Chiaro Mario
Giustizia nell'economia globale
2016/6, p. 27
Un apposito gruppo di lavoro di gesuiti, di varie parti del mondo, ha inteso rispondere agli appelli del pontefice con un Rapporto speciale nella rivista “Promotio Iustitiae” (1/2016 n.121), del Segretariato per la giustizia sociale e l’ecologia della Compagnia di Gesù, intitolato Giustizia nell’economia globale. Costruire società sostenibili e inclusive.
Rapporto della rivista sj “Promotio justitiae
GIUSTIZIA
NELL’ECONOMIA GLOBALE
Un apposito gruppo di lavoro di gesuiti, di varie parti del mondo, ha inteso rispondere agli appelli del pontefice con un Rapporto speciale nella rivista “Promotio Iustitiae” (1/2016 n.121), del Segretariato per la giustizia sociale e l’ecologia della Compagnia di Gesù, intitolato Giustizia nell’economia globale. Costruire società sostenibili e inclusive.
Nonostante una serie di fattori positivi a livello di crescita globale (maggiore accesso all’educazione, migliore assistenza sanitaria, tecnologia più avanzata e sistema di comunicazioni più rapido), il Rapporto conferma che molti uomini e donne del nostro tempo continuano a vivere in condizioni di estrema povertà e tanti sperimentano una quotidiana precarietà. La comunità umana globale si trova a un punto critico: saranno le conquiste economiche raggiunte in grado di arrecare beneficio a tutti oppure saranno esclusive di una minoranza privilegiata? Per rispondere a questa domanda, in cinque brevi capitoli, si indica l’ingiustizia delle profonde ineguaglianze esistenti oggi e la necessità che vengano risolte. Si prendono in esame i nessi tra povertà e violenza, e si evidenziano quali danni all’ambiente incidano più pesantemente sui poveri, affermando l’esistenza di un legame inscindibile tra responsabilità ecologica e giustizia economica. La speranza degli studiosi gesuiti è di «offrire un'occasione “ignaziana” di passare dalla riflessione a un più accurato approfondimento, all’azione e alla trasformazione, senza escludere una nuova riflessione e preghiera».
Le principali
sfide dei nostri giorni
Una puntuale ricognizione dei “segni dei tempi” (cap. II) mostra come «alcune forme di progresso e di sviluppo ci offrano ampie possibilità di alleviare le sofferenze e salvare il pianeta. Hanno infatti reso la vita nel 21° secolo per molti più appagante, ma hanno messo in evidenza che esiste un qualcosa di profondamente sbagliato nei rapporti economici mondiali, visto che così tanti non riescono a raccogliere i benefici che derivano dalle forme di sviluppo più adeguate e soddisfacenti». Tutto questo ci permette di leggere meglio le sfide che ci troviamo ad affrontare.
La prima è quella dell’indigenza. Nel corso degli ultimi decenni si è avuta una notevole crescita economica con la conseguente crescita nella produzione di beni e servizi da parte di molte comunità del mondo, con paesi in via di sviluppo che hanno addirittura segnato tassi di crescita superiori rispetto a nazioni industrializzate. «Questo fatto ha contribuito a ridurre nel mondo il numero di persone che versano in condizioni di estrema povertà, vale a dire che vivono con un reddito giornaliero inferiore a 1,90 dollari. Ciò significa che abbiamo conseguito l'obiettivo di sviluppo del Millennio di dimezzare la quota di popolazione mondiale che vive in condizioni di povertà con cinque anni di anticipo sul traguardo originariamente fissato per il 2015, facendo scendere la quota di popolazione che versa in condizioni di indigenza dal 44% del 1981 al 12,7% del 2012». Ciò nonostante, il numero delle persone indigenti nel mondo permane inaccettabilmente elevato: un esempio è quello dell’Africa subsahariana dove il numero degli indigenti è raddoppiato passando dai 205mln del 1981 ai 414mln del 2015. Tra il 1990 e il 2015 la mortalità infantile al di sotto dei cinque anni di età si è ridotta di oltre il 50%, salvo che nell’Africa subsahariana e in zone sottosviluppate dell’Oceania. L'Africa subsahariana, in particolare, deve ancora affrontare le maggiori sfide, in quanto quasi metà della crescita demografica globale fino al 2050 avverrà in quella regione. D’altro canto, le aspettative di vita alla nascita sono salite dai 65 anni (uomini) e 69 anni (donne) del periodo 2000-2005, ai 68 (uomini) e 73 (donne) del periodo 2010-2015.
