Prezzi Lorenzo
L'abisso e la grazia
2016/4, p. 12
Il difficile e drammatico tema degli abusi nella Chiesa si va aprendo con coraggio a riconoscere anche quanto è avvenuto in alcuni anfratti del mondo della vita consacrata. La violenza sulle religiose viene raccontata da A. Deodato con delicatezza e profondità.

Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.

Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Abusi e vita religiosa femminile
L’ABISSO
E LA GRAZIA
Il difficile e drammatico tema degli abusi nella Chiesa si va aprendo con coraggio a riconoscere anche quanto è avvenuto in alcuni anfratti del mondo della vita consacrata. La violenza sulle religiose viene raccontata da A. Deodato con delicatezza e profondità.
«Prima di tutto vorrei che questo libro fosse una testimonianza della fede e della tenacia di queste donne che hanno sofferto nella Chiesa, a causa della Chiesa. Troppa omertà porta ancora a tacere e coprire questa ingiustizia e questa prevaricazione sulla donna consacrata. La Chiesa, ora più che mai, è chiamata a chiedere perdono per questa complicità col male» (p. 221). Con queste parole si chiude il volume di Anna Deodato, Vorrei risorgere dalla mie ferite (EDB, Bologna 2016), dedicato agli abusi sessuali verso le donne consacrate. Un drammatico capitolo, ancora largamene ignoto, che ha portato una di loro a dire: «La Chiesa mi ha costruito e la Chiesa mi ha distrutto». Da qui l’appello: «Quando nel nostro servizio ci capiterà di incontrare sofferenze e confidenze che ci metteranno in contatto con situazioni di forme diverse di abuso, non solo chiediamo la forza di non fuggire, ma anche l’umiltà e il coraggio di metterci in un vero e profondo ascolto. Chiediamo il dono delle lacrime e chiediamo perdono a nome di tutti coloro che non l’hanno fatto» (p. 224).
Una ferita
che resta
Da oltre quindici anni vi è stata una svolta decisiva della istituzione ecclesiale in ordine agli abusi. Norme, pratiche, esperienze, attenzioni, percorsi di recupero, coscienza ecclesiale: molto è cambiato. La Chiesa è oggi l’organismo internazionale che meglio mostra indirizzi e volontà coerenti in merito. Ma come ricordava Benedetto XVI nella più drammatica lettera del suo pontificato, scrivendo ai vescovi e ai cattolici d’Irlanda: «Nessuno si immagini che questa penosa situazione si risolverà in breve tempo… C’è bisogno di perseveranza e di preghiera, con grande fiducia nella forza risanatrice della grazia di Dio» (cf. Regno-doc. 7,2010,194). Il 5 febbraio 2015, papa Francesco istituisce una Commissione per la tutela dei minori e scrive: «Le famiglie devono sapere che la Chiesa non risparmia sforzi per tutelare i loro figli e hanno diritto di rivolgersi ad essa con piena fiducia, perché è una casa sicura. Non potrà, pertanto, venire accordata priorità ad altri tipi di considerazioni, di qualunque natura esse siano, come ad esempio il desiderio di evitare lo scandalo, poiché non c’è assolutamente posto nel ministero di coloro che abusano dei minori». «I pastori e i responsabili delle comunità religiose siano disponibili all’incontro con le vittime e i loro casi: si tratta di occasioni preziose per ascoltare e per chiedere personalmente a quanti hanno molto sofferto» (cf. Testimoni 4/2015 p.1; 6/2015 p. 21).
Si entra in questi territori con molto rispetto e grande discrezione: «invito il lettore a vigilare sulle proprie emozioni e pensieri, lasciando da parte la curiosità intrusiva a favore della compassione e della partecipazione al loro dolore» (p. 75). Le storie che qui vengono evocate si amalgamano in una scrittura capace di trasmettere la devastazione prodotta dagli abusi con una provata consapevolezza terapeutica e una matura coscienza ecclesiale. Niente di pruriginoso o che si esaurisca nella immediata denuncia, quanto piuttosto lo sforzo di raccontare il potenziale di bene che può sorgere anche dall’abisso più devastato.
Le condizioni
che facilitano la violenza
L’abuso su donne anche adulte non perde nulla della sua gravità. «L’abuso non fa riferimento né alla frequenza, né alla qualità del trauma provocato. Abuso sessuale è approfittarsi di una condizione di inferiorità della vittima, nella quale, pertanto, questa non può liberamente rifiutarsi». In esso rientra «ogni comportamento, violenza, minaccia, inganno, frode, uso non appropriato della propria autorità attraverso i quali si approfitta delle condizioni d’inferiorità fisica o psichica dell’abusato» (cf. Area giuridica CISM, Questioni attuali per la vita e il governo degli istituti di vita consacrata, EDB, Bologna 2015, pp. 15-52). «A causa dell’abuso è persa non solo la dignità, ma anche il senso globale dell’esistenza soprattutto se questa era stata collocata in una scelta religiosa e la violenza è avvenuta proprio all’interno di quella realtà, la Chiesa, per la quale ciascuna aveva deciso di giocare tutta la sua vita» (p. 26). «Dopo ti senti solo sporca e hai solo voglia di lavarti, ma dentro non hai più niente. La violenza la senti sempre dentro e dentro ti resta lo schifo. Uno straccio del pavimento sporco. Mi sento questo, mi sento così» (p. 47).
La letteratura sul fronte femminile è ancora molto scarsa. Nell’ambito delle responsabili del mondo religioso femminile la consapevolezza è alta. Ma non è casuale che a fronte di una dozzina di comunità operanti sul versante dei presbiteri accusati di violenza non vi sia ancora niente su quello femminile, anche se diversi percorsi sono già sperimentati (come testimonia il libro) e la differenza psicologica non consenta semplici sovrapposizioni.
