La vita fraterna in comunità
2016/6, p. 39
Come dovrebbe essere la vita fraterna in comunità? Teresa di Gesù, di cui
è stato appena celebrato il quinto centenario della nascita, ce ne dà una
mirabile descrizione. Nonostante la diversità dei tempi, il suo insegnamento
è di grande attualità anche oggi. I santi infatti non invecchiano mai.
IL PENSIERO DI TERESA D’AVILA
La VITA FRATERNA
IN COMUNITÀ
Come dovrebbe essere la vita fraterna in comunità? Teresa di Gesù, di cui è stato appena celebrato il quinto centenario della nascita, ce ne dà una mirabile descrizione. Nonostante la diversità dei tempi, il suo insegnamento è di grande attualità anche oggi. I santi infatti non invecchiano mai.
Non possiamo parlare di che cosa significa essere comunità di preghiera secondo lo stile di Teresa di Gesù se non consideriamo anzitutto cosa vuol dire per lei vivere in comunità, in quanto frutto di un’autentica esperienza di preghiera. Una delle caratteristiche della spiritualità teresiana è la sua forte accentuazione comunitaria. Vivere in comunione, in amicizia spirituale, è il motto teresiano, garanzia di comunione con Dio, di reciproco aiuto nel servizio del Signore.
Come fondatrice, Teresa possedette una leadership singolare ed ebbe una grande capacità di creare comunità attorno a sé. Intuì i valori, i bisogni, le esigenze e i dinamismi della comunità. La sua lezione va ben oltre la configurazione delle sue comunità e offre un messaggio a tutto il movimento comunitario oggi presente nella Chiesa.
Alla base dell’esperienza comunitaria di santa Teresa si rivela una provvidenziale preparazione psicologica in vista di una missione ecclesiale. Come fondatrice sa di dover formare attorno a sé delle comunità vive; e come maestra, è consapevole che la sua esperienza spirituale deve avere una risonanza ecclesiale. Per l’una e per l’altra Teresa ebbe delle attitudini fin dalla sua fanciullezza; il suo carattere e le circostanze della sua vita costituirono l’alveo di una missione provvidenziale.
Un nuovo concetto di vita comunitaria
Il lento cammino dell’esperienza comunitaria di Teresa giunge a condensarsi in una nuova forma di vita. Il desiderio di un gruppo in cui la comunione fosse più intensa coincide con il progetto stesso di Dio che vuole suscitare nella Chiesa questa comunità. Teresa è strumento di Dio per creare un nuovo tipo di vita comunitaria. È in questo modo che l’esperienza umana e spirituale del gruppo vissuta da santa Teresa si incarna in due concetti fondamentali della vita comunitaria. Il primo mette l’accento sulla dimensione umana, naturale (anche se pervasa di spirito soprannaturale); l’altro è di carattere evangelico.
– Famiglia o fraternità. La nuova comunità teresiana ha il carattere di un focolare, di una famiglia. In modo esplicito Teresa parlò del «nostro stile di fraternità e di ricreazione» (Fondazioni 13,5) : Implicitamente le relazioni che crea nella nuova comunità hanno lo stile di una famiglia soprannaturale in cui il vincolo di amore fraterno costruisce relazioni nuove.
– Collegio di Cristo: il piccolo gruppo teresiano si definisce con questo nome di profonde risonanze evangeliche (Cammino di Escorial 20,1). Coloro che lo costituiscono vogliono essere come il gruppo dei seguaci di Gesù che vivono con il Maestro e godono della sua intimità: un gruppo cristocentrico, perché Cristo vive, secondo la sua promessa, in mezzo alla comunità; un gruppo evangelico perché accetta come norma suprema il Vangelo: «seguire i consigli evangelici con la maggior perfezione possibile» (Cammino di Valladolid 2,1); un gruppo apostolico perché dedito al servizio del Signore e della Chiesa con la preghiera e la santità di vita (ib. cc 1 e 3).
