Cabra Piergiordano
La mia "imitazione di Cristo"
2016/5, p. 4
Mi sia permesso di essere considerato un nostalgico, dal momento che vorrei parlare un poco del libretto della Imitazione di Cristo, del quale un tempo avevo sentito parlare con venerazione, come del Quinto Vangelo.
LA MIA “IMITAZIONE DI CRISTO”
Mi sia permesso di essere considerato un nostalgico, dal momento che vorrei parlare un poco del libretto della Imitazione di Cristo, del quale un tempo avevo sentito parlare con venerazione, come del Quinto Vangelo.
Le prime ombre sul libro vennero gettate da autori che incolpavano il libretto di pessimismo, obnubilando ulteriormente il clima oscurantista e rattristante della Controriforma cattolica.
Con mia sorpresa la prima lezione del noviziato iniziò con la lettura e il commento del primo capitolo proprio di quel libro, che avrebbe rappresentato il programma di quell’anno misterioso, dove ci si doveva convincere che “Vanità delle vanità: tutto è vanità, all’infuori dell’amare Dio e servire a Lui solo”. Libro oscurantista o illuminante?
L’assidua e raccomandata lettura di quel libretto, mi fece decisamente optare per la seconda parte del dilemma, al punto che quando mi capitò tra le mani una edizione in latino del 1700, lo collocai a portata di mano sulla vettura che avevo in uso, per consultarne di quando in quando alcune righe, specie nelle attese forzate ai semafori rossi. Nei pressanti impegni, quelle righe rappresentavano una boccata d’ossigeno, che faceva respirare l’essenziale.
Un’altra ondata di dubbi sull’attualità del “Kempis”, presunto autore, venne dal clima ottimistico portato dalle correnti che, rifacendosi al Concilio, sostenevano che quel libro andava preso con le pinze, perché predicava la “fuga mundi”, mentre bisognava immettersi nel mondo per trasformarlo. Predicava il “disprezzo del mondo”, mentre bisognava amarlo. Non solo, ma non favoriva la fraternità, per il suo individualismo, espresso anche dal fatto che affermava che “ogni volta che vado tra gli uomini, ritorno meno uomo”.
Il rilievo di misantropia, di sospetto sulle realtà di questo mondo, aggiunta al presunto incitamento al disimpegno, rappresentavano un invito a diffidare di una spiritualità tanto rinunciataria. Qualche motivo naturalmente c’era.
Eppure non riuscivo a staccarmi da quel libretto, che mi faceva compagnia nel traffico della città e nei traffici della vita. Sì, dovevo immergermi nel mondo, ma quante volte il mondo si immergeva in me! E quelle paginette aperte a caso mi ammonivano: “Attento a non lasciarti travolgere”!
Un giorno, mentre mi trovavo in Brasile, parlando con un robusto coltivatore di soia, mi accorsi di avere a che fare con una persona di insolita saggezza. Ad un mio cenno di indagine, sorrise ed estrasse dalla tasca un consunto libretto della ″Imitazione di Cristo″ soggiungendo: “Ecco la mia università”.
Mi convinsi ulteriormente che, se il Kempis non poteva essere considerato un quinto Vangelo, per evidenti e rilevabili limiti, restava tuttavia un libretto aureo, di robusta saggezza, che aiutava a resistere all’inflazione cartacea di nuove ed eteree proposte spirituali di vario genere.
E resto convinto che sia utile tenerlo a portata di mano, anche oggi, per non essere assorbiti da quel mondo, non proprio innocente, al quale siamo inviati, per ricordargli che è “l’amare di Dio e il servire a Lui solo” che può salvarlo dall’ “infinita vanità del tutto”.
Chi non sa che “amare e servire Dio solo” non significa disimpegno, ma comporta l’amare concretamente il Padre proprio servendo i suoi figli?
Se alcuni si uniscono al poeta messicano A. Nervo che rimproverava a Kempis “di vivere in affanno, per un tuo libro che mi fa male”, io mi unisco alla voce di coloro che gli hanno detto per secoli e ancora gli dicono: “Grazie, Kempis, per il tuo libro che mi ha fatto tanto bene”, perché contiene tanta parte del Vangelo, sulla quale è facile sorvolare. Oggi come ieri.
Piergiordano Cabra