Dall'Osto Antonio
Valore ecumenico della VC
2016/6, p. 17
La dimensione ecumenica della vita consacrata, non si esprime tanto nell’osservanza dei tre classici voti, ma nel suo radicamento battesimale che accomuna tutti i cristiani. Il mutuo riconoscimento del battesimo è infatti il più profondo fondamento della comunità ecumenica.
Il card. Koch al Colloquio ecumenico di Roma
VALORE ECUMENICO
DELLA Vc
La dimensione ecumenica della vita consacrata, non si esprime tanto nell’osservanza dei tre classici voti, ma nel suo radicamento battesimale che accomuna tutti i cristiani. Il mutuo riconoscimento del battesimo è infatti il più profondo fondamento della comunità ecumenica.
Sono da poco usciti in Sequela Christi gli Atti del Colloquio ecumenico per la vita consacrata, che si è tenuto in occasione della Settimana di preghiera per l’unità, nel gennaio (22-25) dello scorso anno. Il Colloquio era stato organizzato dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e la Congregazione per le Chiese orientali. L’incontro ha riunito un centinaio di religiose e religiosi di diverse esperienze ecclesiali: cattolici, ortodossi, ortodossi orientali, anglicani, protestanti allo scopo di favorire una reciproca conoscenza, pregare, scambiarsi le proprie esperienze e favorire l’unità dei cristiani.
Papa Francesco, che fin dall’inizio del suo pontificato aveva annunciato la volontà di favorire l’impegno ecumenico, incoraggia vivamente questi incontri, come scrive nella lettera apostolica a tutti i consacrati (21 nov. 2015) «perché cresca la mutua conoscenza, la stima, la collaborazione reciproca, in modo che l’ecumenismo della vita consacrata sia di aiuto al più ampio cammino verso l’unità fra tutte le Chiese».
Ma in che modo la vita consacrata può favorire l’ecumenismo, il cammino verso l’unità?
Lo ha spiegato con grande lucidità, durante il Colloquio, il card. Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani. «Un incontro ecumenico dedicato alla vita consacrata, ha affermato in apertura del suo intervento, è un evento tutt’altro che scontato e questo lo vediamo facilmente se gettiamo un breve sguardo alla storia». Per esempio, Martin Lutero non vedeva nella prassi della vita consacrata del suo tempo un sostegno al suo obiettivo riformatore, ma il suo esatto contrario. Difatti, non considerava la massima perfezione e il vivere secondo il Vangelo nella sua interezza quale impegno della vita consacrata dell’epoca, come affermava la teologia dell’epoca, e soprattutto come volevano realizzare in maniera esemplare le comunità religiose di allora. E Filippo Melantone, durante la disputa scoppiata al riguardo nel 1519 disse: «Tale ordine religioso e tutti gli altri devono essere respinti e trasformati in comandamenti di Dio. Essi sono soltanto un’immagine illusoria o idolatrica». A suo parere si trattava di “un’invenzione umana”. Ciò spiega anche la grande mancanza delle comunità religiose nelle Chiese nate dalla Riforma.
Occorre ritornare
alle radici
Di fronte a un atteggiamento così negativo, una visione ecumenica della vita consacrata come forma di vita fedele al Vangelo, ha sottolineato il card. Koch, si è potuta affermare perché è stato possibile individuarne in maniera rinnovata le radici nel tempo quando cristianità ancora indivisa. È da lì pertanto che bisogna partire. Il cardinale ha ricordato come i tre voti di obbedienza, povertà e castità, fraintesi al tempo della Riforma, sono comparsi relativamente tardi nella storia, solamente tra i secoli IX e XIII. Nella vita monastica antica, il voto fondamentale era in realtà uno solo. Era una confessione di una forma di vita che doveva rispecchiare l’esperienza comunitaria di tutti i cristiani. Questo atto venne definito “consecratio”, come ebbe a dire sant’Agostino: “Il cristiano che abbraccia la vita consacrata è un uomo consacrato a Dio”.