Una comunità in cui Cristo è sempre presente
Una delle note più originali e innovatrici della comunità teresiana è l’insistenza sulla presenza di Cristo come centro e fondamento della comunità. La presenza del Maestro dà al gruppo consistenza e altezza spirituale.
– La certezza della presenza del Signore in mezzo alla comunità deriva dalla promessa da lui fatta e ripetuta dalla Vergine: «che Cristo sarebbe stato con noi» (Vita 32,11; 33,14). Teresa aveva questa esperienza fin dal suo colloquio con il p. García di Toledo (Vita 32,17). Riceve una conferma da parte del Signore quando Egli stesso esce ad accoglierla di ritorno al monastero di san Giuseppe (ib. 36,24) e si sente dire «che questa casa era il paradiso delle sue delizie» (ib. 35,12). Perciò può definirla con gioia: «piccolo angolo di Dio…dimora in cui sua Maestà si diletta». In un’altra occasione Teresa vedrà Gesù presente al capezzale di un’inferma (Fondazioni 16,4).
– Teresa identifica la sua comunità con Betania, la casa di santa Marta, che riveste una grande importanza nel concetto di comunità: «Pensate che questa piccola Congregazione è la casa di santa Marta… non vi basterebbe somigliare a questa donna felice che meritò tante volte di ospitare in casa sua nostro Signore, servirlo e mangiare lei stessa alla sua mensa?» (Cammino di Valladolid 17,5). Identificazione realistica che mette al centro della comunità la presenza dell’Ospite divino e le sue relazioni con Lui. «Che se poi la contemplazione, l’orazione mentale e vocale, la cura delle inferme, i diversi uffici della casa e perfino i lavori più bassi concorrono a servire l’Ospite divino che viene ad abitare, mangiare e ricrearsi con noi, che importa di aver questo piuttosto che quell’altro ufficio?» (ib. 17,6). Straordinario concetto di vita comunitaria che pone nell’amore e nel servizio di Cristo presente l’essenza della convivenza religiosa.
– La presenza mediante l’amore e l’assenza dovuta al disamore: il realismo della presenza di Cristo nella comunità si misura anche dal contrario della sua assenza. La disunione dovuta alla mancanza di amore, le divisioni e gli screzi hanno come effetto di mettere Cristo fuori dalla porta: «Pensate in tal caso di aver cacciato di casa il vostro Sposo, obbligandolo di trovar riposo altrove» (ib. 7,10).
– Cristo è «il Padrone di casa» (ib. 17,7), colui che «ci ha accolto qui» ( ib. 3,1). Come discepoli attorno al Maestro, i membri del «piccolo Collegio di Cristo» godono della sua compagnia e si pongono «vicino al Maestro» per imparare le parole di vita eterna (ib. 26,10; 24,5).
– La presenza eucaristica è il segno della presenza permanente del Signore in mezzo alla comunità. Teresa non solo gode di vedere una chiesa in più; la sua intenzione è di porre una Chiesa viva attorno all’eucaristia e costruire la comunità a partire da questa presenza del Signore (cf. Fondazioni 18,5)
Valori essenziali e aspetti concreti della comunità teresiana
Teresa, con la sua esperienza spirituale, inaugura un nuovo stile di vita comunitaria attuando, da una parte, una preziosa sintesi dei valori essenziali, che si riflettono in alcune esperienze ed evocazioni. Dall’altra, armonizza e realizza il gruppo comunitario partendo da una serie di aspetti concreti che riguardano gli ambiti essenziali del vivere comunitario.
Valori essenziali della comunità
La comunità teresiana confluisce nell’opzione e nella prassi di alcuni valori essenziali della vita cristiana. Questa semplice enumerazione ha l’unica pretesa di aprire delle prospettive più ampie.
– «Per Dio solo». È ciò che possiamo chiamare il valore teologale della vita comunitaria. L’opzione radicale di Dio è ciò che unisce strettamente tutti i membri della comunità teresiana. La dedizione a Dio, l’esercizio della preghiera, la ricerca contemplativa stanno al centro della vita come valore che definisce la gerarchia dei valori: una comunità che vive comunitariamente l’esperienza di Dio.