Permangono comunque due aspetti particolarmente preoccupanti: lo stato di miseria per quasi un miliardo di persone (nel 2015 circa 800 milioni di persone nel mondo, 1 su 9 abitanti, non avevano cibo sufficiente per condurre una sana vita attiva) e la possibilità che persone appena al di sopra della soglia di povertà divengano più vulnerabili. «Per povertà non si intende soltanto la mancanza di risorse materiali indispensabili, come il cibo o un’abitazione dignitosa: al caso può voler dire esclusione dall’interazione con gli altri e da una partecipazione alla società senza la quale non si può parlare di esistenza seppur minimamente umana». «Come ha detto papa Francesco, “ogni cristiano e ogni comunità sono chiamati a essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri, in modo che essi possano integrarsi pienamente nella società” (Evangelii gaudium 187)… Portare giustizia ai poveri è oggi un aspetto fondamentale della vocazione cristiana e gesuita. Il dovere di garantire la dignità delle persone è un prerequisito della giustizia».
Un’ulteriore sfida riguarda la ferita sociale della disuguaglianza, che ha avuto un trend di crescita in quasi tutti i paesi fin dal 1980. «In molti paesi si è registrato un rapido aumento delle ricchezze e dei redditi da investimenti in una fetta relativamente piccola di popolazione di per sé ricca, mentre i redditi della classe media e quelli delle famiglie a basso reddito hanno avuto un andamento verso l’alto assai più lento o nullo. Se da un lato alcuni poveri hanno visto migliorare marginalmente le proprie condizioni economiche, i ricchi hanno avuto un aumento esponenziale dei propri redditi. Nei fatti, meno di 100 persone nel mondo detengono una ricchezza maggiore di metà della popolazione mondiale».
Le donne sono più esposte a povertà e disparità economiche degli uomini: in molti paesi in via di sviluppo solo metà delle donne in età lavorativa gode di un reddito; la disoccupazione è più alta tra le donne (le prime a essere licenziate in caso di crisi) ed esse percepiscono stipendi del 10-30% inferiori agli uomini. Dal canto loro, i giovani sono sempre più esclusi dal mercato del lavoro, dalle istituzioni, impossibilitati a formarsi una famiglia e una cerchia sociale. I più anziani poi hanno prospettive desolanti: alcuni continuano a lavorare fino a un’età molto avanzata, spesso con lo spettro della povertà e di abusi da parte della società e dei familiari. Lo stesso vale anche per alcune minoranze etniche, popolazioni indigene e migranti, vittime di emarginazione. «L’attuale allargamento della forbice preoccupa in modo particolare… L'aumento della disuguaglianza è andato di pari passo con l’insorgenza di mercati competitivi in maniera imperfetta (oligopoli o monopoli) e a scambi finanziari non regolati o deregolamentati». «Le disuguaglianze che danno origine a profonde divisioni all'interno della comunità umana, condannando molti milioni di persone alla totale indigenza, sono contrarie ai piani di Dio per l’umanità e al senso stesso della nostra comune umanità. La comunità cristiana, e in particolare la famiglia ignaziana, sono quindi chiamate a operare con vigore perché siano superate le disuguaglianze che lacerano i nostri paesi e il nostro mondo».
I rischi della finanziarizzazione
e dei conflitti
Una sfida pericolosa è poi costituita dal processo di finanziarizzazione, che ha aperto nuove opportunità economiche sia per gli investitori sia per i consumatori, ma che ha anche reso l’economia sempre più immateriale e lontana da quella reale. «Un processo iniziato con strumenti come i titoli, le obbligazioni e i certificati di debito, si è sviluppato a dismisura in un sistema costituito da strumenti complessi come i derivati, i contratti future, scambi valutari, assicurazione sui crediti». I governi, desiderosi di attirare capitale e di incrementare la crescita nazionale, hanno deregolamentato i mercati finanziari riducendone la capacità di limitare i flussi finanziari e di proteggere i cittadini. «Il capitale tende ad andare dove c’è maggior guadagno anziché dove è più necessario, producendo così modelli diseguali di investimenti nei vari territori e popoli. I recenti sviluppi sollevano seri interrogativi circa l’adeguatezza dei mercati finanziari, quando sono lasciati a sé, di funzionare come strumenti efficaci per la crescita del benessere e della giustizia (Laudato si’ 109)».
