Una parabola di comunione
2016/6, p. 46
L’autore del libro Taizé. La speranza
condivisa è il domenicano
Claudio Monge, responsabile del
Centro di documentazione interreligiosa
dei Domenicani a Istanbul e visiting
professor in Teologia delle Religioni
in diverse università europee
oltre che in Canada e in Brasile. P.
Monge, originario di Cuneo, ha trascorso
due anni nella comunità monastica
ecumenica di Taizé ed è rimasto
segnato dalla testimonianza di
quell’uomo di Dio che è stato frère
Roger, fondatore di una «esperienza
di riconciliazione», condivisa da cristiani
provenienti da diverse tradizioni
e incentrata «sull’essenziale della
fede pasquale». Nel libro si intrecciano
armonicamente testimonianze autobiografiche,
riflessioni e insegnamenti,
tratti dalle opere di fr. Roger.
NOVITA’ LIBRARIA
una parabola di comunione
L’autore del libro Taizé. La speranza condivisa è il domenicano Claudio Monge, responsabile del Centro di documentazione interreligiosa dei Domenicani a Istanbul e visiting professor in Teologia delle Religioni in diverse università europee oltre che in Canada e in Brasile. P. Monge, originario di Cuneo, ha trascorso due anni nella comunità monastica ecumenica di Taizé ed è rimasto segnato dalla testimonianza di quell’uomo di Dio che è stato frère Roger, fondatore di una «esperienza di riconciliazione», condivisa da cristiani provenienti da diverse tradizioni e incentrata «sull’essenziale della fede pasquale». Nel libro si intrecciano armonicamente testimonianze autobiografiche, riflessioni e insegnamenti, tratti dalle opere di fr. Roger.
Una prospettiva di
riconciliazione
L’esperienza comunitaria di Taizé ha avuto un’affascinante forza attrattiva per p. Monge come per migliaia di giovani e meno giovani passati per quel piccolo villaggio romanico vicino a Cluny, «simbolo del rinnovamento monastico in Occidente, la cui abbazia fu il cuore della riforma della Regola benedettina e centro intellettuale di primo piano nel Medioevo classico». «In un mondo dove si fanno tante promesse, che vengono spesso e volentieri deluse, Taizé è un luogo dove si intuisce qualcosa di diverso. Taizé non si appropria di nessuno, non pretende di essere la Chiesa, solo la soglia e il segno della Chiesa in una prospettiva di riconciliazione»: così scriveva Olivier Clément, amico della Comunità e grande teologo ortodosso. La «riconciliazione», assolutamente fondamentale nel pensiero di frère Roger e nella vita della comunità da lui fondata, non si può limitare alla questione ecumenica perché, in primo luogo, essa rinvia a una dimensione antropologica. Cioè «non ci può essere riconciliazione, nel senso più generale del termine, se non siamo riconciliati in noi stessi, se non abbiamo il coraggio della riconciliazione tra generazioni, se non si accetta di correre il rischio di una riconciliazione anche con coloro che non credono e non solamente con quelli che credono diversamente». La sfida di Taizé era ed è la realizzazione di una comunione «che non si appoggia in primo luogo su strutture e regole ma sulla solidità delle relazioni interpersonali» nel rispetto della diversità culturale e della pluralità di origini religiose. Questo è essere Chiesa secondo frère Roger, là dove la Chiesa non può essere che cattolica, nel senso di comunione universale perché al suo cuore c'è il Cristo, lui che non è mai diviso e tanto meno divisibile. L'ecumenismo non è nient'altro che questo: «il tentativo che permetterà di rendere visibile l'unione fraterna fra i battezzati, e questo senza umiliare nessuno, ma nell'umiltà».
Preghiera e
dimensione umana
Rispondendo alle domande sul significato della preghiera nella sua vita, frère Roger ha più volte condiviso qualche cosa della sua ricerca spirituale, invitando con insistenza a non cercare nella preghiera delle risposte che trascurino la dimensione umana. Egli confessava, fra le altre cose: «Quanto a me non saprei come pregare senza il corpo. Non sono un angelo, e non mi dispiace. In certi momenti sono consapevole di pregare più con il corpo che con l'intelligenza. Una preghiera a contatto con la terra: inginocchiarsi, prostrarsi, guardare là dove si celebra l'eucaristia, servirsi del silenzio tranquillizzante come dei rumori che provengono dal villaggio. Il corpo è lì, vigile, per ascoltare, comprendere, amare». Esempio significativo è la preghiera di ogni venerdì sera: viene messa l’icona della croce al suolo, perché ognuno possa andare a «posare la propria fronte sul legno della croce, deporre in Dio, attraverso una preghiera del corpo, i propri fardelli e quelli degli altri». E «la tua preghiera diventa totale quando si integra con la tua fatica». A Taizé si ritrova l'antico equilibrio benedettino tra la preghiera e il lavoro (ora et labora), perché la preghiera diventa il vero centro della giornata intorno al quale ruotano tutte le attività, i servizi, l'ascolto. I tre momenti liturgici quotidiani sono i soli momenti in cui anche l'accoglienza dei nuovi pellegrini viene sospesa perché, prima di offrire un tetto o un pasto, c'è la cosa più preziosa da condividere: la preghiera. «È la preghiera che dà un senso e uno spessore all'ospitalità sacra, nella quale l'ospite che accoglie riconosce la misteriosa presenza del Dio pellegrino nello straniero da accogliere».
Una «parabola di comunione»
che continua
L'assassinio di fr. Roger il 16 agosto 2005 «è l'esempio vivente della fragilità dell'amore che ha colmato la sua vita e che era la fonte autentica della sua fiducia nell'uomo e non soltanto in Dio». La sua eredità spirituale è un impegno di tutto l'essere, interiore ed esteriore, per la pace e la riconciliazione. «Croce e perdono, due termini così estranei fra loro, ma associati in Cristo, nella sua pasqua: un binomio che diviene indissociabile nella vita di numerosi testimoni della fede come lo è stato in fr. Roger e che la Comunità di Taizé continua a testimoniare, come una «parabola di comunione» destinata a continuare la sua missione al cuore del mondo.
Anna Maria Gellini