– «Seguire i consigli di Cristo». Valore evangelico della vita comunitaria. La vita evangelica e cristocentrica caratterizzano l’ideale della vita nuova. Insieme al maestro e a suo servizio; ma in piena fedeltà al Vangelo di cui sono messi in rilievo alcuni aspetti fondamentali che costituiscono l’intreccio delle virtù del Cammino di Valladolid: povertà, carità, abnegazione, umiltà. Dedizione alla preghiera in solitudine come il Maestro (Cammino di Valladolid 24,4). Le virtù evangeliche sono a servizio della comunione che è «pace e unione dei cuori» (ib. 7,9).
– «Vivere la Chiesa». Valore ecclesiale. L’impegno ecclesiale della vita religiosa ha in Teresa questa risonanza; anzitutto, essere pienamente Chiesa nell’impegno di vita cristiana: «essere così»; inoltre vivere la Chiesa con la conoscenza, l’esperienza e la coscienza ecclesiale; infine, servire la Chiesa tenendo alto l’ideale della vita cristiana, irradiando con la preghiera e la santità il rinnovamento autentico.
– «Qui tutte devono essere uguali». Valore umano. Lo stile teresiano di uguaglianza di servizio, di ricreazione e di gioia, di pulizia e di igiene, assieme alla fioritura delle virtù umane quali la semplicità, la riconoscenza, la bontà, la gioia, l’impegno apostolico, la generosità ecc., rinnovano la vita comunitaria nel suo significato di scuola di umanesimo cristiano.
– «Famiglia della Vergine». Valore mariano. In franca e sincera continuità con il Carmelo antico, Teresa propone alcuni ideali del carisma carmelitano arricchendoli con la sua grazia personale: l’amore alla Vergine, la solitudine e il silenzio. Soprattutto rinnova il principio e il fondamento del vivere carmelitano che è la preghiera.
Aspetti concreti della vita comunitaria
I valori essenziali si incarnano negli aspetti concreti della vita, ne sono la loro irradiazione e incarnazione. Partendo dall’amore di Dio, concetto in cui si radica la preghiera, e dall’amore del prossimo, che per Teresa è amicizia e comunione con lui, la vita acquista ordine e armonia. Diamo uno sguardo al Cammino di perfezione e alle Costituzioni in cui troviamo alcuni aspetti concreti:
– Vita di preghiera. La vita spirituale occupa il primo posto nella piramide: la liturgia, la preghiera come esercizio concreto, il silenzio come ambiente, sono le linee maestre della vita comunitaria teresiana. Tutto tonificato dall’austerità della povertà e dall’esercizio delle virtù (Costituzioni 1-7).
– Lavoro e servizio. Il realismo del lavoro manuale, il servizio della casa esprimono la comunione intensa di una comunità solidale che mette tutto in comune (Ib. 9).
– Casa ed eremite. La cura della casa, le preoccupazioni per gli spazi di solitudine come le eremite, conferiscono il tono di focolare in cui vive la famiglia (ib. 32).
– Irradiazione ecclesiale. La comunità che è Chiesa e prega attorno all’eucaristia vive polarizzata attorno alla Chiesa. Il contatto con i sacerdoti e i missionari, la sensibilità ecclesiale caratterizzano il Carmelo di Teresa. «Servivo il Signore con le mie povere preghiere e incoraggiavo le sorelle a fare altrettanto, cercando di affezionarle al bene delle anime e pregare per la propagazione della Chiesa. Chi trattava con loro ne rimaneva edificato».(Fondazioni 1,6). Per le sue monache, Teresa vuole l’«affabilità apostolica» che irradia amore e simpatia per le cose di Dio e della Chiesa. (Cammino di Valladolid 41, 7-8).
– Ricreazione e allegria. La distensione dell’allegria, il piacere della comunicazione nella ricreazione occupano un posto molto importante nella comunità teresiana, come momento forte di comunicazione e di gioia (Costituzioni 26-27)
– Letterati e libri. La formazione permanente è un altro aspetto della comunità. I libri sono importanti e la cura di provvedere per mezzo delle persone istruite l’istruzione necessaria costituisce anch’essa una consegna e un esempio della Madre (ib. 8) «poiché questo nutrimento è tanto necessario per l’anima quanto il cibo per il corpo».
