Balocco Francesca
Nella luce della logica pasquale
2016/5, p. 5
“L’arte del passaggio: nella missione risplende la misericordia del Padre”: questo è il tema della 63° Assemblea dell’USMI, l’Unione delle Superiore Maggiori d’Italia, svoltasi dal 30 marzo al 1 Aprile 2016 a Roma, presso il SGM Conference Center.
63° Assemblea dell’USMI
NELLA LUCE
DELLA LOGICA PASQUALE
“L’arte del passaggio: nella missione risplende la misericordia del Padre”: questo è il tema della 63° Assemblea dell’USMI, l’Unione delle Superiore Maggiori d’Italia, svoltasi dal 30 marzo al 1 Aprile 2016 a Roma, presso il SGM Conference Center.
Le giornate, sebbene diverse tra loro per modalità e contenuti, hanno avuto come filo conduttore un invito alla speranza. Siamo in un tempo di grazia che mette in luce la nostra fragilità e debolezza come luogo di manifestazione della potenza di Dio, siamo in un tempo in cui la vita consacrata è chiamata a incarnare profondamente la logica pasquale: il seme che muore nel cuore della terra dà vita a un nuovo germoglio. La speranza della vita consacrata si radica nella capacità di vedere, dalla profondità della terra, i campi di grano che già biondeggiano.
“... Perché
portiate frutto”
Dopo il saluto della Presidente USMI sr M. Regina Cesarato e la presentazione di queste giornate da parte di don G. Laiti, il primo giorno è stato introdotto da don Giacomo Morandi, sottosegretario alla Congregazione per la Dottrina della Fede: “Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto” (Gv 15-16)
Come la comunità dei discepoli sarà riconosciuta come la sua comunità? La direzione da percorrere ci viene offerta da un’immagine: la relazione tra il Signore Gesù e la sua comunità è la stessa presente tra la vite e i tralci, se il tralcio non è nella vite, se il tralcio non vive di questo legame intimo e profondo, muore. Il compito del tralcio è molto semplice: restare nella vite. Questo comporta, da parte del tralcio un attaccamento alla vite e la disponibilità ad essere potato.
Essere discepoli non è solo essere con ma anche e soprattutto essere in, il discepolato è l’intimità con il Signore senza la quale si muore. Rimanere significa restare nella logica del chicco di grano (Gv 12,24); l’unica possibilità di portare frutto è restare, dimorare nella logica pasquale. Tutta la Trinità si attiva perché il tralcio porti frutto, è l’Agricoltore che presiede la potatura, le sorelle, i fratelli, le vicende della vita sono aiuti alla potatura… il discepolo, quindi, è colui che è disposto a lasciarsi potare. Le potature che come Istituti, come consacrati, stiamo attraversando sono funzionali al frutto maturo: l’autenticità del discepolato che, nella visibile fragilità e debolezza, permette alla forza e alla potenza di vita di Dio di risplendere e dimorare.
A partire
dalla fragilità
Nel pomeriggio p. Marko Rupnik sj ha presentato il tema: “La missione, dono di grazia – Una Chiesa che annuncia a partire dalla sua fragilità”. Oggi la missione richiede un cambio di mentalità, è necessario per annunciare rimanere nel Signore, la missione della Chiesa parte dalla fragilità e siamo inviati nella realtà, guardando la realtà con gli occhi di Dio. Questo è il risultato del lungo percorso intrapreso da Dio per incontrare l’uomo, fin nel luogo dove si pensava Dio non potesse mai arrivare: nella tomba. Il Figlio entra nel sepolcro per incontrare l’uomo, e dal fondo dell’abisso Dio stesso gli dà una vita nuova, una vita spirituale, lo prende per mano e lo accompagna al Padre. Questo è il significato del nostro battesimo, da individui diventiamo persone, in Cristo. La missione è dunque teofania, mostrare la grazia di cui siamo destinatari. Siamo invitati, già dal concilio Vaticano II, ad un ritorno al Vangelo e ai Padri, a una memoria che non è ripetizione del passato ma ispirazione. Si apre per la vita consacrata un tempo nuovo: la possibilità di ritornare alle radici per permettere al nuovo di nascere, di rivelare la nostra originalità, la bellezza della comunione. È il tempo di creare scene della vita per manifestare la vita. La missione è rimanere, dimorare, accogliere le potature, portare frutto. La nostra priorità di consacrati è la vita cristiana, siamo in un tempo di grazia, dove non sono possibili ritocchi ma profondo rinnovamento, consapevoli che il germoglio che nasce sarà diverso dal seme che muore.
