Chiaro Mario
No a una politica che alza i muri
2016/5, p. 11
Celebrato a 45 anni dalla istituzione di Caritas Italiana (Sacrofano-Roma 18-21 aprile 2016), circa 600 direttori e operatori di 174 diocesi italiane, hanno riflettuto, a partire dal tema dell’anno giubilare Misericordiosi come il Padre, sulle nuove sfide dell’impegno a servizio dei poveri.

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Il 38° convegno nazionale delle Caritas diocesane
NO A UNA POLITICA
CHE ALZA I MURI
Celebrato a 45 anni dalla istituzione di Caritas Italiana (Sacrofano-Roma 18-21 aprile 2016), circa 600 direttori e operatori di 174 diocesi italiane, hanno riflettuto, a partire dal tema dell’anno giubilare Misericordiosi come il Padre, sulle nuove sfide dell’impegno a servizio dei poveri.
Il card. Montenegro, presidente della Caritas, sin dalle prime battute ha chiesto a tutti di farsi strumenti di una Chiesa «che ama servendo e che serve amando, perché una Chiesa che non serve, non serve a niente. Proprio questo ci chiede l’amore più grande: di non essere più la Chiesa dei riti senza vita, delle tradizioni senza vangelo, delle pratiche stanche, piuttosto, la Chiesa che fa esperienza del Risorto, che lo incontra nella storia e che è capace di proporre la catechesi con il grande libro della storia dove s’incontrano ragazzi che si bucano, donne che si prostituiscono, anziani che dipendono dal gratta e vinci, disperati che fanno ricorso agli usurai, mafiosi che fanno pagare il pizzo, uomini corrotti...». Da qui nasce l’esigenza di riflettere perché la carità sia sempre più competente e con uno stile sempre più attento agli “scartati” dalla società locale e globale. Infatti, ha continuato il presidente, «occorre essere consapevoli che, a differenza di quanto accadeva fino a un recente passato, oggi il concetto di fragilità è un concetto contenitore, in grado di descrivere bene la generalità del rischio di povertà e di marginalità sociale in cui si trova o può venirsi a trovare ogni persona, indipendentemente dal ceto sociale. Chiaramente la presenza di situazioni di fragilità dai contorni non sempre ben definibili esige non solo una politica più mirata ad affrontare le cause del fenomeno, ma anche una crescita della solidarietà sociale e della prossimità nella presa in carico delle situazioni più deboli». In tale contesto, la Caritas, soprattutto, si sente interpellata dalle due specifiche richieste fatte da papa Francesco al recente V Convegno ecclesiale di Firenze 2015: l’inclusione sociale dei poveri (con il loro posto privilegiato nel popolo di Dio) e la capacità di incontro per favorire l’amicizia sociale nel paese cercando il bene comune.
L’inclusione
sociale dei poveri
Della priorità dell’inclusione sociale ha parlato il segretario generale della Cei, mons. Galantino. Dopo aver richiamato le parole e i gesti del papa nel suo viaggio nell’isola greca di Lesbo (viaggio «tanto intenso quanto politicamente scorretto»), ha ricordato l’importanza dello specifico stile cristiano. L’evangelizzazione non separa la parola e la testimonianza, non misura la sua efficacia in termini di presenza o influenza socio-politica, rifiuta il proselitismo e quindi prende le distanze dall'autoreferenzialità e dalla ricerca di potere sugli altri: «l’inclusione dei poveri non sarà mai reale e non apparterrà mai a una Chiesa che, nel suo stile, nelle sue scelte e nelle sue parole, si percepisce come un potere accanto ad altri poteri». La logica del vangelo è logica dell'incontro e l’inclusione dei poveri diventa l’impegno a restituire al povero la dignità che gli è stata sottratta(cf. Evangelii gaudium nn.186-216)!