– Ampia comunicazione. La comunicazione a tutti i livelli è una nota caratteristica della spiritualità teresiana. Teresa con le sue lettere crea una rete di notizie tra i conventi. Sensibilizza a tutto ciò che riguarda gli avvenimenti ecclesiali e sociali affinché trovino eco nella preghiera e nella vita.
L’amore come radice
La comunità teresiana si nutre nei suoi valori e aspetti di un forte impegno di amore fraterno. Con un realismo impressionante, frutto di osservazione e di esperienza, la madre Teresa enuncia le quattro ragioni fondamentali dell’amore in comunità:
a) È assurdo vivere insieme senza amarsi. Le parole di Teresa sono ancora più forti: «Dov’è gente così barbara che non si amerebbe trattando e vivendo sempre insieme, senza poter parlare, ricrearsi o avere relazione con altri?» (Cammino di Valladolid, 4, 10). La mancanza di amore comunitario è semplicemente, nelle parole di Teresa, brutalità. È la prima ragione del senso comune.
b) La virtù invita a essere amata. È un presupposto teresiano che tra persone che si dedicano a Dio devono esistere dei valori positivi di qualità o virtù che suscitano nei cuori semplici e retti la stima e l’amore. La visione positiva dell’altro è motivo di amore: «La virtù si attira amore di per se stessa; inoltre, spero nella misericordia di Dio che mai in questa casa venga meno la virtù» (ib. 4,10).
c) Nel medesimo circolo di amore. La parola teresiana è sintetica. «Quanto più voi che sapete pure come Dio ami ciascuna in particolare, e come ciascuna gli risponda in amore giacché per amor suo avete tutto abbandonato» (ib.). Viviamo nel medesimo circolo di amore; per fede sappiamo che Dio ama ciascuno; e ciascuno dei fratelli ha fatto di Dio l’ideale della propria vita; è normale che coincidano i raggi dell’amore che vengono da Dio e a Dio ritornano, nell’amore degli uni per gli altri.
d) È il testamento di Gesù. Infine, il ricordo della parola fondamentale del Vangelo: «Ma come deve essere questo amore reciproco? Cos’è l’amore virtuoso che io vorrei vedere tra voi? A quali segni potremo riconoscere di avere questa virtù sì eccellente che con tanta premura il Signore ha raccomandato a tutti i suoi apostoli?» (ib. 4,11). È il comandamento di Gesù, il suo testamento.
In questo modo l’amore comunitario possiede una profondità teologica e un’altezza di autentica convivenza umana.
Pedagogia comunitaria dell’amore e dell’amicizia
Si può sintetizzare la pedagogia teresiana dell’amore in comunità a partire da quella serie di consigli che propone nel capitolo 7 del Cammino di perfezione come educazione pratica a un amore sincero che costruisce la comunità anche se non riesce a raggiungere la perfezione dell’amore spirituale.
– Comunione nella gioia e nel dolore. Regola d’oro della spiritualità cristiana che Teresa traduce con parole semplici come «mostrare tenerezza nella volontà e anche averla», «sentire ed essere sensibili alle pene e alle più piccole infermità delle sorelle», «durante la ricreazione diportatevi allegramente anche se non ne avete voglia» (Cammino di Valladolid 5,5-7).
– Abnegazione e servizio del prossimo. «Perfetto amore è quello di una religiosa che, pur di giovare alle altre, preferisce i loro interessi ai suoi», essere esempio vivo per gli altri, «prendere su di sé quanto vi è di più faticoso»: sono altrettante maniere di fare comunità con l’amore affettivo ed effettivo (Ib. 7,8-9).
– Gioia per la crescita spirituale delle persone. «rallegrarsi e ringraziare il Signore nel vederle progredire in virtù» (ib.).
