Chiaro Mario
Accogliere è la vera emergenza
2016/5, p. 22
Da una campagna di monitoraggio denominata “LasciateCIEentrare” emerge in Italia un quadro del sistema di ospitalità dei migranti e richiedenti asilo fatto di sistematiche violazioni dei diritti umani, di mancanza di percorsi di inclusione sociale, con persone costrette spesso a entrare nei circuiti del lavoro nero.

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Il dramma dei migranti
ACCOGLIERE
È LA VERA EMERGENZA
Da una campagna di monitoraggio denominata “LasciateCIEentrare” emerge in Italia un quadro del sistema di ospitalità dei migranti e richiedenti asilo fatto di sistematiche violazioni dei diritti umani, di mancanza di percorsi di inclusione sociale, con persone costrette spesso a entrare nei circuiti del lavoro nero.
Papa Francesco non cessa di richiamare il dramma odierno dei migranti, che «stanno vivendo in questo tempo una reale e drammatica situazione di esilio, lontani dalla loro patria, con negli occhi ancora le macerie delle loro case, nel cuore la paura e spesso, purtroppo, il dolore per la perdita di persone care! In questi casi uno può chiedersi: dov’è Dio? Come è possibile che tanta sofferenza possa abbattersi su uomini, donne e bambini innocenti? E quando cercano di entrare in qualche altra parte gli chiudono la porta. E sono lì, al confine perché tante porte e tanti cuori sono chiusi. I migranti di oggi che soffrono il freddo, senza cibo e non possono entrare, non sentono l’accoglienza. A me piace tanto sentire quando vedo le nazioni, i governanti che aprono il cuore e aprono le porte!» (cf. Udienza generale 16/3/2016).
A questo grido l’Europa sembra invece rispondere, giorno dopo giorno, con la priorità data alla protezione delle frontiere rispetto alla tutela delle persone. Con milioni di rifugiati in Turchia, Giordania e Libano e decine di migliaia intrappolate in Grecia, Macedonia o nelle e tra le frontiere, le loro vite e il loro futuro sono ora oggetto di un processo di scambio quasi mercantile. Le logiche finalizzate alla autodifesa hanno portato alla costruzione di muri e recinzioni costringendo donne, bambini e anziani a camminare a piedi per chilometri lungo i confini nazionali; hanno causato la rottura dell’unità sulla solidarietà tra i membri dell'UE e messo profondamente in discussione la compassione umana con coloro che soffrono. Essendo barriere rinforzate, i confini sono diventati colli di bottiglia: i rifugiati infatti sono oggi sempre più soggetti a procedure di selezione basati non più solo sulla Convenzione del 1951, ma anche sulla loro nazionalità e la loro città di partenza. I rifugiati provenienti dall'Afghanistan e dal Pakistan sono regolarmente fermati per dare la priorità ai rifugiati provenienti dalla Siria, mentre i rifugiati siriani provenienti da Damasco pare abbiano minor bisogno di protezione rispetto a quelli provenienti da Aleppo.
Il commissario europeo all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos ‒ dopo avere visto di persona la situazione tragica delle circa15mila persone ammassate in mezzo al fango a Idomeni (il campo nato al confine tra Grecia e Macedonia dopo la chiusura della rotta balcanica) ‒ non usa mezzi termini: «non onora il mondo civilizzato, non onora l’Europa» e mostra che «tutti i nostri valori sono in pericolo… Costruire muri non è la soluzione, dobbiamo lavorare insieme, stati membri dell’Ue ma anche paesi vicini per risolvere questa questione nel modo migliore, nel pieno rispetto di tutti quelli che sono qui scappando da persecuzioni, dittature e terrorismo».
Il sistema
di accoglienza in Italia
Questa drammatica situazione sta facendo passare in secondo piano la reale situazione dei migranti già accolti e insediati nei vari centri di accoglienza. Ricordiamo, in particolare, che in Italia il sistema di accoglienza per i richiedenti e titolari di protezione internazionale è frammentato e comprende diverse tipologie di strutture. Sono presenti sul territorio nazionale: centri governativi consistenti in 4 Cpsa (Centri di primo soccorso e accoglienza), 10 Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) e Cda (Centri di accoglienza a breve termine); la rete Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e strutture di accoglienza temporanea denominate Cas (Centri di accoglienza straordinari). Ebbene, secondo gli ultimi dati del Ministero dell’Interno, su circa 100mila migranti e richiedenti asilo accolti nel paese, il 70% è ospitato proprio in un Centro di accoglienza straordinario: questo significa che nella stragrande maggioranza dei casi oggi la gestione dell’accoglienza è affidata a soggetti privati (albergatori, ristoratori, cooperative, imprenditori privati ecc.) che dopo aver partecipato a un bando della prefettura si mettono a disposizione. Siamo dunque ancora in piena logica emergenziale, mentre si sta assistendo alla trasformazione della prima accoglienza in detenzione e si sono creati o si stanno aprendo i nuovi Hotspots, centri di contenimento e di selezione dei migranti appena arrivati in Italia, luoghi privi di uno status giuridico certo, nei quali si realizzano forme diverse di limitazione della libertà personale. Nonostante da anni si parli di arrivare a un sistema unico di accoglienza, sul modello Sprar, la proposta continua a trovare resistenza soprattutto tra i comuni: nell’ultimo bando lanciato dal ministero dell’Interno per ampliare la rete Sprar, su diecimila posti richiesti gli enti locali hanno risposto mettendone a disposizione solo cinquemila. Molti sindaci infatti registrano nei loro territori l’avversione della gente verso una gestione emergenziale con centri di accoglienza straordinari dei migranti: così la cattiva gestione genera razzismo e il razzismo scarica tutte le colpe su coloro che sono, di fatto, le vittime del sistema!