In questa dedizione a Dio – commenta il card. Koch – consiste l’unico voto, onnicomprensivo, su cui si fonda la vita consacrata: in realtà i tre voti di castità, povertà e obbedienza non vi aggiungono niente di nuovo. In effetti questi tre voti possono essere compresi soltanto sullo sfondo del racconto biblico delle tre tentazioni di Gesù nel deserto che rappresentano i lati opposti al negativo dei tre voti e sono anche le tentazioni fondamentali che riguardano noi uomini: la tentazione dell’abuso del potere, dell’avidità di possesso e di essere dipendenti dall’apparenza davanti agli altri. In realtà Gesù ci invita, in primo luogo, a pregare affinché sia santificato il nome di Dio e sia superata la nostra tentazione di apparenza e prestigio; in secondo luogo, ci esorta a pregare affinché venga il Regno di Dio e si possa vincere la nostra tentazione di potere e di dominio; in terzo luogo, ci incoraggia a pregare perché sia fatta la volontà di Dio e sia debellata la nostra tentazione di possesso e di egoismo.
«Se andiamo ancora più a fondo di queste tre tentazioni originarie, afferma ancora il card.Koch, vedremo che esse si fondono in un’unica tentazione, ovvero quella di considerare se stessi, i propri bisogni e i desideri del momento come più importanti del Dio vivente». Come ebbe a scrivere Benedetto XVI: «qui appare chiaro il nocciolo di ogni tentazione: rimuovere Dio che di fronte a tutto ciò che nella nostra vita appare più urgente sembra secondario, se non superfluo e fastidioso. Mettere ordine da soli nel mondo, senza Dio, contare soltanto sulle proprie capacità, riconoscere come vere solo le realtà politiche e materiali e lasciare da parte Dio come illusione, è la tentazione che ci minaccia in molteplici forme».
Vita consacrata
e il primato di Dio
Questo, sottolinea il card. Koch, ci porta di nuovo al voto fondamentale della vita consacrata, che consiste essenzialmente nel riconoscere il primato di Dio nella propria vita e vivere sempre in sua presenza. Ecco qual è la vocazione fondamentale della vita consacrata. Come ebbe a dire Giovanni Paolo II, i consacrati devono essere degli “specialisti di Dio”.
«Infatti, prosegue il card. Koch, i cristiani nella vita consacrata non sono in primo luogo chiamati a fare questo o quest’altro, ma sono chiamati ad essere qualcosa di specifico, ovvero il segno profetico della presenza di Dio nel mondo odierno». E «testimoniare la presenza del Dio vivente nelle società sempre più secolarizzate di oggi è la sfida basilare dell’ecumenismo. Riconoscendo questa centralità di Dio, la vita consacrata rende all’ecumenismo un servizio eccezionale».
Vista nell’ottica teocentrica, la vita consacrata si rivela come una bella possibilità ecumenica. Essa non è altro, in fondo, che la conseguenza naturale di ciò che viviamo nel battesimo. E già i segni esteriori ce lo manifestano: entrando nella comunità di vita consacrata, le sorelle e i fratelli ricevono spesso un nuovo nome, che simboleggia il nuovo “io”donato da Cristo al battezzato. Ma con il conferimento di questo nuovo nome si ribadisce e si ratifica quello che era stato posto a fondamento già con il battesimo, nel quale il Dio trino e unico chiama il battezzato per nome. Entrando nella comunità di vita consacrata, i fratelli e le sorelle ricevono anche una nuova veste, che ricorda quella battesimale e ciò significa che essi si sono rivestiti di Cristo. «Tutto questo sta ad indicare che la vita consacrata, in ultima analisi, non può e non vuole essere nient’altro che il più serio adempimento di ciò che costituisce già il fulcro del battesimo cristiano... Poiché il battesimo accomuna tutti i cristiani e il mutuo riconoscimento del battesimo è il più profondo fondamento della comunità ecumenica, la vita consacrata, come coerente realizzazione del battesimo, si rivela quale forma di vita assolutamente ecumenica».
Una vita
al modo degli angeli
Ma «l’importanza ecumenica della vita consacrata è ancora più evidente se consideriamo le sue primissime origini, al tempo, cioè dei Padri della Chiesa. In quell’epoca, la vita dei monaci era definita come la vita al modo degli angeli: la vita consacrata è la vita della comunione degli angeli... Tale definizione si basava sull’idea che la caratteristica essenziale degli angeli è adorare Dio; di conseguenza, diventare monaci è diventare simili agli angeli e nella vita consacrata, l’intera esistenza prende la forma di una permanente adorazione di Dio». In effetti, «essa consiste nell’adorazione, la quale significa che Dio non viene pregato per questo o per quell’altro motivo, ma semplicemente perché è degno di esser adorato».
