Dall'Osto Antonio
Presa di coscienza missionaria
2016/6, p. 30
Lo sviluppo della missione e di una prassi missionaria in America latina, per molto tempo latente, ha ricevuto dalla Conferenza di Aparecida un formidabile impulso. È nata così una Chiesa in grado oggi di offrire col suo dinamismo all’antica Chiesa il tesoro della sua fede e un modello di vita cristiana che va dalla periferia al centro.
Recenti sviluppi nella Chiesa dell’America latina
PRESA DI COSCIENZA
MISSIONARIA
Lo sviluppo della missione e di una prassi missionaria in America latina, per molto tempo latente, ha ricevuto dalla Conferenza di Aparecida un formidabile impulso. È nata così una Chiesa in grado oggi di offrire col suo dinamismo all’antica Chiesa il tesoro della sua fede e un modello di vita cristiana che va dalla periferia al centro.
La Chiesa dell’America Latina, a partire soprattutto dalla conferenza generale dei vescovi ad Aparecida (2007), ha impresso un forte impulso missionario a tutta la sua azione pastorale. Oggi è una delle Chiese più dinamiche del mondo nel campo della missione: non solo svolge l’attività missionaria al suo interno, ma invia missionari anche all’estero, come era stato per l’Europa e l’America del nord, fino a non molto tempo fa.
Come è avvenuto questo cambiamento? Ce lo descrive Michael Huhn, uno storico tedesco, responsabile dei problemi teologici dell’opera latino-americana Adveniat, con sede in Germania, ad Essen, in un articolo pubblicato nella rivista Ordens-Korrespondenz della Conferenza dei superiori maggiori tedeschi.
Una coscienza che ha
tardato a risvegliarsi
Nella Chiesa dell’America Latina, scrive M. Huhn, in passato quando si parlava di missione si intendeva l’attività evangelizzatrice presso le popolazioni cosiddette “pagane” del continente. Ma a partire dalla metà del secolo XX, il 95/99% della popolazione latino-americana era già ormai tutta evangelizzata, l’attività missionaria poteva dirsi conclusa. Se si parlava ancora di “missioni” ci si riferiva ai piccoli gruppi etnici della foresta o delle lontane montagne. L’attività era lasciata agli istituti religiosi e affidata a strutture giuridiche quali le Prelature e Vicariati apostolici. Inoltre, i missionari che agivano in quelle località erano soprattutto stranieri, provenienti dall’Europa o, in parte, dal Nord America. Da sottolineare il fatto che l’America Latina sul cui territorio viveva la maggior parte dei cattolici del mondo, fino alla metà del secolo scorso riceveva esclusivamente missionari da fuori, mentre, da parte sua, non effettuava nessun invio. L’animazione della coscienza missionaria era affidata alla Pontifica Opera per la propagazione della fede che, a partire dal 1977, organizzava ogni quattro anni i Congresos misioneros latinoamaericanos y Caribeños (COMLA) e, dal 1999, quando furono presenti anche delegati del Nordamerica, prese il nome di Congresos Americanos Misioneros (CAM). Questi organismi si ispiravano al Vaticano II e si proponevano di approfondire il fatto che la missione “è compito essenziale della Chiesa”. Ma, osserva Michael Huhn, nelle conferenze nazionali dei vescovi e in quelle dei religiosi il tema “Missione” era praticamente assente, come era assente anche negli accesi dibattiti della teologia della liberazione.
Il cambiamento avvenne verso il 1990, mentre ci si preparava a celebrare i 500 anni della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo nel 1492, quando, ripercorrendo criticamente la storia missionaria del passato, si cominciò a domandarsi di quale missione aveva bisogno oggi il continente.
Uno stimolo alla riscoperta della missione nella Chiesa cattolica venne anche osservando ciò che accadeva un po’ dovunque alle porte dei propri luoghi di culto le chiese pentecostali protestanti (inizialmente considerate delle “sette” da parte cattolica), svolgevano attività missionaria, riuscendo ad attirare un numero sempre maggiore di cattolici. La loro missione, sottolinea M. Kuhn, in molte parti si svolgeva in modo analogo a quella dei primi secoli: i cristiani pentecostali bussavano alle porte dei vicini di casa invitandoli a prendere parte alle loro liturgie domenicali. E molti si lasciavano adescare.