– Un amore fino a dare la vita per i fratelli. È l’insegnamento contenuto in altri passaggi teresiani che commentano e sviluppano questi alvei dell’amore fraterno. Alla radice di tutto sta l’amore che Cristo ha avuto per noi: «Tutte si amino come lo comanda molte volte Cristo ai suoi apostoli... Cerchino di imitare il loro Sposo che ha dato la sua vita per noi (Costituzioni 28). La morte dell’egoismo è la legge dell’amore, il dono della propria vita: «Non crediate che questo non vi debba costare, e che abbiate già fatto ogni cosa. Considerate quanto è costato al nostro Sposo l’amore che ha nutrito per noi: per liberarci dalla morte ha subito la morte più crudele, quella della croce (Quinte Mansioni 3,12).
L’amore comunitario si riveste di atteggiamenti di forte radicamento umano ed evangelico. Teresa incentiva la stima per le qualità umane e il talento; promuove l’affabilità apostolica (cf. Cammino di Valladolid 20, 3-4: 41. 5-9) ossia la capacità di ascoltare gli altri e di comunicare con simpatia la propria vita: educa alla riconoscenza, alla semplicità disinteressata, alla discrezione che è equilibrio soprannaturale, alla gioia che scaccia la malinconia.
Al di sopra di tutto... la carità
Francesca della Madre di Dio ricorda: «Quando la Santa Madre stava con le sue monache, ciò che diceva era che si amassero molto e usassero molta carità le une verso le altre; e se una vedeva un’altra commettere una mancanza che non si spaventasse, e guardasse ciascuno come vorrebbe che si dissimulassero le sue, e così facessero con le altre» (Biblioteca Mistica Carmelitana 19,35).
Il magistero di Teresa è quello di una donna straordinaria, posseduta da Dio, affascinata dalla sua misericordia. È il magistero di una donna geniale, di una «avventuriera del divino», di una santa del quotidiano che si lasciò istruire dallo Spirito Santo, che le guidava la penna e il cuore. Spinta dagli avvenimenti, questa contemplativa del mistero si mostrerà infaticabilmente attiva, vivendo in sé la duplice vocazione di Marta e di Maria. Perciò, le sue comunità sono «piccole colombaie» in cui si accorda l’aspetto contemplativo e quello attivo, ossia, comunità oranti e apostoliche. Contemplazione e apostolato, preghiera-vita costituiscono due aspetti di un tutto armonioso, due manifestazioni di una stessa vita intima. Perciò è inconcepibile una comunità teresiana che si dica veramente orante se questa non tocca la sua vita e la proietta in un desiderio unico di «salvare le anime». Una comunità orante, nel miglior stile teresiano, è una comunità che si dedica alla «salvezza delle anime» con l’impegno attivo della preghiera che si traduce in una relazione quotidiana e costante con «colui che sappiamo che ci ama».
Una comunità impegnata nel Cammino della perfezione
Per la Madre Teresa, impegnarsi nella vita spirituale significa, nello stesso tempo, impegnarsi nel cammino della preghiera. Nell’esperienza teresiana, vita spirituale e vita di preghiera si identificano. Dirà in senso ampio della preghiera «che per me non è altro che un intimo rapporto di amicizia, un frequente trattenimento da solo a solo con Colui da cui sappiamo di essere amati» (Vita 8,5). La preghiera teresiana si colloca nella linea dell’amore. Quando si intraprende il cammino della preghiera, si prende la «determinazione determinata» (espressione tipica del vocabolario teresiano) di non fermasi a metà strada, ma di arrivare alla «vetta della perfezione» (ib. 11,4), che è il fine chiaramente affermato. Ciò suppone che fin dall’inizio si accetti di abbracciare la croce sempre con generosità (ib. 11,15), sopportando aridità e disgusti (ib. 11,10.13.14).
Infatti, Teresa sottolinea che noi non andiamo alla preghiera per cercare, per prima cosa, consolazioni e tenerezze (ib. 11,13), ma per giungere ad essere veramente «servi dell’amore» (ib, 11,1), vale a dire, «per servire Dio con giustizia, con fermezza d’animo e umiltà» (ib. 11,13). La preghiera autentica non potrebbe in alcun modo favorire una mentalità egocentrica poiché, al contrario è, di per sé, fonte di spirito di servizio.
