Brena Enzo
Vino nuovo in otri vecchi?
2016/5, p. 27
Dal contatto con i responsabili della pastorale diocesana sono emersi elementi descrittivi della realtà ecclesiale, interessanti per una riflessione sul Giubileo straordinario della misericordia.

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Riflessione sul Giubileo nel Triveneto
VINO NUOVO
IN OTRI VECCHI?
Dal contatto con i responsabili della pastorale diocesana sono emersi elementi descrittivi della realtà ecclesiale, interessanti per una riflessione sul Giubileo straordinario della misericordia.
La misericordia deve diventare «l’architrave che sorregge la vita della Chiesa» (Misericordiae vultus, 10). Non un semplice atteggiamento o sentimento, ma un criterio di relazione che dovrà operare a tutti i livelli, poiché la misericordia «diventa il criterio per capire chi sono i veri figli» (ivi, 9).
Dalla convinzione della centralità della misericordia è nata la decisione di un giubileo straordinario che favorisca un profondo rinnovamento. L’Osservatorio religioso del Triveneto (OSRET) ha compiuto un’utile riflessione sul giubileo della misericordia, di cui diamo breve sintesi.
Urgenza di
rinnovamento
Dalle scelte e dall’agenda di papa Francesco, fino ad oggi, traspare la preoccupazione di mettere in atto un rinnovamento capace di risvegliare le coscienze dei cristiani e di attivare in essi energie ancora sopite.
Il papa ha impresso un passo alla Chiesa che esprime la sua intenzione di non accontentarsi di parlare ma passare al vivere. Da qui la decisione di un Giubileo straordinario, indetto a ridosso di un Sinodo straordinario, «senza quasi lasciare alla vita delle chiese diocesane il tempo di metabolizzare le altre proposte in corso (le nuove idee che provengono da Santa Marta, il Sinodo stesso, il convegno di Firenze, la GMG ormai prossima, ecc.) e per raccordare la proposta giubilare con l’attività ordinaria».
A tale scelta si potrebbe eccepire che «il giubileo può sembrare una struttura piuttosto invecchiata» benché rispondente a una tradizione consolidata. Esso, soprattutto, è «tradizionalmente legato al perseguimento dell’indulgenza (plenaria)» attraverso gesti come il pellegrinaggio a Roma, il passaggio dalla porta santa, la confessione e la preghiera. E il concetto di indulgenza richiama «l’immagine del purgatorio e di una pena temporale», alle quali una parte notevole del popolo cristiano non è più familiare o, addirittura, incline a credere. Infatti, più che l’interesse di cercare un’indulgenza e più della cancellazione di una pena in un purgatorio futuro, quel che interessa oggi «è la possibilità di vivere meglio la vita presente».
Attraverso lo strumento giubilare – precisa Castegnaro – sembra che il papa si proponga di rinnovare i significati del giubileo stesso, almeno in tre sensi.
Anzitutto, attraverso la moltiplicazione e delocalizzazione della Porta santa il papa avvicina i luoghi del rito alla quotidianità della vita personale e delle chiese locali e, «per forza di cose assume anche il significato di demagificazione dell’azione giubilare e di desacralizzazione (della Porta santa)». Passa l’idea di un pellegrinaggio ravvicinato, a “chilometri zero”. Alla delocalizzazione corrisponde una riduzione dell’enfasi sul “centro”, affidando alle chiese diocesane buona parte della gestione del giubileo e la sua riuscita.
In secondo luogo, viene ridefinito il significato di indulgenza. In Misericordiae vultus 22 il termine “indulgenza” viene presentato come liberazione dell’impronta negativa lasciata dal peccato (pur perdonato) nell’animo umano, per ritornare a una vita di carità (n. 23), e non come “remissione della pena temporale dei peccati” come proposto dal Catechismo della Chiesa cattolica (n. 1471). Il significato non viene annullato ma «traslitterato», passando da una interpretazione giuridica a una più esistenziale. In breve – sintetizza Castegnaro – «il passaggio giubilare non offre alcunché in via automatica, ma richiede e sostiene l’avvio di un lavoro su se stessi, i cui esiti saranno valutabili in termini di misericordia attiva». Questo significato richiede ben di più di quanto richiedesse prima, in termini di «coscienza personale da promuovere».