Durante la preparazione della quinta Conferenza generale del Consiglio episcopale latinoamericano (CELAM), apparve chiaro che la “Missione” doveva costituire uno dei temi principali da mettere in agenda. L’assemblea si svolse dal 13 al 31 maggio 2007, presso il santuario mariano dell’Aparecida sul tema “Discepoli e Missionari di Gesù Cristo, affinché i nostri popoli abbiano vita in Lui. “Io sono la Via, la Verità e la Vita” (Gv 14, 6).
Nel lungo documento finale (554 numeri), fin dalle prime parole dell’Introduzione si legge: «Nella luce del Signore risorto e con la forza dello Spirito Santo, noi vescovi dell’America ci siamo riuniti ad Aparecida, Brasile, per tenere la V Conferenza generale dell’episcopato latino-americano e dei Caraibi. Lo abbiamo fatto come pastori che vogliono continuare a stimolare l’azione evangelizzatrice della Chiesa, chiamata a trasformare tutti i suoi membri in discepoli e missionari di Cristo, via, verità e vita, affinché i nostri popoli in lui abbiano la vita» (n. 1).
Prima di allora, rileva M. Kuhn, la Chiesa cattolica dell’America latina nel suo insieme e i suoi teologi non avevano colto questo importante concetto del “discepolato” presente nei Vangeli. Solo il movimento Renovação Carismática Católica osava parlarne nelle sue “scuole di discepolato”. Molto diversamente invece avvenne nelle chiese pentecostali che denominavano le loro comunità “Chiesa dei discepoli”, “Assemblea dei discepoli”, ecc. Queste chiese giunsero a identificare i due termini “discepoli” ed “evangelici” e a rivendicare l’esclusivo “diritto di essere discepoli”, dicendo: «Noi siamo i veri discepoli, invece voi seguite gli insegnamenti della Chiesa cattolica».
La svolta
di Aparecida
Ben diverso è quanto si afferma nel documento finale di Aparecida, alla cui redazione finale offrì un notevole contributo l’allora l’arcivescovo di Buenos Aires, il card. Giorgio Bergoglio. È un testo di forte ispirazione biblica che indica la Sacra Scrittura come fonte di tutta la missione, dove si dice: «I discepoli di Gesù anelano a nutrirsi con il pane della Parola: vogliono accedere a un’interpretazione adeguata dei testi biblici, e utilizzarli come mediazione di dialogo con Gesù Cristo; vogliono inoltre che siano l’anima della stessa evangelizzazione e dell’annuncio di Gesù a tutti» (n. 248). A questo scopo, i vescovi raccomandano in particolare la lectio divina (n. 249). Nell’ascolto della parola di Dio, è sottolineato, è Dio stesso presente, ma egli è presente anche «nelle migliaia di comunità, con i loro milioni di membri, che non hanno l’opportunità di partecipare all’eucaristia domenicale» (n. 253).
Secondo la migliore tradizione latino-americana, nel documento di Aparecida il termine “parola” non è una semplice “parola”, ma uno stimolo alla prassi: «Gesù andò a incontrare persone che si trovavano in situazioni molto diverse: uomini e donne, poveri e ricchi, ebrei e stranieri, giusti e peccatori... Oggi continua a invitarci a incontrare, in lui, l’amore del Padre. Proprio per questo il discepolo e missionario dev’essere un uomo o una donna che rende visibile l’amore misericordioso del Padre, specialmente ai poveri e ai peccatori» (147). «Nell’esperienza ecclesiale di alcune Chiese dell’America Latina e dei Caraibi le comunità ecclesiali di base sono state scuole che hanno aiutato a formare cristiani impegnati nella propria fede, discepoli e missionari del Signore, come testimonia la dedizione generosa, fino a versare il proprio sangue, di tanti suoi membri» (178).
«Come discepoli e missionari al servizio della vita, accompagniamo i popoli indigeni e autoctoni nel percorso di rafforzamento delle loro identità e delle loro organizzazioni, nella difesa del loro territorio, in un’educazione interculturale bilingue e nella difesa dei loro diritti» (530). «I discepoli e missionari di Cristo promuovono la cultura della condivisione in tutte le sue dimensioni, in contrapposizione alla cultura dominante dell’accumulo egoista; adottano seriamente la virtù della povertà come stile di vita sobrio» (540).
Oggi, sottolinea M. Kuhn, noi leggiamo queste affermazioni come degli annunci profetici. A distanza di sei anni da Aparecida il suo redattore principale è diventato il Papa (papa Francesco).