A questa grande determinazione che Teresa richiede a tutti, come un motivo conduttore del suo insegnamento, è necessario aggiungere la sua raccomandazione ad alimentare grandi desideri. Desiderio di compiere «grandi cose» (ib. 13,2) ossia di raggiungere alla fine l’unione perfetta con Dio, come hanno fatto i santi. Per questa ragione non bisogna «minimizzare» questi desideri con il pretesto di una falsa umiltà che solamente impedirebbe di intraprendere il volo verso Dio (ib.). Sarebbe una trappola spirituale. Infatti, secondo il pensiero realistico della Madre Teresa, la vera umiltà (ib. 13,4) non consiste nel camminare verso Dio «a passo di lumaca» (ib. 13,5), bensì, al contrario, nel desiderare con tutte le proprie forze la perfezione in Cristo che il Signore vuole per noi: «importano molto queste prime risoluzioni». (ib. 13,3). Teresa critica i direttori spirituali che per paura di lanciare le anime con le vele spiegate nel cammino verso la santità, insegnano loro ad «essere tartarughe» e si accontentano solo di insegnare «a cacciar lucertole». (b. 13.6).
Teresa scrive che colui che con l’aiuto della grazia di Dio intraprende decisamente il cammino della santità con la ferma intenzione di arrivare alla vetta della perfezione «entrerà in cielo non già da solo, ma portandosi dietro molta gente, come buon capitano a cui Dio abbia affidato un forte esercito» (ib. 11,4).
Questo pensiero della santa sottolinea la dimensione apostolica di tutto il cammino della santità e, pertanto, del cammino che desidera che abbiano a percorrere le sue figlie. Quando ci si impegna nella risoluzione di seguire Cristo, si trascinano necessariamente altre persone, iniziando dalle sorelle della comunità. La fecondità apostolica, perciò, è fortemente unita allo sforzo di raggiungere la vetta della perfezione.
In questo cammino di perfezione, per evitare la trappola dell’orgoglio spirituale, è indispensabile riconoscere che le forze necessarie per iniziarlo non vengono da noi, ma da Dio, poiché Dio è la fonte della fecondità. Per rafforzare la sua posizione, Teresa ricorre a personaggi come Paolo e Agostino (ib. 13,3). Senza citare letteralmente Paolo, allude a un passaggio della lettera ai Filippesi (4,13) in cui, l’apostolo affermando “tutto posso in colui che mi dà la forza” (4,13) rivela che tutta la sua forza non viene da lui, ma dall’azione del Signore in lui. Teresa illustra questa dottrina paolina così tipica con un celebre testo della Tradizione, quello delle Confessioni di sant’Agostino in cui egli rivolge questa preghiera al Signore: «Dammi Signore ciò che mi comandi e comandami ciò che vuoi». Teresa desidera che tutte le anime abbiano un ardore tale da non fermarsi in questo cammino. Questi alti desideri devono essere presenti fin dall’inizio della vita spirituale, accettando con la massima umiltà che tutta la forza viene dal Signore: «Soprattutto umiltà per convincerci che le forze a tali slanci non provengono da noi» (Vita 13,3).
Così dovremo essere
1. Uomini e donne capaci di “vedere” la realtà. Non voltare le spalle al mondo è proprio dei consacrati. Lasciarsi toccare dalla realtà che li circonda e fare di essa, preghiera. Un consacrato è una persona che ha la capacità di pregare la realtà. Teresa comprese perfettamente la domanda che Gesù rivolse al Padre per i suoi discepoli. “Non ti prego, Padre, che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno”. Il consacrato deve stare nel cuore del mondo, più ancora, essere il cuore del mondo, così come lo intuì e visse Teresa del Bambin Gesù: «Non fa nulla colui che ora si allontana dal mondo...». Con questa espressione Teresa vuole richiamare l’attenzione dei consacrati affinché scoprano che cos’è l’essenziale della loro vita contemplativa. Il problema non è allontanarsi dal mondo, ma fare propri i dolori e le sofferenze del mondo; è una chiamata all’empatia evangelica che risveglia in chi la vive, sentimenti di compassione e la porta ad agire in maniera solidale con chi soffre, è maltrattato, umiliato, ecc.