Proprio questo principio di restituzione è servito a mons. Galantino per ribaltare l’accusa fatta al papa e alla Chiesa di invogliare i migranti alla traversata di mari e deserti: «Il vero motivo che spinge le persone a fuggire dalle loro nazioni non è l’accoglienza in Europa, ma la guerra e le condizioni economiche disastrose in cui queste persone si trovano…. se dovessimo dire chi incentiva, chi fa nascere e ancora continua a provocare l’immigrazione, sono tutte quelle realtà che hanno provocato queste guerre e hanno impoverito queste nazioni. E l’Europa, gli Stati Uniti, non sono assolutamente senza colpe. Povertà e guerra mettono in cammino queste persone. E l’accoglienza che facciamo ai profughi quindi è solo atto di restituzione per averli impoveriti!».
A Sacrofano, Caritas Italiana ha confermato anche il suo impegno nei paesi d’origine dei migranti (vedi la Campagna “Il diritto di rimanere nella propria terra”), lungo le rotte dei profughi, in Italia per l’accoglienza e nelle varie aree di crisi: in Siria e nei paesi limitrofi, a Gaza, in Iraq fornendo alloggi, assistenza sanitaria, generi di prima necessità, istruzione, protezione e assistenza psicologica a donne e bambini.
Un “dossier
informativo
Sul tema dell’accoglienza dei profughi è stato presentato il Dossier informativo intitolato La primavera dei profughi e il ruolo della rete ecclesiale in Italia, dal quale emerge che nel 2015 il flusso di ingresso di migranti in Italia è diminuito del 9% rispetto al 2014: nel 2014 sono arrivate circa 170mila persone, mentre nel 2015 ne sono arrivate circa 154mila. Nel 2015 si è assistito a un cambiamento di rotta, soprattutto per le persone in partenza dal Medio Oriente, dal Corno d’Africa e dall’Asia, che si sono dirette verso la Turchia e sono sbarcate in Grecia: oltre 850mila persone. Dal 1 gennaio al 1 aprile 2016 sono però giunti sulle nostre coste quasi 24mila migranti e la prospettiva è di un aumento ulteriore nei prossimi mesi, vista la chiusura della rotta balcanica, l’implementazione dell’accordo tra UE e Turchia, il permanere della crisi in Medio Oriente e la forte instabilità della Libia, oltre le crisi che attraversano diversi paesi dell’Africa sub-sahariana.
A seguito dell’appello del Papa, che ha chiesto di estendere l’accoglienza (dei richiedenti la protezione internazionale) nelle parrocchie e nelle comunità religiose, nei monasteri e nei santuari, sulla base di un vademecum dei vescovi italiani, si registra un discreto movimento solidale che però in diversi casi fatica a trasformarsi in attivazione di accoglienze. Per questo motivo Caritas e Migrantes stanno seguendo le diocesi per orientare e sostenere questo slancio solidale in maniera più efficace.
Alla data del 15 aprile 2016, hanno risposto al questionario di rilevazione inviato dalla Cei 196 diocesi, che a oggi hanno attive 22.044 accoglienze così ripartite: 13.896 persone (63%) accolte in strutture ecclesiali convenzionate con le prefetture (equiparate ai CAS, strutture temporanee sostenute con fondi del ministero dell’Interno); 4.184 persone (19%) accolte in strutture SPRAR di seconda accoglienza (sempre a carico del ministero dell’Interno); 3.477 persone (16%) accolte nelle parrocchie (grazie a fondi diocesani); infine 491 persone (2%) accolte in famiglia o in altre tipologie di accoglienza realizzate con fondi privati o diocesani). Quasi 4mila persone quindi sono completamente a carico delle realtà ecclesiali. Si può presumere che le accoglienze attive siano superiori a 23mila, cioè circa un quinto dell’intero sistema di accoglienza in Italia.