In terzo luogo, il papa vuole un giubileo della conversione. Egli vuole che i fedeli, nel corso dell’anno santo, «aprano il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali» e perciò invita a riflettere e praticare le opere di misericordia spirituali e corporali. E rimette «al centro con convinzione » (MV 17) anche la confessione, sacramento capace di suscitare gli atteggiamenti di misericordia del Padre se e quando vissuta nella misericordia e non in forme giudicanti. Così il papa riesce a mettere d’accordo il percorso giubilare tradizionale e una sensibilità nuova senza leggerli in alternativa: confessione e carità, entrambi necessari.
Significati
non numeri
Nell’ “otre” del giubileo tradizionale il papa vuole versare il “vino nuovo” di un significato che dall’interno lo trasformi. Perciò, il “successo” del giubileo non conterà dal numero dei partecipanti ma dal significato che il giubileo esprimerà nella vita dei cristiani e delle chiese locali, considerate protagoniste perché il giubileo sia un evento trasformativo e non solo devozionale.
Aspetto problematico di sostanziale importanza è il fatto che, per natura sua, il giubileo si pone come mediatore tra uomo e Dio per una scelta della Chiesa che, avendo il «potere di legare e di sciogliere accordatale da Cristo Gesù, interviene a favore di un cristiano e gli dischiude il tesoro dei meriti di Cristo e dei santi perché ottenga dal Padre delle misericordie la remissione delle pene temporali dovute per i suoi peccati» (CCC 1478).
Ciò suppone che vi siano persone che riconoscano di aver peccato e sentano il bisogno di chiedere misericordia, riconoscendo all’istituzione religiosa il potere di mediare il perdono di Dio. Oltretutto, se fosse pienamente recepita la centralità della carità come effettiva espressione di riconciliazione e chiave del rapporto con Dio, ne potrebbe risultare un modo diverso di intendere la confessione individuale, quasi un’occasione per eludere la confessione auricolare.
Tutto ciò rimette al centro l’incerta evoluzione della religiosità attuale quanto a credenze e pratiche implicite alla prassi giubilare.
Quanto alle credenze – fa notare Castegnaro – la grande maggioranza della popolazione crede nell’aldilà (87%), ma solo il 30% crede nella risurrezione del corpo, e il 14% è incerto. Per due terzi della popolazione ha ancora senso parlare di “peccato” e per la maggioranza c’è un qualche rapporto tra come ci si è comportati in vita e ciò che sarà dopo la morte (54%). Solo il 24% crede vi siano condanna e salvezza eterne in conseguenza dei propri peccati; il 21% pensa che Dio salvi tutti, mentre il 29% è incerto, il 14% pensa a qualcosa di completamente diverso e il 12% non immagina ci sia una vita ulteriore.
Al di là dei numeri, «le credenze in questo campo sono ormai uscite dal quadro delle certezze per entrare entro aree semantiche diverse», per le quali l’idea tradizionale di indulgenza, intesa come cancellazione della pena temporale, ne risulta fortemente intaccata. Il quadro percettivo-cognitivo dell’uomo medio di oggi rende «assai poco scontate alcune delle convinzioni che in passato fondavano le pratiche giubilari».
Proprio a proposito delle pratiche religiose, il loro declino non accenna a diminuire. I dati ISTAT per il 2015 indicano una flessione nella frequenza alla Chiesa che coinvolge ora anche parte della popolazione al di sopra dei 50 anni, non più solo la fascia giovanile. Tutti i sacramenti – fa notare Castegnaro – sono coinvolti in un processo di trasformazione e risignificazione, con significati che non sempre rimangono entro riferimenti canonici. Tra essi, è soprattutto la confessione a patire una «perdita d’incisività», particolarmente nella forma «di un dubbio profondo circa il suo senso e la sua stessa necessità». Si potrebbe pensare che «se non ci si confessa più ciò può dipendere dal fatto che non si riconosce più necessaria la mediazione ecclesiastica per riceverlo[il perdono] o che non si apprezza la forma che questa mediazione assume nella confessione cosiddetta auricolare».
La statistica consegna cifre preoccupanti. Nel Nord Est si confessa almeno una volta all’anno solo un terzo della popolazione autoctona, e di questo il 55% sono persone al di sopra dei 60 anni. La maggioranza della gente del luogo, infatti, è dell’idea che la confessione non sia necessaria (58% della popolazione e 53% dei cattolici). Altri, pur ritenendola doverosa, non sono convinti del modo in cui viene fatta oggi (14% della popolazione e 15% dei cattolici). Come spiegare questi fenomeni?
