Canopi Anna Maria
Cosa ha significato per le claustrali?
2016/4, p. 8
Per la vita claustrale l’Anno della vita consacrata è stato un tempo di grazia particolare, pieno di stimoli per approfondire il senso della nostra chiamata nella Chiesa e viverla nelle sue dimensioni più autentiche e dinamiche.
L’Anno della vita consacrata
COSA HA SIGNIFICATO
PER Le CLAUSTRALi?
Per la vita claustrale l’Anno della vita consacrata è stato un tempo di grazia particolare, pieno di stimoli per approfondire il senso della nostra chiamata nella Chiesa e viverla nelle sue dimensioni più autentiche e dinamiche.
Mentre è in corso l’Anno giubilare della Misericordia e siamo ormai in pieno tempo pasquale, rispondendo ad un invito che mi è stato rivolto, mi trovo a riflettere sul significato che l’Anno della vita consacrata ha avuto per noi, comunità monastica benedettina «Mater Ecclesiæ» sull’Isola San Giulio, e, più in generale, per le monache di vita claustrale.
Un Anno per tornare
alle sorgenti dell’Amore
Mi sembra di poter dire che la Santa Chiesa ci ha offerto un particolare tempo favorevole; vedendo tale Anno nel suo significato più profondo, si riscontra che è stato un Anno per ritornare alle sorgenti dell’Amore e per rinnovare decisamente l’offerta della nostra vita al Signore. Non a caso è stato indetto per commemorare il cinquantesimo del decreto conciliare Perfectæ caritatis.
Le date di inizio e conclusione di tale Anno sono state già molto significative per tutti i consacrati, ma, oserei dire, in particolare per noi claustrali. Infatti, è stato aperto il 21 novembre, memoria liturgica della Presentazione della Vergine Maria al tempio, e si è concluso il 2 febbraio, festa della Presentazione di Gesù. Il tempio, dunque, è stato come la cornice, il riferimento costante di questo Anno, con il conseguente richiamo ad una vita orante, umile, silenziosa, nascosta in Dio e, nello stesso tempo, una vita irradiante luce per illuminare le genti.
Risvegliate il mondo! Scrutate!
Rallegratevi! Contemplate!
Le lettere di cui la Chiesa ci ha fatto dono in questo Anno sono state come grandi arcate di un unico ponte gettato tra il tempo e l’eterno, per mantenere viva l’attesa escatologica nel popolo cristiano, ma anche come una bussola preziosa per attraversare le nebbie del mondo senza venire disorientati.
Con i loro forti imperativi, esse, infatti, ci hanno richiamato all’essenziale.
Risvegliate il mondo! Questo monito non ha significato per noi solo un doveroso impegno ad essere presenza capace di stimolare i fratelli ad una autentica vita cristiana; primariamente è risuonato come invito rivoltoci personalmente a risvegliare la fede, ad alimentare il nostro anelito della ricerca di Dio e a vivere «la logica evangelica del dono, della fraternità, dell’accoglienza». San Benedetto, nel Prologo alla sua Regola, esorta il monaco ad accogliere ogni nuovo giorno come un risveglio alla vera vita, spalancando gli occhi e le orecchie del cuore alla luce e alla voce divina, in stupore di gioia, perché il Signore ogni giorno ci onora ammettendoci alla sua presenza per servirlo, ossia per compiere in tutto il suo volere.
Scrutate! Ecco un’altra preziosa esortazione. Sì, è urgente discernere i segni dei tempi; posare sulla storia non uno sguardo da profeti di sventura, ma uno sguardo di fede e di speranza che sappia scorgere tra le macerie e nei desolati deserti i germogli di una imminente primavera. Ma è urgente anche scrutare le profondità dei nostri cuori, per discernere i pensieri che vi si agitano e affrontare senza paura il combattimento spirituale: perché è sempre dal cuore che inizia il rinnovamento della storia.
Rallegratevi! Con particolare gratitudine abbiamo accolto questa lettera, profondamente consona alla nostra vocazione monastica che è – al di là di quanto si pensi e si dica – una chiamata alla gioia autentica, proprio perché scaturisce dalla partecipazione alla Passione di Cristo. Dove c’è il patire con Cristo per i fratelli, c’è anche il trionfo della gioia pasquale che è fonte di consolazione per tutti.
Contemplate! Come mette bene in evidenza la lettera, lungi dal confondersi con fenomeni mistici eccezionali o con visioni estatiche, la contemplazione è una dimensione ordinaria della vita cristiana strettamente legata alla purezza del cuore. Essa, perciò, richiede il coraggio delle prove purificatrici che rendono l’anima più umile e più trasparente alla luce divina.