2. Donne e uomini con spirito missionario-apostolico. «Mi pareva che pur di salvare un’anima sola delle molte che là si perdevano, avrei sacrificata mille volte la vita» (Cammino di Valladolid, 1,2). Espressione piena di sentimento e di autentico spirito missionario. La carmelitana è una donna dedita a “salvare anime”. Questa è, possiamo dire, la dimensione soteriologica della vocazione contemplativa del consacrato. Contemplare il mondo e gli esseri umani con gli occhi di Dio per salvarli. Disposizione assoluta a “soffrire la passione” per il bene dell’umanità.
3. Buone e buoni amici del Signore. «Desideravo grandemente – e lo desidero tuttora – che avendo il Signore tanti nemici e così pochi amici, questi almeno gli fossero devoti» (ib.). Se c’è un’espressione tipicamente teresiana questa è: amico-amicizia. Essa definisce anche la buona e salutare relazione che si ha con Gesù.
4. Disposti a vivere quel “poco” che sono i consigli evangelici. «E così venni nella determinazione di fare il poco che dipendeva da me, osservare i consigli evangelici con ogni possibile perfezione, e procurare che facessero altrettanto le poche religiose di questa casa» (ib.). Teresa intende dire che la fedeltà nel vivere i consigli evangelici costituisce una risposta appropriata che contribuisce a porre rimedio ai mali del mondo.
5. Donne e uomini determinati a lasciare tutto per Lui. «Confidando nella bontà di Dio che non lascia di aiutare chi rinuncia a tutto per amor suo...» (ib.). I consacrati devono essere uomini e donne distaccati da tutto ciò che ostacola una dedizione assoluta e generosa per il Regno.
6. Donne e uomini “occupati” nella preghiera per il mondo e per la Chiesa. «Pregando poi per i difensori della Chiesa, per i predicatori e per i dotti che la sostengono, avremmo fatto del nostro meglio per aiutare questo mio dolce Signore...» (ib.). Magnifica la maniera con cui Teresa vuole «occuparsi delle cose del suo Sposo». I consacrati sono, prima di tutto, donne e uomini che si sentono responsabili delle cose di Dio e danno per questo la vita. Amare e servire come Chiesa per i suoi membri più deboli.
7. Donne e uomini sacerdotali. I consacrati devono essere donne e uomini che si offrono ogni giorno nel sacrificio dell’altare come «propiziazione per i peccati del mondo». Un consacrato che amando, presiede e celebra il sacrificio eucaristico.
8. Donne e uomini capaci di giudicare la realtà. «O mio Redentore, non posso fissarmi in questo spettacolo senza sentirmi spezzare il cuore» (ib.). La realtà quotidiana deve riguardare la vita dei consacrati. Non ci deve essere né dolore né lacrima nel mondo che essi non li facciano propri. Devono saper giudicare tutta la realtà dal fascino del Crocifisso che li porta ad assumere la sfida della salvezza. Giudicare la realtà con occhi di misericordia per impregnarla di salvezza.
9. Donne e uomini capaci di agire in nome di Cristo. «Mie sorelle in Cristo, unitevi con me nel domandare a Dio questa grazia. Per questo Egli vi ha raccolte: questa è la vostra vocazione, queste le vostre incombenze e le brame vostre, questo il soggetto delle vostre lacrime e delle vostre preghiere...» (ib.). Compito del consacrato è aiutare a portare la croce di Cristo. Sentire con e come il mondo per salvare il mondo. Tutta la vita del consacrato deve essere una dedizione generosa e senza misura che porta a incarnare in se stessi i sentimenti del Figlio. È questa la dimensione kenotica della nostra vocazione. Abbassarsi, annichilirsi, umiliarsi per salvare.
