Dall'Osto Antonio
Verso la beatificazione
2016/5, p. 16
Isette monaci di Thibirine erano stati prelevati e sequestrati nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996 dagli islamisti del GIA. Il loro assassinio fu reso noto circa due mesi dopo, il 21 maggio, suscitando dovunque una profonda emozione. Sapevano di essere un “potenziale bersaglio” degli islamisti e questo li obbligò a compiere una scelta radicale: o fuggire, come aveva vivamente raccomandato loro il governo francese, o accettare la prospettiva di una morte violenta. Essi hanno scelto di rimanere fino alla fine.
Verso la beatificazione
I sette monaci di Thibirine erano stati prelevati e sequestrati nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1996 dagli islamisti del GIA. Il loro assassinio fu reso noto circa due mesi dopo, il 21 maggio, suscitando dovunque una profonda emozione. Sapevano di essere un “potenziale bersaglio” degli islamisti e questo li obbligò a compiere una scelta radicale: o fuggire, come aveva vivamente raccomandato loro il governo francese, o accettare la prospettiva di una morte violenta. Essi hanno scelto di rimanere fino alla fine.
Sono trascorsi da allora 20 anni. In Francia, la vigilia della scorsa domenica di Pasqua, sono state aperte le commemorazioni del loro martirio, destinate a protrarsi per tutto l’anno. Non si tratta solamente di volgere «uno sguardo al passato – hanno scritto i tre vescovi di Algeria, mons. Paul Desfarges (Costantina), Claude Rault (Laghouat-Gahrdaïa), e Jean-Paul Vesco (Orano) – ma di celebrare «un dono che dura ancora», quello del «martirio dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che costituisce un appello per le nostre vite d’oggi». In queste celebrazioni saranno commemorati anche gli altri 12 consacrati, uccisi durante quello che è stato definito “il decennio nero” della storia dell’Algeria, ma non saranno dimenticati nemmeno «gli imam morti per aver rifiutato di firmare delle fatwa che giustificavano la violenza, inoltre gli intellettuali e i giornalisti che avevano denunciato la strumentalizzazione della religione o del senso della patria».
Evidentemente il riferimento a Tibhirine non ha la stessa eco al di qua e al di là del Mediterraneo. «Qui, scrive un cristiano presente nel paese da lunga data, la gente mette la loro morte in relazione con quella dei 100/150 mila scomparsi durante gli anni neri, è una vergogna, una ferita di cui è molto difficile parlare».
Le commemorazioni non intendono separare la memoria dei monaci da quella dei loro fratelli algerini. Come scrive mons. Desfargues, vescovo di Costantina e amministratore apostolico dell’Algeria, «i nostri martiri sono un piccolo numero tra coloro che sono rimasti fedeli alla loro coscienza e hanno rifiutato la violenza e la menzogna». Ed è proprio questa fedeltà «di amore e di alleanza al popolo algerino» che la Chiesa d’Algeria vuole celebrare e che costituisce anche il significato della sua presenza in questa terra.
Dopo l’assassinio dei monaci, la vita contemplativa è quasi del tutto scomparsa in Algeria, ma ci sono dei segni di una possibile rinascita. Il futuro del monastero di Tibhirine, su cui veglia con grande amore p. Jean-Marie Lassausse, prete della Missione di Francia, è illuminato dalla speranza del sorgere di una nuova comunità – forse il Chemin- Neuf – (una comunità cattolica a vocazione ecumenica, nata da un gruppo di preghiera carismatico nel 1973, che conta oggi 2000 membri) che permetterebbe di continuare a vivere e ad accogliere la gente. Ed è a Midelt, in Marocco, che soffia attualmente lo spirito di Notre-Dame de l’Atlas, dove avevano trovato rifugio Fr. Amedée (morto nel 2008) e Jean-Pierre Schumacher, e dove la vita cistercense continua «in convivialità» con i credenti dell’islam, come testimonia Fr. Jean-Pierre in Tibhirine, l’héritage, una raccolta di testi appena pubblicata in Francia, con la prefazione di papa Francesco. Sulle due sponde del Mediterraneo, scrive il papa, la testimonianza dei monaci di Tibhirine rimane un invito a realizzare questo «dialogo profetico di vita con i musulmani», il solo capace di «vincere la violenza»: una testimonianza che, con gli attentati che si succedono, «assume una nuova dimensione sul modo con cui si può vivere fraternamente, senza ingenuità né concessioni, nel clima di violenza che sembra generalizzarsi qui e nel mondo».