Le ferite economiche inferte dalla povertà e dalla disuguaglianza dividono le società in forme sempre più pericolose e conducono spesso a conflitti. L’esplosione di un violento conflitto riduce la crescita economica e l’inclusione sociale; un circolo vizioso di ingiustizia economica e conflitto sociale rischia di causare maggiore sofferenza umana e perdita di speranza. «La concentrazione di redditi e ricchezze nelle mani di pochi può riconoscere a questi ultimi il monopolio sul controllo della direzione del cambiamento economico, con conseguente ulteriore polarizzazione del potere e un maggiore rischio di collasso sociale… Questi fenomeni di disparità economica ed esclusione accrescono le pressioni che inducono alla migrazione. In effetti, buona parte della migrazione che avviene all’interno di una regione o verso il nord della regione stessa, come pure da questa verso tutti i continenti, si deve al modo in cui la povertà ha reso la vita invivibile per chi decide di migrare. La si potrebbe definire una fuga dalla violenza». E ancora, chi vive ai vertici della società spesso ha costruito le proprie ricchezze sottraendo terre o altre risorse materiali indispensabili ai poveri per la sussistenza propria e delle loro famiglie.
Nuova visione
e nuova spiritualità
L’ultima sfida citata nel Rapporto è quella dello sfruttamento del pianeta: «Come ha fatto presente il papa nella sua enciclica Laudato si’, l’attuale ritmo di estrazione delle risorse naturali non è sostenibile. L'analisi scientifica indica che se i consumi proseguiranno con l’andamento odierno ci troveremo di fronte a gravi rischi sia per la stabilità ecologica sia per il benessere dell'umanità. Attualmente i modelli di attività economica come l’eccessiva estrazione mineraria, la pesca sconsiderata, la deforestazione ecc. danneggiano tanto l’ambiente quanto i poveri. La capacità limitata del pianeta di trasformare i residui tossici è uno degli aspetti del problema che lo minaccia e che crescerà esponenzialmente se non si provvederà al riguardo». L’effetto squilibrato del degrado ambientale sui poveri è stato trattato dalla task force nel capitolo sulla missione gesuita nel contesto della crisi ecologica dello studio “Ricomporre un mondo frantumato” (2011): prevedibilmente vedremo milioni di persone divenire veri e propri rifugiati per effetto del degrado ambientale. Una risposta a tutte queste sfide (povertà, disuguaglianze, finanziarizzazione senza regole, conflitto sociale e degrado ambientale) dovrà essere concepita nell’ottica di una prospettiva di bene comune. «Si potrebbe definire il bene comune come un insieme di valori sociali condivisi da tutti i membri di una data comunità quantomeno nella misura richiesta dalla loro comune appartenenza al genere umano. Si tratta di un bene che al contempo torna a beneficio della comunità e di ciascuno dei suoi membri… Un bene realmente comune o condiviso non equivale quindi a un totale aggregato di beni posseduti dai singoli membri della società». Il modo in cui il bene comune torna a beneficio del singolo membro della società è determinato in base a requisiti di giustizia. La tradizione intellettuale cattolica distingue diversi significati di giustizia che possono gettare luce sulle sfide odierne: si distingue la giustizia “commutativa” (esige eguaglianza e reciprocità negli scambi) da quella “contributiva” (chiede partecipazione per rispondere alle necessità di base dei concittadini poveri, creare posti di lavoro per i disoccupati, superare modelli di discriminazione ed esclusione, proteggere la qualità dell’ambiente) e da quella “distributiva” (richiede la distribuzione di ricchezze e risorse mondiali per rendere dignitosa la vita di ogni persona).
La trattazione si conclude citando alcune comuni virtù da promuovere, a partire dal mondo gesuita: «Come ribadisce spesso l’attuale pontefice, dobbiamo diventare amici degli emarginati, dei dimenticati, dei miserabili se vogliamo comprenderli, assisterli; e soprattutto se vogliamo comprendere perché Dio nutre un particolare affetto per quegli scarti della società che così poco contano, seppure mai contano qualcosa. Dobbiamo renderci consapevoli delle nostre abitudini di consumatori… Vivere in semplicità, godere dei rapporti umani e dell’amicizia, favorire una vita familiare e la coesione sociale, divenire cittadini attivi all'interno delle nostre comunità, sono tutti aspetti caratteristici dei frutti di questa spiritualità. Una spiritualità che risponda ai nostri tempi dovrebbe essere fondata su una sollecitudine per la giustizia che vada al di là dei confini nazionali… una spiritualità come questa, immersa nella consapevolezza della relazione che ci lega tutti sul piano umano e globale, non può non contemplare uno spazio speciale di accoglienza e protezione di coloro che sono costretti a diventare migranti e rifugiati».
Mario Chiaro