Un’accoglienza che produce
nuova schiavitù
Per leggere dentro questa difficile situazione è nata nel 2011 la campagna di monitoraggio su detenzione amministrativa e rimpatri forzati dei migranti denominata LasciateCIEentrare, che di recente ha reso noto il Rapporto 2016 “Accogliere: la vera emergenza”, sorto in seguito a numerose visite in diverse strutture di accoglienza. Emerge un quadro del sistema di ospitalità dei migranti e richiedenti asilo in Italia fatto di sistematiche violazioni dei diritti umani, di mancanza di percorsi di inclusione sociale, di organizzazioni senza scrupoli, con molte persone costrette spesso a entrare nei circuiti del caporalato e del lavoro nero. Si registrano migranti rinchiusi, anche per molti mesi, in centri di detenzione amministrativa, privati dei loro diritti fondamentali; respingimenti e rimpatri illegittimi; hotel e ristoranti riconvertiti in centri di accoglienza improvvisati, sui quali si concentrano i forti interessi economici di società e cooperative che mettono a rischio l’incolumità stessa dei migranti. «Il sistema accoglienza in Italia non funziona, è fonte di business, è pensato in maniera tale da non produrre inclusione sociale e mantiene gli ospiti, soprattutto i più vulnerabili, in condizione di non raggiungere una propria autonomia», ha denunciato Gabriella Guido, coordinatrice della campagna. Si assiste così a una trasformazione della detenzione amministrativa verso pratiche sempre più informali e quindi alla “clandestinizzazione” dei luoghi nei quali i migranti vengono trattenuti, al fine di una selezione che mira a precludere a una parte consistente di loro l’accesso effettivo alla procedura di protezione internazionale, grazie all’invenzione della categoria del ”migrante economico” priva di riscontri nei testi di legge, ma frutto delle prassi delle autorità amministrative.
Il Rapporto comincia con un’analisi approfondita degli Hotspots in Sicilia, i nuovi centri voluti dall’Unione europea che sarebbero dovuti servire ad accogliere i richiedenti asilo sbarcati nel nostro territorio e ricollocarli negli altri paesi europei. Ne erano previsti sei (di cui uno anche in Puglia, a Taranto), ma al momento ne sono a regime due, quelli di Lampedusa e Trapani. Questi centri stanno diventando sempre più simili ai Cie, i famosi Centri di identificazione ed espulsione, e si stanno connotando come luoghi privi di alcuna base legale in cui i migranti vengono sottoposti forzatamente al prelievo delle impronte digitali, allo scopo del foto-segnalamento, e vengono costretti a una lunga limitazione della libertà personale. Ricordiamo che i richiedenti asilo che riceveranno un diniego, potrebbero essere trattenuti in dette strutture fino all’esito del ricorso (anche 12 mesi) il quale, se negativo (come avviene in gran parte dei casi), potrebbe portare immediatamente al rimpatrio verso paesi che, anche se lacerati da conflitti o governati da dittatori, saranno considerati “sicuri”.
Superare
la malaccoglienza
Dal rapporto emergono dunque le forti anomalie all’interno del sistema dell’accoglienza dei migranti nel nostro paese: un sistema costituito da centri gestiti in modo spesso non trasparente da enti e cooperative, attorno ai quali si muovono forti interessi economici e che producono anche la schiavitù e lo sfruttamento degli ospiti di tali strutture. È il caso dei Cas (Centri di accoglienza straordinaria), portato alla luce anche dalla campagna inCAStrati promossa da Cittadinanzattiva, LasciateCIEntrare e Libera. Come già detto, i Cas in Italia sono 3.090 e ospitano circa il 70% del totale dei migranti che attualmente vivono nelle strutture di accoglienza dislocate sul territorio nazionale (71mila persone su un totale di 98mila). A fronte di questi dati, non esiste neppure un elenco pubblico di tali strutture straordinarie, della loro ubicazione, di chi le gestisce. Non vi è trasparenza sugli affidamenti, sui finanziamenti, sul rispetto degli standard di erogazione dei servizi previsti da convenzioni e capitolati d’appalto. Nel 2015 sono stati visitati 50 Cas in Campania, Calabria e Sicilia: ne esce un quadro fatto di strutture improvvisate quali hotel o pizzerie o vecchi casolari convertiti in centri di accoglienza, dove gli operatori degli enti gestori risultano spesso impreparati, non conoscono neppure l’inglese e sono sprovvisti di formazione in materia di protezione internazionale. La mancanza di assistenza e di percorsi di inclusione sociale provocano nei migranti frequenti casi di depressione oppure li costringono a entrare nei circuiti del caporalato, del lavoro nero, dello spaccio e della prostituzione, considerando peraltro che questi centri si trovano spesso in zone ad altissima criticità sociale. «L’accoglienza in Italia da troppo tempo non fa che produrre schiavitù e sfruttamento dei migranti, mentre continua a rappresentare in troppi casi una fonte facile di guadagno per chi si accaparra i bandi o per chi riceve affidi diretti, motivati dall’emergenza. Una emergenza che ormai impera da oltre quattro anni», ha affermato Yasmine Accardo, autrice del Rapporto.
Anche le visite degli attivisti della campagna, spesso al seguito di parlamentari, in strutture come i Cie (Centri di identificazione ed espulsione) e i Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) hanno rilevato luoghi di malaccoglienza, di deprivazione e lesione sistematica dei diritti dei trattenuti (per quel che riguarda nello specifico i Cie), che debbono essere il più rapidamente possibile chiusi.
Mario Chiaro