10. Donne e uomini che trattano con Dio affari importanti: la salvezza delle anime. «Tutto il mondo è in fiamme; gli empi anelano a condannare ancora Gesù Cristo... non è questo il tempo da sciupare in domande di così poca importanza!» (ib.). Non c’è problema più importante per Dio della salvezza di un’anima. Nemmeno per un consacrato deve esserci problema più importante di questa stessa salvezza. Perciò un religioso non può sciupare la sua vita in sciocchezze; soltanto la salvezza di un’anima merita la sequela di Cristo. Qui deve stare tutto l’impegno del religioso.
Conclusione
Teresa di Gesù è una donna che cammina in armonia con i tempi e perciò si mantiene in armonia con la storia. Basta leggere il capitolo primo del suo libro Cammino di perfezione per rendersi conto che lei vive e sente tutto ciò che accade attorno a sé e la risposta che dà alle sfide che si pongono a lei come consacrata, non è altro che l’impegno a «vivere con la maggior perfezione possibile i consigli evangelici»; vale a dire, l’impegno di prendere sul serio l’esperienza della sequela al modo di Cristo.
Nei recenti documenti pontifici come l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, la lettera circolare Rallegratevi e la Lettera apostolica Scrutate a tutti i consacrati in occasione dell’Anno della vita consacrata, il Papa – tra le altre cose – ci invita alla gioia della sequela, ad essere uomini e donne che trovano la “perfetta gioia” nel riconoscimento e nella contemplazione del volto di Cristo e nel vivere in maniera profonda e responsabile i consigli evangelici che ci portano a essere totalmente disponibili a Cristo e ai fratelli.
«... Desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi luminosa e attraente. Che tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate reciprocamente e come vi accompagnate... Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti» (EG 99). A questo riguardo, Teresa di Gesù dirà che «è mancanza di umiltà nella sorella che non si rallegra delle riuscite dell’altra». Credo che sia il modo migliore per guarire dall’invidia.
«A coloro che sono feriti da antiche divisioni risulta difficile accettare che li esortiamo al perdono e alla riconciliazione, perché pensano che ignoriamo il loro dolore o pretendiamo di far perdere loro memoria e ideali. Ma se vedono la testimonianza di comunità autenticamente fraterne e riconciliate, questa è sempre una luce che attrae. Perciò mi fa tanto male riscontrare come in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate, si dia spazio a diverse forme di odio, divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che sembrano una implacabile caccia alle streghe. Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti?» (EG 100).
La virtù invita ad essere amata, afferma santa Teresa di Gesù. Combattere il difetto dell’altro coltivando in me la virtù contraria. Sono segreti per far progredire la vita fraterna.
Il papa Francesco ci invita a vivere una “fraternità contemplativa” e a trasmettere la mistica del “vivere insieme”. Penso che questa sia un’autentica sfida per la vita religiosa e, in generale, per qualsiasi credente.
Ci invita anche «a stabilire la relazione con Gesù Cristo che chiede di essere alimentata dall’inquietudine della ricerca, a lasciarsi conquistare da Cristo; lasciarci trovare, raggiungere e trasformare da Lui» (cf. Rallegratevi).
Nel lettera Scrutate, il papa propone una serie di sfide alla vita religiosa che non possiamo lasciar cadere poiché costituiscono l’essenza della nostra sequela: essere uomini e donne gioiosi, capaci di svegliare il mondo, di esercitare la nostra dimensione profetica; uomini e donne “esperti in comunione”, capaci di impegnarsi nelle realtà più angosciose di questo mondo e docili all’azione dello Spirito (cf. Scrutate, seconda parte, attese per l’Anno della vita consacrata).
Questo desiderio del Papa coincide perfettamente con ciò che santa Teresa intende con «essere veramente spirituali», vale a dire, identificarsi pienamente con il Signore Gesù che seguiamo (cf. Settime Mansioni, 4,8).
Il Signore ci dia il coraggio di metterlo in pratica e di poter continuare ad essere così trasmettitori di speranza nuova e di fraternità riconciliata nell’amore.
Luis Hernando Alzate Ramírez OCD