L’incontro
con le ferite di Cristo
Il sociologo Magatti e l’economista Bruni hanno ragionato sui modi per attraversare la nuova fase storica che si è prodotta dopo la crisi del 2008. Non possiamo più permetterci di seguire il modello di finanziarizzazione che ha prodotto una “vita astratta” fatta di individualismo consumista e che ha portato a una perdita di senso globale: l’azione profetica della Caritas deve oggi contribuire a ricostruire la solidarietà a partire da una nuova sensibilità umana e ambientale. Dallo scambio finanziario e consumista occorre passare allo scambio sostenibile e contributivo; alla cultura aziendale dell’incentivo (che ha finito per imporre la logica dello scarto) va contrapposta una cultura delle virtù e delle relazioni concrete tese a rigenerare coloro che arrivano a noi dalle periferie della vita.
Purtroppo assistiamo invece a una politica che alza i muri per tenere i poveri a distanza, come ha denunciato il card. Tagle, presidente di Caritas Internationalis: «controllare i poveri ci illude di controllare la povertà, tenerli a distanza ci fa credere che non ci siano, oppure che siano abbastanza lontani da non minacciare i nostri privilegi. Gli esclusi diventano scarto, da spremere ancora un po’ per estrarre quel poco di ricchezza che ancora rimane: da parte di trafficanti senza scrupoli, datori di lavoro disonesti, e più recentemente anche alcuni paesi sviluppati, nei quali si propone di confiscare i pochi beni di chi scappa dalla guerra in conto contributo per le spese di accoglienza».
Il dramma della povertà e dell’esclusione «è causa diretta o indiretta di uno stato di conflitto latente o aperto che lacera tutto il pianeta: quella “guerra mondiale a pezzetti”, di cui papa Francesco ha già parlato tante volte. I danni e le sofferenze derivanti dalle guerre non sono distribuiti in maniera equa: sono sempre i più poveri a essere più vulnerabili. E anche quando sono le persone e le comunità più povere a essere impegnate direttamente nel conflitto, è facile riconoscere dietro la loro mano l’interesse di altri: chi scatena la rincorsa alle risorse naturali, chi vende le armi necessarie a combattere oppure tollera il loro commercio, chi costruisce il proprio potere e arbitrio nascondendosi dietro una religione».
Il cardinale filippino, in questo scenario, ha sottolineato l’importanza di suscitare un autentico coinvolgimento di tutta la comunità ecclesiale: spesso nota infatti che il «gruppo di cosiddetti “buoni parrocchiani” delega il servizio della carità a una organizzazione o a un ufficio, piuttosto di farsi coinvolgere in esso. In tal modo abbiamo un’immagine triste della Chiesa. I “parrocchiani attivi” raramente si fanno coinvolgere in servizi umanitari e quelli coinvolti nelle organizzazioni caritatevoli non frequentano incontri sulla Bibbia o l’Eucaristia… Se la Caritas vuol essere un agente di guarigione, non dobbiamo avere paura di vedere e toccare le ferite di Cristo nelle persone ferite».
Orientamenti
per il cammino della carità
Tra le tante reazioni ai lavori riportiamo alcune impressioni di sr. Raffaella Spiezio delle Figlie della Carità di san Vincenzo de Paoli, donna consacrata con il carisma della carità chiamata dal vescovo di Livorno alla guida della Caritas locale: «Mi sta a cuore, come si è detto nel convegno, che in tutte le cose che faccio e nell’incontro con il povero si incontri anche la propria fragilità e si finisca per incontrare Cristo. Nel mio servizio sto ricevendo i frutti di una bella esperienza ecclesiale, dove mi sento davvero valorizzata nella mia femminilità. Stare accanto ai poveri alimenta la mia contemplazione, anche se sono chiamata più a curare un ruolo progettuale e formativo. Ho partecipato a diversi convegni, ma qui respiro un’aria diversa: questo grazie al magistero di papa Francesco, ma anche al magistero del card. Montenegro che per me è una persona speciale che ama i poveri. Mi è piaciuto molto l’intervento del sociologo Magatti, che ha parlato del dopo crisi economica (mentre uno pensa di esserci ancora dentro!) e ha evidenziato che, mentre ora noi siamo molto orientati sul fare, perché tanti sono i bisogni e le persone che bussano alla nostra porta, occorre stare attenti a quel delirio di onnipotenza che ci può prendere: dobbiamo avere chiaro che anche noi siamo poveri e fragili.