Un invito a scoprire
la presenza operante di Cristo
Celebrando lungo l’anno liturgico il mistero della salvezza nei suoi vari aspetti, la Chiesa forma il cristiano – tanto più la persona consacrata – alla contemplazione. Essa educa a cogliere nei segni sacramentali la presenza operante di Cristo, a leggere negli eventi della storia il compiersi del disegno salvifico di Dio, a scoprire nei fratelli il Volto stesso di Cristo. San Benedetto sottintende e auspica questo sguardo contemplativo quando chiede ai monaci di obbedire al loro abate come al Cristo stesso, di accogliere gli ospiti, i poveri, o di curare i malati come il Cristo in persona e persino di trattare tutti gli oggetti del monastero come vasi sacri dell’altare. Non si tratta solo di una educazione al rispetto delle persone e delle cose; si tratta, molto di più, di percepire che tutto è irradiazione della gloria di Dio e segno della sua umile presenza. È un anticipo del Cielo sulla terra, una caparra dello splendore della gloria di Dio, dell’uomo santificato e del cosmo trasfigurato.
Infine, al termine della Celebrazione eucaristica del 2 febbraio, conclusiva dell’Anno della Vita consacrata, papa Francesco – parlando a braccio! – ha rivolto ai consacrati riuniti a Roma per l’evento alcune parole che, nella loro semplicità e spontaneità, hanno saputo interpretare ed esprimere bene quelli che devono essere i nostri sentimenti e i nostri propositi: «Cari fratelli e sorelle consacrati, grazie per finire così, tutti insieme, quest’Anno della Vita Consacrata. E andate avanti!… Continuare. Sempre… Il “midollo” della vita consacrata è la preghiera… Il lavoro di tutti i giorni, e poi la speranza di andare avanti e seminare bene».
L’Anno della VC
non è chiuso
L’Anno della vita consacrata non può dirsi “chiuso”; al contrario è stato un Anno che, come una sorgente, ha dato nuovo impulso alla vita quotidiana e come torrente in piena continua ad attraversare le valli della vita, raccogliendo sempre nuove acque, tutte le acque, anche quelle delle lacrime amare…
A sottolineare tale continuità, nel nostro monastero abbiamo scelto la data del 2 febbraio 2016 per fare il rito dell’apertura della “Porta Santa della misericordia”. Come “porta” è stata scelta proprio quella della nostra Cappella in cui più volte al giorno ci raduniamo per la preghiera corale. In tal modo, l’Anno della vita consacrata, come fiume giunto alla foce, si è immesso e continuamente si immette nel grande Oceano della divina Misericordia.
Tornando alla sorgente, ricordiamo ancora bene lo stupore che ci colse quando apprendemmo che il Santo Padre aveva indetto un Anno della vita consacrata, precisando che era un anno per tutti i fedeli, anche per i laici: un anno che ci ha fatto sentire fortemente la nostra responsabilità all’interno della Chiesa: essere “porzione” consacrata per tutti, essere un’offerta a Dio per gli altri.
E questo “per” ha scandito il nostro anno, lungo il quale abbiamo comunitariamente meditato sulla figura di Cristo, «l’Uomo per gli altri» e sulla figura del consacrato che, in Lui, diventa egli pure «dono per i fratelli».
Abbiamo riletto la vocazione alla vita consacrata nella prospettiva della risposta dovuta a così grande dono, nella consapevolezza che tutto ciò che Cristo ha vissuto per noi, noi possiamo – e dobbiamo – viverlo in Lui per gli altri.
Per noi Cristo è stato promesso e profetizzato: come monache abbiamo fermato la nostra attenzione soprattutto sulle figure di Abramo e di Giovanni Battista. L’ “eccomi” di Abramo ci fa pellegrine della fede, camminando in quell’oscurità luminosa che è propria della fede, sostenuta dalla certezza di essere accompagnati nel pellegrinaggio terreno dalla presenza misericordiosa del Dio che salva tutti i credenti che a Lui si affidano.
Così, non solo avanziamo verso la mèta, ma apriamo la via della fede per gli altri: «E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell’Altissimo…»: non è “tu” generico, ma vi leggiamo il nostro nome proprio e il nome della nostra comunità, chiamata – come ogni altra comunità religiosa – a ben disporre il cuore degli uomini al messaggio di Gesù, all’incontro con Lui.