La tecnica di adescamento ha un aspetto fisico (toccamento), uno psicologico (cura e attenzione per creare dipendenza) e uno comunitario (a garanzia dell’intangibilità della figura apicale). La vittima designata è in genere giovane, docile, accondiscendente con una debole capacità di mantenere i propri confini. Nell’abuso di una donna verso un’altra la questione centrale non è il lesbismo, quanto piuttosto «la psicodinamica narcisista associata a una struttura di personalità gravemente compromessa» (p. 114). Personalità disturbate, investite di potere, in un contesto chiuso e privo di confronti sono le potenziali «predatrici». Esse costruiscono un sistema di relazioni manipolate, di decisioni istituzionali non giustificate, di debolezze formative, di modalità distorte nella vita comune. «Ci isolavano, ci mettevano le une contro le altre sino a dubitare dell’altra, il confronto, la gelosia, la rivalità, l’invidia erano continuamente alimentate. Emotivamente eravamo tutte sottomesse, c’era sempre molta prepotenza così da considerare “normale” il conflitto e gli scatti d’ira, di aggressività. Non era possibile avere relazioni normali» (p. 110).
Ascoltare
il corpo
Alcuni precedenti possono esporre maggiormente all’abuso, come l’essere state vittime prima di avviare il percorso religioso o alcune condizioni familiari come un legame paterno o materno particolarmente rigido, con una marcata mancanza di confini, una morale religiosa intransigente e integralista o un maschilismo apertamente riconosciuto.
«Uno dei dati più commoventi e comuni a tutte nel procedere dell’accompagnamento, è il passaggio avvenuto dal progressivo e doloroso racconto dei fatti, alla capacità di raccontarsi nella totalità della loro vita e del fermo desiderio di riscatto della loro dignità di donne, e di donne consacrate. Dignità che è sempre più grande e più profonda di ciò che ciascuna ha potuto riconoscere. Dignità che ciò che hanno subìto non ha assolutamente cancellato!» (p. 38).
Molti della dozzina di capitoli in cui si sviluppa il testo sono dedicati alla riflessione e al racconto del lungo, altalenante e affascinante percorso di riscatto delle vittime: dal racconto «fattuale» alla verbalizzazione precisa, fino alle prime aperture verso il futuro. «Umiliazione, vergogna, colpa, paura, terrore, vuoto, confusione, senso di deprivazione, solitudine, rabbia contro se stessa, tristezza, angoscia: il vissuto emotivo di chi è stata vittima di un abuso sessuale è tremendo, profondo, incorporato nell’intimo e, come è stato messo in evidenza, con una serie di conseguenze fisiche, psichiche e morali difficili da rielaborare e integrare. L’effetto più estremo, grave e difficili da superare è l’identificazione della vittima con il colpevole» (p. 143). Un cammino in cui parole, gesti, silenzi, pianto, emozioni, competenze terapeutiche, virtù si saldano in una volontà e in un dono di riscatto. Una settantina di pagine sono dedicate al corpo che, in particolare per le donne, «non dimentica e racconta» attraverso la voce, il pianto, le parole, i movimenti delle gambe, delle braccia, del corpo e la postura. «Io vorrei attraversare questa profonda lotta anche per tornare a sentirmi bella, non penso sia una cosa “stupida”, ma una vittoria sul male: vinci il male con il bene» (p. 94).
La fede
provata
Il lungo percorso di cura e riscatto viaggia consapevolmente sia sul livello psichico che spirituale, scontando anche la rabbia e il distacco dal mondo ecclesiale. «L’umiliazione, la vergogna e soprattutto la rabbia ancora non collocata verso l’altro, ma rivolta verso se stessa, possono anche bloccare la sorgente vitale di relazione con Dio. Si tratta di accompagnare con attenzione anche questo tempo dando il permesso di fare lutto per la propria vita interrotta da un’esperienza di morte. Si tratta di accompagnare partecipando alla lotta che si deve inevitabilmente aprire, sostenendola e incoraggiandola nella certezza che nel dialogo profondo con Dio, con la sua Parola, ogni vita ferita trova consolazione e redenzione» (p.167).
Vi possono infatti essere momenti di regressione spirituale o per eccessiva enfasi o per totale assenza di contenuti della fede. Per questo è utile un accompagnamento anche spirituale che favorisca la preghiera del cuore e del corpo, la relazione personale piuttosto che le forme stabilite, la relazione intima con la Parola, l’accettazione della vulnerabilità e della fragilità. «Il dimorare nella propria interiorità sostiene anche il recupero di una memoria affettiva buona: permette di ripensare con maggiore consapevolezza alle relazioni significative della propria vita, a coloro che ci hanno fatto del bene, che sono presenti come sostegno e cura nella vita che sta ripartendo. L’orizzonte relazionale si allarga e diviene più reale, si arriva progressivamente a dire: in tanto dolore patito non sono rimasta sola, qualcuno mi ha davvero amato» (p. 199).
In un discorso alle vittime di abusi, (Filadelfia – USA, 27 settembre 2015) papa Francesco diceva: «Mentre aspettiamo l’anno giubilare della misericordia, la vostra presenza – generosa nonostante la rabbia e la sofferenza che avete sperimentato – ci rivela il cuore misericordioso di Cristo. Le vostre storie di vittime, ciascuna unica e coinvolgente, sono un segno potente della speranza che viene dalla promessa del Signore che sarà con noi, sempre». E l’autrice conclude: «Il frutto di questo misterioso, ma luminoso, cammino nella fede lo si percepisce e lo si vede nel senso di abbandono interiore e nella dinamica vitale che ne scaturisce. Una fede che ha attraversato la prova è veramente feconda» (p. 208).
Lorenzo Prezzi