Segni che indicano
i germogli
La seconda giornata, ha posto attenzione ai segni che indicano il germoglio della novità. P. Lorenzo Prezzi, con un intervento dal titolo “I segni di futuro già presenti nella vita consacrata in Italia”, ha aperto i lavori dell’Assemblea.
Molti i segnali importanti al termine dell’anno della vita consacrata , attraversati da un orientamento comune: l’affermazione del proprio carisma non è fondato sulla diversità, ma sulla comunione. Per la vita consacrata , vissuta nella Chiesa, è tempo di dislocazione: dall’io al noi, dalle istituzioni alle persone, dal bisogno di realizzazione a una felicità che si lega alla redenzione, dalla preoccupazione per i numeri alla preoccupazione per una vita cristiana autentica. Forte è riemersa la coscienza che la vita consacrata dipende da Dio e questa consapevolezza è radice della speranza. Una speranza a cui non manca la capacità di rileggere le crisi, nei governi per mancati processi di aggiornamento, infedeltà per mancanza di radicalità nello stile di vita evangelico, scarso riferimento a Cristo nelle opere, inattuazione della riforma conciliare…
Quali segni, luoghi per un rinnovato e radicato annuncio evangelico? Tre sembrano essere i luoghi attraversati dai nostri contemporanei. Il rapporto problematico con l’umanità e il suo avvenire, dove frammentazione e dispersione appaiono come un grido che chiede di salvare l’umano comune. La minaccia che pesa sulla coesione sociale delle nostre società che diventa appello a riconoscere in queste fragilità i luoghi dell’attesa del Regno. Lo scarso coinvolgimento degli ultimi nelle decisioni che li riguardano che ci invita a rafforzare la ricerca comune e il discernimento comunitario favorendo decisioni condivise. Per quanto riguarda le modalità per vivere questo attraversamento, il riferimento è ai quattro principi proposti da papa Francesco nell’Evangelii gaudium.
Il tempo è superiore allo spazio – principio che ci libera dall’ansia dei risultati immediati, che ci ricorda che la testimonianza è superiore alla professionalità e che la nostra vita consacrata è costitutivamente aperta alla dimensione escatologica.
L’unità prevale sul conflitto – principio che ci conferma dell’importanza delle decisioni collegiali e di percorsi di riconciliazione e di perdono.
La realtà è più importante dell’idea – principio che ci invita a ricordare che le persone che sono al nostro fianco sono più importanti dei nostri legittimi desideri. La domanda di senso e il dono dello Spirito sono vie di risposta al bisogno di umanità e di umanizzazione delle nostre società.
Il tutto è superiore alla parte – principio che ci consente di riconoscere la priorità della responsabilità per l’insieme rispetto alle spinte personali e che ci consente di vivere armonicamente la tensione tra istituzione e carisma.
Quali allora i segni di futuro? Quali risorse e potenzialità per la vita consacrata ?
– Fecondità: ridefinizioni dentro le nostre famiglie religiose tese a rinnovare la comunità e il servizio ai poveri e agli ultimi.
– Parola: centralità e familiarità della Parola di Dio spesso condivisa con i laici, che abbia una ricaduta esistenziale e capacità di custodire la devozione alla luce della Parola e la Parola alla luce degli affetti.
– Limiti: trasparenza ed ammissione dei propri limiti come modo per assumere e rispondere agli scandali.
– Carisma: frutto di un dinamismo profondo non si presenta né in modo astratto né in modo definitivo all’interno dei testi fondazionali, è frutto dello Spirito, speso e vissuto nel servizio ecclesiale.
– Vita fraterna: mistica del vivere insieme, luogo dove l’amore e bellezza diventano manifestazione di salvezza.
– Laici e donne: allargare gli spazi di presenza femminile e laicale all’insegna della valorizzazione della loro capacità di futuro e di apertura oltre i confini del clericalismo.
Profezia: leggere la realtà con gli occhi di Dio in una ricerca costante e appassionata della volontà di Dio fino al martirio.
Gioia: capaci di sperimentare e mostrare la gioia, motore di scelte autentiche.
I segni presenti
nella VC e nel mondo
Dopo un’illuminazione sui segni di speranza nel panorama della vita consacrata in Italia, nella seconda parte della mattinata suor Nicla Spezzati, asc, sottosegretario CIVCSVA, ha trattato il tema: “I segni di futuro presenti nella vita consacrata nel mondo”. Siamo invitati a coltivare un forte senso di realtà, una realtà in continua trasformazione ed evoluzione che ci provoca ad una relazione di senso vissuta ad ogni istante. Il valore della post-modernità è la relazionalità che comporta uno spostamento dall’attivismo strumentale e dall’individualità alla percezione affettiva ed emozionale. Spostamento che comporta la ricerca di relazioni gratificanti e l’investimento di maggior tempo per le interazioni umane. In questo tempo, caratterizzato da una forte globalizzazione, emerge con chiarezza la necessità di cercare sempre nuove forme di cooperazione, di collaborazioni e sinergie, di fare e vivere la comunità. Un chiaro segno di futuro è nella capacità di discernere i segni dei tempi.