Tra le spiegazioni possibili, secondo Castegnaro, una appare fondamentale. «La confessione viene a trovarsi al crocevia di quella trasformazione della religiosità il cui senso più profondo non è nel rifiuto della religione e nella chiusura al trascendente, ma nella ridefinizione del rapporto con l’istituzione religiosa derivante dalla spinta all’autonomizzazione del soggetto». In definitiva, non viene messo in discussione il ruolo della religione in quanto tale, ma certi modi di essere, soprattutto «quella forma di controllo istituzionale sulle coscienze che costituisce il lascito più pesante, per la consapevolezza attuale, della tradizione tridentina».
Inteso in modo tradizionale, il giubileo può interessare solo una minoranza di persone anziane; inteso nel modo in cui papa Francesco ne ha ampliato il concetto, il giubileo potrebbe interessare anche fasce della popolazione giovanile, scolarizzata e poco avvezza al confessionale.
Giubileo
e diocesi
La formula di papa Francesco ha di fatto delocalizzato il giubileo, facendo ogni diocesi protagonista dell’evento.
Ovunque porte sono state aperte, simboli esposti, alcune iniziative avviate. Per ora, nulla di particolarmente forte o straordinario. È evidente che il giubileo, per la sua imprevedibilità, è arrivato a sovrapporsi e scompaginare programmi diocesani e parrocchiali. Tra i tanti impegni già in agenda è probabile che per la maggior parte dei parroci il giubileo si riduca alla logica del: «quest’anno la gita-pellegrinaggio la facciamo al giubileo».
È difficile prevedere quanto le diocesi riusciranno a sostenere tutte le sollecitazioni che giungono dalla realtà locale e da quelle che il papa non fa mancare. «È difficile pensare – afferma Castegnaro – che il giubileo possa sostituire i programmi pastorali locali», per cui si cercherà di integrare o aggiungere ad essi qualcosa che dica riferimento al giubileo.
Altra questione, relativa ai contenuti, è: «quali messaggi verranno elaborati e proposti, quali significati verranno attribuiti all’evento giubilare?». Il moltiplicarsi delle iniziative finirebbe per danneggiare il giubileo e l’aspetto di interiorizzazione dei contenuti dell’evento.
E ancora: i parroci parleranno del giubileo? E lo faranno a partire da quali fonti: da quelle del catechismo o dalla lettura del documento d’indizione di papa Francesco? Hanno preso coscienza della tensione esistente tra le due facce del giubileo? Quale prediligono?
Castegnaro fa notare che una ricerca in rete denota una lettura piuttosto “opaca” della proposta giubilare. E non poche responsabilità sono dei centri diocesani: «hanno deciso di impegnarsi o stanno un po’ a vedere, lasciano fare o cercano di orientare?... Si preferisce mettere in luce il vino nuovo o l’otre vecchio?».
C’è da chiedersi quanto le diocesi siano convinte della direzione indicata da papa Francesco e quanto riconoscano al giubileo di essere occasione importante per sostenere il rinnovamento della Chiesa. «Non è detto che nelle chiese italiane i tempi per definire ciò in cui credono rispetto a queste prospettive siano già maturi».
Un nodo fondamentale della ricaduta a livello diocesano del giubileo è il rapporto tra cammino giubilare in vista dell’indulgenza e/o orientato a promuovere opere di carità: la prima è una via meno impegnativa, la seconda richiede maggior investimento di idee e risorse.
«E, se si tenta di esplorare strade nuove… quale tipo di equilibrio si cerca di promuovere tra misericordia da ricevere, legata alla dimensione del peccato, e misericordia operata, legata alle risposte da attivare?». Che cosa cambia o aggiunge il giubileo una volta che appare relativamente desacralizzato e integrato nella vita delle chiese locali? E che cosa genera nell’animo dei fedeli tutto questo per passare dalla misericordia ricevuta a quella operata?
Ultimo interrogativo: quanto è compreso il carattere collettivo, di popolo, tipico del giubileo? Quanto fa sentire e conferma l’identità di popolo vivere l’esperienza del giubileo? Che cosa lascia nei fedeli che lo vivono?
Tutte queste domande mettono in evidenza la valenza propulsiva dell’iniziativa di papa Francesco, l’efficacia di aver messo a tema la misericordia, principio attivo della vita cristiana. La scelta di Francesco esprime la sua preferenza per una Chiesa che si interroga e si mette in questione in vista della testimonianza, piuttosto che adagiata su un’osservanza supina e rassicurante.
Enzo Brena