Intervista del Papa al quotidiano cattolico francese "La croix"
2016/6, p. 8
Il 9 maggio scorso il papa ha rilasciato un’intervista
durante la quale ha affrontato diversi temi di grande
attualità. La riprendiamo in forma sintetica dall’originale
francese.
Radici cristiane dell’Europa
«Bisogna parlare di radici al plurale perché ce ne sono
tante. In questo senso, quando sento parlare di radici
cristiane dell’Europa, temo a volte il tono che può essere
trionfalistico o vendicativo. Ciò diventa allora colonialismo.
Giovanni Paolo II ne parlava con un tono
tranquillo. L’Europa, sì, ha delle radici cristiane. Il cristianesimo
ha il dovere di innaffiarle, ma in uno spirito
di servizio come per la lavanda dei piedi. L’apporto
del cristianesimo a una cultura è quello di Cristo con
la lavanda dei piedi, vale a dire, con il servizio e il dono
della vita. Non deve essere un apporto colonialista».
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Intervista del Papa al quotidiano cattolico francese “La Croix”
Il 9 maggio scorso il papa ha rilasciato un’intervista durante la quale ha affrontato diversi temi di grande attualità. La riprendiamo in forma sintetica dall’originale francese.
Radici cristiane dell’Europa
«Bisogna parlare di radici al plurale perché ce ne sono tante. In questo senso, quando sento parlare di radici cristiane dell’Europa, temo a volte il tono che può essere trionfalistico o vendicativo. Ciò diventa allora colonialismo. Giovanni Paolo II ne parlava con un tono tranquillo. L’Europa, sì, ha delle radici cristiane. Il cristianesimo ha il dovere di innaffiarle, ma in uno spirito di servizio come per la lavanda dei piedi. L’apporto del cristianesimo a una cultura è quello di Cristo con la lavanda dei piedi, vale a dire, con il servizio e il dono della vita. Non deve essere un apporto colonialista».
I migranti
Ma l’Europa può accogliere un numero così grande di migranti?
«È una domanda giusta e responsabile perché non si possono spalancare le porte in maniera irrazionale. Ma l’interrogativo di fondo è sapere perché ci sono tanti migranti oggi. Il problema iniziale sono le guerre in Medio Oriente e in Africa e il sottosviluppo del continente africano che provoca la fame. Se ci sono delle guerre è perché ci sono i fabbricanti di armi – cosa che può giustificarsi per la difesa – e soprattutto dei trafficanti di armi. Se c’è tanta disoccupazione è perché mancano gli investimenti che possono procurare lavoro, come ne ha tanto bisogno l’Africa. Ciò solleva in senso ampio il problema di un sistema economico mondiale caduto nell’idolatria del denaro. Più dell’80% delle ricchezze dell’umanità sono nella mani di circa il 16% della popolazione. Un mercato completamente libero non funziona. Il mercato in sé è una buona cosa ma ha bisogno di un punto di appoggio, di un terzo, lo Stato per controllarlo ed equilibrarlo. È ciò che si chiama l’economia sociale del mercato.
Ma torniamo ai migranti. La peggiore accoglienza sta nel ghettizzarli mentre bisogna invece integrarli. A Bruxelles, i terroristi erano dei belgi, figli di migranti, ma venivano da un ghetto... Questa integrazione è tanto più necessaria oggi, in quanto l’Europa conosce un grave problema di denatalità, a causa di una ricerca egoistica del benessere. Si crea un vuoto demografico».
L’islam
La paura dei migranti si nutre in parte di una paura dell’islam. A suo parere, la paura che suscita questa religione in Europa è giustificata?
«Non credo che ci sia oggi una paura dell’islam, in quanto tale, ma del Daech e della guerra di conquista, tratta in parte dall’islam. L’idea di conquista è inerente all’anima dell’islam, è vero. Ma si potrebbe interpretare, con la stessa idea di conquista, la conclusione del Vangelo di Matteo in cui Gesù invia i suoi discepoli in tutte le nazioni. Di fronte all’attuale terrorismo islamico bisognerebbe interrogarsi sul modo con cui è stato esportato un modello di democrazia troppo occidentale nei paesi in cui c’era un potere forte, come in Iraq. O in Libia, dalla struttura tribale. Non si può andare avanti senza tenere conto di questa cultura. Come diceva un libico qualche tempo fa: “Prima avevamo Gheddafi, ora ne abbiamo 50” . Sostanzialmente, la coesistenza tra cristiani e musulmani è possibile».
La laicità
Qual è, a suo modo di vedere, la buona laicità?.