La Tradizione, prosegue il card. Koch, definisce officium la lode disinteressata che nella vita consacrata viene rivolta a Dio nell’adorazione. Ma questo officium è anche un servizio reso agli uomini e alla società come ci mostra ancora una volta un breve sguardo alla storia: proprio quegli uomini – e tra di essi soprattutto i monaci – che si sono radicati in Dio sono diventati in Europa i maggiori promotori di civiltà e di cultura.
Stare con Gesù
e missione apostolica
Il compito della vita consacrata è dunque vivere e mantenere in un sano equilibrio quelle due dimensioni che caratterizzano l’esistenza cristiana e che sono presentate in maniera esemplare nel racconto di Marco sulla chiamata dei primi discepoli: Gesù “salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. Ne costituì Dodici che stessero con lui e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demoni” (Mc 3,13-14). La prima chiamata dei discepoli, quella di stare con Gesù, spiega il card. Koch, può essere definita come vita apostolica dei dodici insieme con Gesù; la seconda chiamata, quella di predicare e di scacciare i demoni, può essere definita come missione apostolica dei dodici nel mondo».
Queste due chiamate non solo sono inscindibilmente legate, ma nel racconto biblico avvengono in una chiara successione: la chiamata alla missione apostolica segue la chiamata alla vita apostolica con Gesù. Dietro a ciò, osserva il cardinale, si cela la convinzione di Gesù che i discepoli saranno in grado di annunciare il Vangelo e avranno il potere di scacciare i demoni soltanto se, per prima cosa e per sempre, impareranno e sperimenteranno lo stare con lui. Perciò, «la chiamata a stare con Gesù verrebbe sminuita se in essa si vedesse soltanto uno stadio temporaneo, presto sostituito dalla definitiva missione. Il Vangelo di Marco ci suggerisce il contrario». Perciò, considerando attentamente il modo in cui è costruito il Vangelo di Marco, fraintenderemmo la chiamata a stare con Gesù se la comprendessimo soltanto come un tempo limitato di preparazione alla missione, quasi come un certo corso iniziale o un seminario dopo il quale inizierebbe la parte sostanziale, ovvero il tempo in cui i dodici vengono mandati nel mondo come campioni pronti all’intervento. È piuttosto il contrario... La vita apostolica e la missione apostolica nel Vangelo di Marco non sono “due periodi di tempo che si avvicendano, ma due modi di essere intercorrelati della comunità dei dodici, tra cui il secondo presuppone il primo”.
«Per Gesù, la missione dei dodici presuppone lo stare con lui, che rappresenta un processo permanente di apprendimento. In contrasto con questo chiaro ordine di priorità, nel corso della storia fino ai nostri giorni, è ripetutamente emersa la tentazione di attribuire la priorità alla missione apostolica rispetto alla vita apostolica. Ecco perché nello stare dei dodici con Gesù è stato visto soltanto come il luogo e il tempo della preparazione, affinché la missione possa iniziare il più presto possibile... Credo però che il compito speciale e la forza vitale della vita consacrata sia di mantenere sveglio il primato della vita apostolica con il Cristo risorto rispetto alla missione apostolica e questo non semplicemente a parole, ma tramite la testimonianza di una vita consacrata credibile».
A questo punto, conclude il cardinale, «emerge chiaramente anche la più profonda dimensione dell’importanza ecumenica della vita consacrata, espressa da p. Paul Couturier, appassionato pioniere dell’ecumenismo spirituale, con il paragone tra il movimento ecumenico e un monastero invisibile in cui i cristiani delle diverse Chiese nei diversi paesi e continenti pregano insieme per l’unità. Difatti, la preghiera per l’unità non rappresenta soltanto l’inizio del movimento ecumenico con l’introduzione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, ma è e rimane anche oggi il cuore di ogni sforzo ecumenico... È per questo che il decreto del Concilio Vaticano II sull’ecumenismo “Unitatis redintegratio” ha definito l’ecumenismo spirituale come “anima di tutto il movimento ecumenico”.
Antonio Dall’Osto