Ci è venuta incontro
la figura di Maria
Per noi Cristo è stato annunziato e accolto: qui ci è venuta incontro la figura di Maria, il mistero della sua maternità. Dal suo ascolto umile e attento, apprendiamo a riconoscere gli annunzi di grazia e i passi che il Signore ci chiede di compiere, i sì che da noi si attende. Da Lei apprendiamo ad accogliere il Verbo della vita per generarlo in noi e donarlo agli altri; vale a dire apprendiamo l’arte dell’umile e amorosa adesione di fede alla Parola, perché la nostra esistenza ne diventi fedele realizzazione. Apprendiamo a stare là, presso la Croce, presso le croci dei nostri fratelli, in una empatia universale.
Per noi Cristo è nato, da ricco che era si è fatto povero, è entrato in una famiglia umana, ha conosciuto la fatica del lavoro… Quanto eloquente questo esempio di umiltà, di silenzio, di laboriosità! Per una felice coincidenza, l’Anno della vita consacrata si è intrecciato con la preparazione e lo svolgimento del Sinodo ordinario sulla famiglia e questo ci ha stimolate ad approfondire la dimensione cenobitica della nostra vocazione, che pure è chiamata alla solitudine, vivendo tra di noi relazioni filiali e fraterne, ma pure sentendo forte la chiamata alla maternità spirituale nei confronti dell’umanità che – come l’esperienza dell’ospitalità ci dimostra – si sente sempre più orfana.
Per noi è stato consacrato, è sceso nelle acque del Giordano santificandole, affinché diventassero santificanti. Questo mistero di Gesù nelle acque del Giordano è stato quanto mai eloquente nell’Anno della vita consacrata: lì Gesù ha ricevuto dalla voce del Padre la sua missione; lì, dopo aver assunto dalla Vergine Madre la carne purissima, non ha disdegnato di immergersi nell’acqua battesimale insieme con tutti i peccatori. Ecco, questo mistero ci ha richiamate alla solidarietà universale, mettendoci al loro posto che è anche il nostro vero posto. Lo stesso segno dell’acqua in questo Anno ci ha richiamate ancora di più alla solidarietà con le migliaia e migliaia di profughi che nelle acque trovano la morte, proprio mentre sono in fuga dalla loro terra in cerca di una possibilità di sussistenza. Davanti a questa realtà ci sentiamo anche noi in certo modo colpevoli, perché è morte spesso causata dall’egoismo e dall’indifferenza. Per tutto questo ripetiamo incessantemente dal profondo del cuore: «Gesù, Figlio del Dio vivo, abbi pietà di noi, peccatori».
Un approfondimento
della dimensione ecumenica
E così giungiamo ad un altro incontro con Gesù, Orante per noi. Soffermandoci comunitariamente sulla sua “preghiera sacerdotale”, abbiamo approfondito la dimensione ecumenica della nostra vocazione monastica che ci impegna nel fare unità sotto diversi aspetti: totalmente date a Dio solo e quindi unificate interiormente, dobbiamo continuamente rinnegare tutti gli idoli del mondo per formare – secondo l’ideale della Chiesa delle origini e di ogni tempo –«un cuor solo e un’anima sola», aperte ad un’accoglienza senza barriere. È la vocazione ecumenica che sentiamo particolarmente viva come figlie di San Benedetto, nella cui Regola si sente vibrare la Chiesa nella sua universalità, nella comunione tra Oriente ed Occidente, in un abbraccio che è profezia e speranza in questo tempo di rinnovato risveglio ecumenico.
Ma tutto questo sarebbe impossibile, senza la nostra conformazione a Gesù che per noi è stato tentato, ha patito, è morto ed è risorto. Dire, quindi, con tutta la vita che Gesù Cristo è il Signore, che egli è morto e risorto per la vita di tutti gli uomini, questo è il primum della vita consacrata, dove risplende l’integrità della fede e la totalità dell’appartenenza a Dio. E san Benedetto conclude il Prologo alla sua Regola con un versetto che è la sintesi del cammino monastico: «Stabili in monastero fino alla morte, parteciperemo con il nostro mite patire, alle sofferenze di Cristo, per meritare di condividerne pure la gloria nel suo Regno». Là dove aneliamo giungere con tutti i nostri fratelli, nessuno escluso. Per questo – come ancora ci chiede san Benedetto – camminiamo nella storia nulla assolutamente anteponendo al Cristo, perché Egli ci conduca tutti insieme alla vita eterna (cf. RB 72,11-12)
Anna Maria Canopi osb