«Uno Stato deve essere laico. Gli Stati confessionali finiscono male, è una cosa che va contro la storia. Io credo che una laicità accompagnata da una solida legge che garantisce la libertà religiosa offra un quadro per andare avanti. Noi siamo tutti uguali, come figli di Dio o nella nostra dignità di persone. Ma ciascuno deve aver la libertà di manifestare pubblicamente la propria fede. Se una donna musulmana vuole portare il velo, deve poterlo fare. Altrettanto, se un cattolico vuole portare una croce. Si deve poter professare la propria fede non ai margini ma in seno alla cultura. Una piccola critica che rivolgerei alla Francia a questo riguardo è di esagerare la laicità. Ciò deriva da un modo di considerare le religioni come una sotto-cultura e non come una cultura a pieno diritto».
In questo quadro laico, i cattolici come dovrebbero difendere le loro preoccupazioni riguardanti soggetti della società, come l’eutanasia o il matrimonio tra persone del medesimo sesso?
«Spetta al Parlamento discutere, argomentare, spiegare, ragionare. Così cresce la società. Una volta che la legge è votata, lo Stato deve rispettare le coscienze. In ogni struttura giuridica, l’obiezione di coscienza deve essere presente perché è un diritto umano. Anche per il funzionario statale che è una persona umana. Lo Stato deve rispettare le critiche. Questa è la vera laicità. Non si può far piazza pulita degli argomenti cattolici dicendo: “parlate come un prete”. No, essi poggiano sul pensiero cristiano che la Francia ha notevolmente sviluppato».
I laici
“Come fare oggi di fronte alla mancanza di preti?”.
«La Corea ce ne offre un esempio storico. Questo paese è stato evangelizzato da missionari venuti dalla Cina che poi sono ripartiti. Poi, per due secoli, la Corea è stata evangelizzata dai laici. È una terra di santi e di martiri che dispone oggi di una Chiesa forte. Per evangelizzare non occorrono necessariamente i preti. Il battesimo dà la forza di evangelizzare. E lo Spirito Santo, ricevuto nel battesimo, spinge ad uscire, a portare il messaggio cristiano con coraggio e pazienza. È lo Spirito Santo il protagonista di ciò che fa la Chiesa, il suo motore. Troppi cristiani lo ignorano. Un pericolo contrario per la Chiesa è il clericalismo. È un peccato che si commette in due, come il tango! I preti vogliono clericalizzare i laici e i laici chiedono di essere clericalizzati, per facilità. A Buenos Aires ho conosciuto tanti buoni curati che, vedendo un laico capace, esclamavano subito: “Facciamolo diacono!”. No, bisogna lasciarlo laico. Il clericalismo è particolarmente importante in America latina. Se la pietà popolare qui è forte, è proprio perché essa è la sola iniziativa dei laici che non sia clericale. Il clero non lo capisce».
La pedofilia
Che cosa fare di fronte a scandali di pedofilia che risalgono al passato?
«È vero non è facile giudicare dopo decenni di fatti che riguardano un altro contesto. La realtà non è sempre chiara. Ma per la Chiesa, in questo campo, non ci può essere prescrizione. Con questi abusi, un prete che ha la vocazione di condurre un ragazzo a Dio, lo distrugge. Come aveva detto Benedetto XVI, la tolleranza deve essere zero».
Il sinodo e la sinodalità
Per quanto riguarda i due sinodi sulla famiglia «credo che noi tutti ne siamo usciti diversi da quando siamo entrati. Lo dico anche di me. Nell’esortazione post-sinodale ho cercato di rispettare al massimo il Sinodo. Non vi troverete delle precisazioni canoniche su ciò che si può fare, o si deve fare oppure no. È una riflessione serena, pacifica, sulla bellezza dell’amore, su come educare i bambini, e prepararsi al matrimonio... Al di là di questo processo, dobbiamo pensare alla vera sinodalità, almeno ciò che significa la sinodalità cattolica. I vescovi sono cum Petro, sub Petro. È diversa dalla sinodalità ortodossa e da quella delle Chiese greco-cattoliche, in cui il patriarca conta solo su un voto. Il concilio Vaticano II offre un ideale di comunione sinodale ed episcopale. Bisogna ancora farlo crescere, anche a livello parrocchiale, riguardo a ciò che prescrive. Ci sono delle parrocchie che non sono dotate né di un consiglio pastorale né di un consiglio per gli affari economici, mentre il codice di diritto canoniche ne fa loro obbligo. La sinodalità si gioca anche su questo piano».
a cura di Antonio Dall’Osto