventare il mio motto».
Quindi, non è un automatismo spirituale ma un coinvolgimento operativo che porta a guardare l’altro con lo stesso sguardo misericordioso di Cristo. Perciò ogni amore misericordioso è un amore diretto, direzionato, orientato… Questa capacità intenzionale è parte integrante dell’essere consacrati, così come è alla base del benessere psicologico profondo di ogni essere umano che volge lo sguardo verso gli obiettivi di senso della propria esistenza, e si apre ad un modo diverso di vivere la comunione fraterna.
Quando la misericordia
diventa un optional
“È possibile essere misericordiosi nella tua comunità?”, chiedeva un padre spirituale ad una persona consacrata in difficoltà. “Beh, dipende”, è stata la sua risposta. “Dipende da come mi sento, da come mi trattano gli altri, dal riconoscimento che ottengo dai superiori…”. Sembrava che nella sua vita la misericordia dipendesse dai tanti “se” e dai tanti “forse” che affioravano all’improvviso, facendole perdere di vista il senso prospettico delle sue scelte.
Quando la misericordia diventa un optional, l’individuo può bloccarsi in un labirinto di tentativi non riusciti, di volontà tradita, di aspirazioni deluse, di paure destabilizzanti... a cui egli risponde con delle difese che distorcono la genuinità della dedizione, come l’autoreferenzialità, la superficialità, o peggio ancora l’abitudine ritualistica di un “amore di plastica”, fatto di sorrisi di circostanza e di buone maniere.
Con il tempo tali distorsioni rischiano di tramutarsi in un disagio psichico molto più profondo che intacca le ragioni stesse delle proprie scelte vocazionali. Quando «la capacità di definire degli obiettivi è gravemente compromessa, con obiettivi irrealistici o incoerenti», si logorano anche le motivazioni sottostanti le scelte vocazionali.
«Se il sale perde il suo sapore, come si potrà ridarglielo?», chiede Gesù (Mt. 5,13). Se un religioso perde il senso motivazionale dell’amore misericordioso per gli altri, come può ritrovarlo? Psicologicamente sappiamo bene che questo senso di smarrimento esistenziale è alla base di tanti disturbi del funzionamento della personalità, come conferma l’ultima versione del Manuale Diagnostico delle malattie mentali, il DSM-5.
Se viene a mancare la misericordia come dono che orienta ad avere gli stessi sentimenti che furono di Gesù (Fil 2, 5), la persona rischia di perdere il gusto delle sue scelte vocazionali.
La misericordia
come matrice di identità
Quando la persona si lascia modellare dalla misericordia di Dio essa raggiunge la piena consapevolezza di sé in quanto creatura, e rafforza la sua volontà di adoperarsi in comportamenti coerenti con gli scopi della sua vita, in un continuum auto-direzionale che la orienta verso Colui che dà senso a tutto il suo essere. È in questo che la persona ritrova il vero ben-essere vocazionale, inteso come realizzazione di un progetto di amore che è dono di Dio, che si traduce nel servizio di dedizione gratuita e disinteressata verso gli altri. Tale capacità non solo rinforza il funzionamento generale della personalità ma fortifica anche la sua tensione verso scopi esistenziali che danno significato alle scelte quotidiane.
Auto-direzionarsi verso una misericordia da condividere con i fratelli e le sorelle che sono accanto diventa parte della propria identità vocazionale, poiché rende visibile la propria adesione ad una visione progettuale della vita, intesa come collaborazione al piano di amore di Dio. Una sorta di “matrice di identità” che abilita ad integrare l’impegno del singolo con l’attenzione amorevole di Dio, che in Gesù Cristo mostra il suo volto misericordioso per ogni persona. «Ciò che muoveva Gesù in tutte le circostanze non era altro che la misericordia, con la quale leggeva nel cuore dei suoi interlocutori e rispondeva al loro bisogno più vero».
Non si tratta quindi di gesti episodici di buonismo, giustificati casomai da una gratificazione apparente e transitoria, ma è uno stile di vita identitario, che forgia non solo il sé psichico del singolo ma anche il suo cammino di fede, il coinvolgimento pastorale, l’impegno in comunità, cioè tutti quegli ambiti che contraddistinguono la crescita vocazionale di chi ha scelto di rispondere con i propri doni – ma anche con le proprie fragilità – alla chiamata di totale consacrazione. «Crescere misericordiosi significa imparare a essere coraggiosi nell’amore concreto e disinteressato, significa diventare grandi tanto nel fisico, quanto nell’intimo».
È con questa prospettiva psico-educativa che i religiosi e le religiose possono continuamente rinnovare il significato unificante della loro scelta vocazionale, traducendo nella vita reale quella preghiera della misericordia citata alla fine dell’Esortazione post-sinodale Vita consacrata, che invita a guardare con fiducia ai propri sforzi, affinché acquistino un nuovo significato “in Colui che mi dà forza” (Fil. 4, 13): «Continua ad attirare a Te persone che, per l’umanità del nostro tempo, siano depositarie di misericordia, preannuncio del tuo ritorno, segno vivente dei beni della risurrezione futura».
p. Giuseppe Crea, Mccj
psicologo, psicoterapeuta