Nei lavori di gruppo ho suggerito che la Caritas debba aiutare la chiesa diocesana a puntare molto sulla formazione degli operatori, perché ora è ritagliata tra le tante cose che ci sono da fare: abbiamo invece bisogno di una formazione specializzata perché le povertà sono complesse. Per la formazione poi non si può puntare solo su formatori volontari: c’è bisogno di competenze specifiche (psicologo, pedagogista ecc.), perché stare con persone con fragilità ogni giorno ti si attacca addosso e la sera fai fatica a dormire, ti porti dentro tante situazioni e quindi hai bisogno di un sostegno, di una supervisione che aiuti a non entrare nello stress da burnout».
Don Soddu, nella sua qualità di direttore di Caritas Italiana, ha offerto gli spunti finali raccolti dai tavoli di confronto, dalla tavola rotonda sulla comunicazione, dai momenti di lectio divina e dalle relazioni. «Sentiamo l’esigenza e l’urgenza di “alzare il tiro” nella qualità delle proposte: che siano in grado, cioè, di andare oltre quei margini che probabilmente relegano ancora il nostro essere e i nostri interventi entro la sfera dell’assistenzialismo. Proposte alte che, mentre coniugano in maniera coerente annuncio e testimonianza, abbiano la forza di attuare sì l’inclusione ma attraverso la dilatazione dei confini, dei margini, delle periferie esistenziali creati dall’indifferenza… Non potremo non prenderci cura di chi si prende cura. È questa la nostra prima preoccupazione, una forma di carità indiretta, nascosta, che non si vede, né si vanta. È la nostra prevalente funzione pedagogica esercitata innanzitutto al nostro interno, attraverso il nostro Piano Integrato di Formazione che dovremo completare e realizzare pienamente nel corso dei prossimi mesi».
Il direttore ha anche fatto appello a Caritas Europa per proporre modelli nuovi, che pongano al centro la dignità di ogni persona: «l’accordo (di per sé al di fuori di ogni quadro di legalità fondata sul rispetto dei diritti umani) raggiunto in pochi giorni con la Turchia finalizzato ad escludere molti, fa il paio con l’accordo (anch’esso di fatto frutto di non rispetto dei diritti dei più poveri, i cittadini della Grecia) raggiunto dopo anni di logoranti trattative e perennemente in bilico, appeso ai dettami della finanza senza regole e senza scrupoli. Ecco perché andremo in Grecia con il nostro presidente all’inizio di luglio, a tre anni dalla visita di papa Francesco a Lampedusa: andremo per dire no a questa Europa che arriva a costruire “muri preventivi”, e per dire sì a un’Europa diversa, dove i valori della solidarietà e della giustizia sociale siano al centro della cultura e della politica».
L’udienza conclusiva con papa Francesco ha incoraggiato tutti a perseverare: «con piena fiducia nella presenza di Cristo risorto e con il coraggio che viene dallo Spirito Santo, potrete andare avanti senza paura e scoprire prospettive sempre nuove nel vostro impegno pastorale, rafforzare stili e motivazioni, e così rispondere sempre meglio al Signore che ci viene incontro nei volti e nelle storie delle sorelle e dei fratelli più bisognosi. Egli sta alla porta del nostro cuore, delle nostre comunità, e attende che qualcuno risponda al suo “bussare” discreto e insistente: aspetta la carità, cioè la “carezza” misericordiosa del Signore, attraverso la “mano” della sua Chiesa. Una carezza che esprime la tenerezza e la vicinanza del Padre».
Mario Chiaro