Un’altra fonte in grado di imprimere energia alla missione, scrive il documento, oltre ai sacramenti, alla parola di Dio e alla prassi basata sull’esperienza dell’amore misericordioso del Padre, è la devozione popolare della gente “semplice”: «Non possiamo svalutare la spiritualità popolare o considerarla una modalità secondaria di vita cristiana, perché sarebbe come dimenticare il primato dell’azione dello Spirito e l’iniziativa gratuita dell’amore di Dio. Nella pietà popolare è contenuto ed espresso un senso intenso della trascendenza, una capacità spontanea di appoggiarsi a Dio e una vera esperienza di amore teologale. Essa è, pure, un’espressione di sapienza soprannaturale, perché la sapienza dell’amore non dipende direttamente dall’illuminazione della mente, ma dall’azione interna della grazia» (n. 263). «Questa pietà «manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere» (n. 258). «Nei diversi momenti della fatica quotidiana, molti ricorrono a qualche piccolo segno dell’amore di Dio: un crocifisso, un rosario, una candela che si accende per fare compagnia ad un figlio nella sua infermità, un Padre nostro balbettato tra le lacrime, uno sguardo profondo a un’immagine amata di Maria, un sorriso rivolto al cielo, in un momento di sincera gioia» (n. 261).
Ad Aparecida, i vescovi hanno affermato: «Assumiamo l’impegno di una grande missione in tutto il continente, che ci richiederà di approfondire e di moltiplicare le ragioni e le motivazioni che devono trasformare ogni credente in un discepolo missionario» (n. 362). Una particolare attenzione dovrà essere attribuita alle grandi città, dal momento che l’America Latina è uno dei territori più urbanizzati del mondo. È perciò importante, scrive il documento, trovare un linguaggio che corrisponda alle popolazioni delle città e al loro modo di vivere. Purtroppo, sottolineano i vescovi, la Chiesa «utilizza linguaggi poco significativi » (n. 100d). Poiché le città crescono in maniera così vorticosa, le grandi comunità o le grandi parrocchie sarebbero un errore. Occorre piuttosto un «frazionamento delle parrocchie in unità più piccole, in modo da ottenere una maggiore vicinanza e un servizio più efficace» (n. 115c), e «un decentramento dei servizi ecclesiali» (n. 518n).
I frutti
di Aparecida
Ma, osserva M. Kuhn, i documenti ecclesiali sono notoriamente una cosa, mentre la realtà quotidiana è un’altra. Non tutte le diocesi e non tutte le comunità erano disposte ad accogliere l’invito di Aparecida. Ci sono stati tuttavia molti buoni esempi di congressi nazionali come in Brasile, Argentina, Cile, Perù, Ecuador, Colombia, Messico, e iniziative locali ancora più importanti come a Santiago del Cile, dove i cristiani nelle comunità di base leggono degli estratti del documento di Aparecida, e si chiedono: «cosa vuol dire questo per noi?»
Una prassi che dà buoni risultati è anche quella delle Santas Miss��es Populares “missioni popolari di nuovo tipo” che hanno ricevuto un nuovo impulso da Aparecida.
Un altro frutto è il crescente invio di missionari dall’America latina in altri continenti, in particolare dalla Colombia e dal Brasile. Attualmente ci sono suore brasiliane che operano in Angola e in Mozambico, grazie anche all’identità della lingua.
«La sopra ricordata direzione a senso unico dei missionari è perciò terminata», sottolinea M. Kuhn. Il crescente collegamento sud-sud costituisce uno degli sviluppi ecclesiali più interessanti degli ultimi anni».
Il sorgere di una coscienza missionaria in America Latina – e il conseguente sviluppo, almeno in diverse parti, di una prassi missionaria – conclude M. Kuhn – può offrire un esempio alla Chiesa di tutto il mondo. Nelle Chiese del sud (protestanti e cattoliche) lo “slancio missionario” attualmente è di gran lunga più vivace che nelle chiese del nord. Inoltre, oggi la missione prende un’altra direzione rispetto al passato: dal sud verso il nord e dall’ est verso l’ovest. Il teologo gesuita indiano Felix Winfred parla di una “cattolicità in senso inverso”, ossia di una Chiesa universale che si espande non più secondo la forma consueta in cui “i fili sono tenuti tutti insieme a Roma,” ma anche attraverso una seconda nuova modalità: quella della periferia che arricchisce il vecchio centro e l’intera Chiesa con il tesoro della sua fede e le sue forme di vita cristiana.
A.D.