Cabra Piergiordano
Declinazioni
2016/7, p. 4
L’insegnante ci spiegava che le declinazioni facevano parte di una lingua che formava a pensare con logica, tanto è vero che egli insegnava contemporaneamente analisi logica e grammaticale. Eppure c’erano tante declinazioni con tantissime eccezioni che non mi sembravano logiche. Poi venne la vita con i suoi casi da declinare nel quotidiano, casi talora spinosi, sovente con meno logica e con ancor più eccezioni
DECLINAZIONI
Una delle fatiche che da giovane studente ho dovuto affrontare, appena lasciate le elementari, è stato l’apprendimento mnemonico delle cinque declinazioni del latino, il mutamento delle desinenze nei vari casi, a partire dal nominativo al genitivo (rosa, rosæ).
L’insegnante ci spiegava che le declinazioni facevano parte di una lingua che formava a pensare con logica, tanto è vero che egli insegnava contemporaneamente analisi logica e grammaticale. Eppure c’erano tante declinazioni con tantissime eccezioni che non mi sembravano logiche.
Poi venne la vita con i suoi casi da declinare nel quotidiano, casi talora spinosi, sovente con meno logica e con ancor più eccezioni.
Declinazione non sempre facile, anche per la crescente allergia nei confronti di regole condivise, per la pluralità delle grammatiche, per la diversità delle logiche.
Ed ora che le forze cominciano a declinare, mentre sto riflettendo su che cosa resterà delle mie spesso faticose declinazioni, ecco emergere dal bagaglio del mio latinorum una insolita luce: Quod aeternum non est, nihil est. Ciò che non è eterno è nulla!
Se non ho declinato l’eterno, ho declinato il nulla.
C’è un solo “nominativo” da declinare nei vari casi della vita: l’eterno.
L’eterno da scoprire nel tempo, l’eterno da far maturare dentro il tempo, l’eterno da dare al tempo, l’eterno che regge il tempo, l’eterno che non annulla il tempo, ma che impedisce che si riduca al nulla.
Questo è il caso serio della vita: declinare il solo soggetto possibile, che non si vede, ma che resta, nei casi della vita che si vedono, ma che svaniscono come ombre.
Occorre fare una vera “professione di incredulità nell’onnipotenza del visibile”, così da poter guardare dentro le realtà nelle quali sono immerso per vedervi il nucleo nascosto e consistente dell’eterno.
Occorre proprio diventare increduli nei confronti delle evidenze accettate che incantano, assorbono e illudono.
Se le cose stanno così, quante evidenze illusorie ho declinato, quante eccezioni ho inserito nella grammatica e nella logica, scordando il loro nucleo permanente!
Come ricuperare il tempo perduto?
In questo finale di partita, non posso non far maturare l’eterno nel tempo che resta, declinando la pazienza nelle difficoltà, l’attenzione al dolore altrui, la fiducia nello sconforto, la proiezione verso il futuro nella vischiosità del presente, la gratitudine di fronte a ogni gesto di attenzione, l’ottimismo della fede di fronte al pessimismo della ragione.
È tutto quello che mi resta da fare perché il dramma del declino delle forze non si trasformi nella tragedia della declinazione del nulla.
Rosa, rosae: mi sembra ieri. La rosa di una vita affidata, per far sentire il profumo della rosa, rosae.
Non è il profumo dell’eterno che dona gusto ad ogni sua declinazione nei casi della realtà umbratile della vita?
Piergiordano Cabra