I 19 religiosi/e, compresi i 7 monaci di Thibirine, assassinati in Algeria tra il 1994 e il 1996, potrebbero essere riconosciuti dalla Chiesa come martiri. La Positio per la causa di beatificazione, intitolata Mons. Pierre Claverie e i suoi 18 compagni, è ormai terminata, afferma il trappista francese Thomas Georgeon, nominato postulatore nel 2013. Raccoglie in 7.000 pagine, ad opera del Fr. Marista Giovanni Bigotto, i dati del processo diocesano tenuto ad Algeri. Il processo ha obbligato a ripiombarsi nel contesto geopolitico molto complesso della guerriglia degli islamisti contro il governo di Algeri e il popolo algerino durante il “decennio nero” così definito da mons. Paul Desfarges in una lettera scritta il 20 marzo scorso ai cristiani e amici di Algeria, e firmata anche da mons. Claude Rault, e mons. Jean-Paul Vesco. Tenendo presenti però le «implicazioni diplomatiche e politiche molto difficili» di questo processo, scrive il postulatore p. Georgeon, nessuno può prevedere quando la Santa Sede giudicherà «opportuno» riconoscere il martirio di questi 19 cristiani e di beatificarli. «Anche se la loro presenza in Algeria si iscrive localmente in maniera molto diversa, ci sono però tra loro dei dati comuni». Tutti condividevano le condizioni difficili del popolo algerino, sforzandosi di non prendere partito, «non per neutralità, ma in virtù della speranza», sottolinea il p. Georgeon . Tutti avevano un grande rispetto per l’islam, una profonda fede cristiana e un forte senso di appartenenza alla Chiesa di Algeria, nella certezza che essa doveva continuare la sua missione tra questo popolo.
«Il martirio dei nostri fratelli e delle nostre sorelle – scrivono i vescovi dell’Algeria – rimane un appello alla nostra vita di oggi. Non sono morti perché, sotto costrizione, fosse loro chiesto di rinnegare la fede. Il loro martirio è la testimonianza di un amore fino all’estremo limite, come è detto di Gesù, il quale “amò i suoi fino alla fine” (Gv 13, 1)».
Ecco l’elenco delle 19 persone consacrate uccise, secondo l’ordine cronologico della loro morte: il marista Henri Vergès e la Piccola Sorella dell’Assunzione Paul-Hélène Saint-Raymond, uccisi l’8 maggio 1994; due suore agostiniane missionarie, uccise il 23 ottobre 1994; quattro padri bianchi uccisi il 27 dicembre 1994 a Tizi-Ouzou; due Suore di Notre Dame degli apostoli uccise il 3 settembre 1995; sr. Odette Prévost, delle Piccole Sorelle del S. Cuore, uccisa ad Algeri il 10 novembre 1995.
I sette monaci di Tibhirine, di cui sono state trovate le teste mozzate il 21 maggio 1996, sono: il priore Christian de Chergé, il medico fr. Luc Dochier, i padri Christophe Lebreton e Célestin Ringeard, i fr. Michel Fleury e Paul Favre-Miville e p. Bruno Lemarchand, che stava normalmente a Fès, in Marocco, ma che si trovava a Tibhirine per l’elezione del priore. Infine mons. Pierre Claverie, vescovo di Orano, ucciso il 1 agosto 1996.
Antonio Dall’Osto