La vita consacrata oggi vive una chiamata alla conversione, ad una nuova esperienza di Dio e della coscienza, che passa attraverso tre vie.
– Quaerere Deum: Dio come ragione dell’essere e della missione. Le fraternità sono vive dove il quaerere Deum è ricerca costante, quotidiana, attraverso uno sguardo contemplativo, un umile ascolto della Parola di Dio e la capacità di intercedere per l’umanità. C’è bisogno di comunità aperte all’ospitalità dove, pur nei limiti evidenti, si tesse la koinonia, nella capacità di guardare il mondo, gli altri e se stessi nella misericordia.
– Confessio Trinitatis: protagonista della missione è lo Spirito Santo e la vita consacrata è chiamata a collaborare con lo Spirito oltre i limiti della Chiesa istituzionale. Come essere testimoni di Dio? Essendo presenza nella comunità umana, non solo orientati verso le povertà emergenti, ma con l’attenzione a dove manca il bene, a dove prevale il non senso della vita, il discorso culturale non è secondo alle opere di misericordia.
– Missio Dei: è la missione a fare la Chiesa; la missione è di Dio, Lui può operare la grazia e manifestare Gesù Cristo. Per questo è necessario imparare l’arte del discernimento collegiale, in modo che tutta l’istituzione sia in stato di discernimento per cogliere dove lo Spirito sta conducendo.
In questo tempo emerge anche una nuova coscienza planetaria, che consente di fare esperienza della cattolicità, di esprimere una sinergia tra le diverse vocazioni, di pensare e realizzare modelli di vita in nome della comunione, di intraprendere cammini intercongregazionali e intervocazionali.
La fraternità necessita di processi di reti e relazioni, di un costante confronto con le realtà culturali per evitare, in modo critico, di identificare uno stato di vita con una cultura particolare. Siamo di fronte ad una grande sfida: passare dalla ricerca di una vita di perfezione ad uno stato di permanente conversione per entrare nei luoghi oscuri dell’umano ed essere grembo fecondo che accoglie e fa nascere la vita.
Le opere
di misericordia
La terza giornata di assemblea inizia con l’intervento di suor Annarita Cipollone sjbp: “Le opere di misericordia, perle sulle vie del nuovo umanesimo”. Come la Chiesa è chiamata a stare nel mondo? Il convegno ecclesiale di Firenze del 2015 è un orientamento e un passaggio. Dagli ambiti di vita (Verona 2006), vita affettiva, cittadinanza, lavoro e festa, fragilità, tradizione passiamo ai verbi che delineano cinque vie per vivere pienamente la complessità del nostro tempo: uscire, annunciare, educare, abitare, trasfigurare.
Vivere un nuovo umanesimo significa entrare nei sentimenti di Gesù Cristo e sentirsi raggiunti dalla grazia fino ad abbassarsi, a scendere dentro la storia, riconoscendo che Dio sta dalla parte degli ultimi. Gesù è lo svuotamento di Dio a favore dell’umanità e non è possibile pensare Dio senza dire e pensare l’uomo che si divinizza umanizzandosi a immagine e nella misura di Cristo. La pienezza dell’umanità, a cui l’uomo è chiamato, si deve far strada tra due eccessi: la dis-umanità (la logica dello scarto) e la trans-umanità (l’ideale della perfezione e di un essere umano potenziato in tutte le sue facoltà). Questi eccessi lanciano la sfida di un umanesimo in ascolto, concreto, di interiorità e trascendenza. Ecco allora la possibilità di riscoprire un umanesimo resiliente, capace di custodire la tenerezza, capace di aprirsi all’altro, di mettere in gioco la propria vita; un umanesimo della concretezza, della capacità di mettere insieme, di riunire, di desiderare, di prendersi cura; un umanesimo della nuova alleanza capace di promuovere la cultura dell’incontro, fatta di gesti e di parole, espressione di sacramentalità.
L’umanesimo nuovo che si profila all’orizzonte ha i tratti della misericordia, intesa come rivelazione di Dio e non solo come salvezza per l’uomo, è risonanza in noi del soffrire dell’altro che diventa gesto e cura. Misericordia dunque come manifestazione della grazia, la vita consacrata è chiamata ad essere segno, presenza di misericordia nei luoghi, spesso oscuri, abitati dall’uomo, essere testimone della grazia ricevuta per agire come fermento di speranza, profezia e carità.
Francesca Balocco