Mastrofini Fabrizio
Una grande ricchezza di messaggi
2016/4, p. 6
Dopo tre anni di pontificato, il Magistero scritto, parlato ed itinerante di papa Francesco prende la sua forma. Come prende forma la geopolitica del Papa, che guarda verso Oriente e verso Occidente, intendendo con questi termini geografici i due poli opposti se si pone il Vaticano al centro.

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Tre anni di viaggi di Papa Francesco
UNA GRANDE RICCHEZZA
DI MESSAGGI
Dopo tre anni di pontificato, il Magistero scritto, parlato ed itinerante di papa Francesco prende la sua forma. Come prende forma la geopolitica del Papa, che guarda verso Oriente e verso Occidente, intendendo con questi termini geografici i due poli opposti se si pone il Vaticano al centro.
I viaggi nel continente americano sono cominciati dopo pochi mesi di pontificato con la Giornata Mondiale della Gioventù di Rio del 2013 e sono proseguiti con gli Usa, le tappe in Bolivia, Colombia, Ecuador, poi Cuba, poi il Messico. In Asia il Papa ha viaggiato in Sri Lanka e Corea, poi in Terrasanta, unendo un'attenzione costante al Medio Oriente. Da buon gesuita pensava a se stesso come missionario sulle orme di Francesco Saverio; dunque l'Asia rappresenta per il Papa la sfida del futuro del cattolicesimo e dell'umanità: sviluppo estremo e povertà estreme, il dialogo con le grandi religioni mondiali, la culla del cristianesimo cui fa da riscontro la presenza minoritaria, largamente minoritaria, di oggi. La provenienza latinoamericana di Jorge Mario Bergoglio rende interessante l’approccio da papa Francesco verso il continente americano. Giovanni Paolo II aveva avuto un'intuizione importante: rivolgersi all'America come un unico continente, lasciando ai vescovi il compito di dialogare tra nord e sud. Un'intuizione di cui oggi si coglie la portata, guardando soprattutto ai flussi dei migranti latinos verso gli Usa, che stanno cambiando il cattolicesimo e la società statunitense. Ma anche la presenza asiatica è rilevante nel Nord America e così i flussi tra Oriente ed Occidente – visti da Roma – si ricongiungono.
Per l'America, soprattutto l'America Latina, papa Francesco ha una visione complessa, che viene esplicitata nel suo Magistero itinerante, ma ancora di più nei momenti in cui non si rivolge più a singoli paesi bensì apre ad uno sguardo d'insieme. Accadde ad esempio quando parlò ai vescovi del Celam, a Rio de Janeiro nel 2013 oppure alla Commissione per l'America Latina nel 2016. I discorsi nei diversi viaggi servono a confermare la giustezza di questa analisi d'insieme, perché affronta quelle tematiche specifiche che poi amplia nella visione generale e d'insieme di cui abbiamo appena detto.
Il messaggio socio-ecclesiale:
Messico
In Messico papa Francesco ha fatto suo il “grido” dei popoli e dei fedeli perché risuoni nella Chiesa. Per questo i cattolici devono decidere con coscienza, la Chiesa deve ritirarsi dall’interferire sulle scelte politiche. E sempre per questo la condanna deve essere netta quando si ha a che fare con comportamenti delittuosi come la copertura dei sacerdoti responsabili di pedofilia. Quanto a trasformare le dichiarazioni di principio in atti concreti e scelte di governo, certo è assai più complesso. Tuttavia Papa Francesco nel viaggio in Messico ha dispiegato sempre di più il volto di un pontificato energico e proiettato sullo scenario mondiale. Nella difficile realtà messicana – segnata da una guerra non dichiarata tra lo stato (la parte sana) e le bande di narcotrafficanti e di criminalità, segnata da una polarizzazione ecclesiale – il Papa ha fatto capire che dei governanti gli interessa poco. Certo ha incontrato il Presidente della repubblica – molto contestato per la scarsa capacità di governare un paese dilaniato – e ha rivolto parole chiare. «Il popolo messicano ha rafforzato la sua esperienza con un’identità che è stata forgiata in momenti ardui e difficili della sua storia da grandi testimonianze di cittadini che hanno compreso che, per poter superare le situazioni nate dalla chiusura dell’individualismo, era necessario l’accordo delle istituzioni politiche, sociali e del mercato e di tutti gli uomini e le donne impegnati nella ricerca del bene comune e nella promozione della dignità della persona. Una cultura ancestrale e un capitale umano aperto alla speranza, come il vostro, deve essere una fonte di stimolo per trovare nuove forme di dialogo, di trattativa, di ponti in grado di guidarci lungo il percorso di un impegno di solidarietà. Un impegno nel quale tutti, incominciando da quelli che si definiscono cristiani, ci dedichiamo alla costruzione di “una politica autenticamente umana” (Gaudium et spes, 73) e di una società nella quale nessuno si senta vittima della cultura dello scarto». Molto più che le “autorità”, il Papa ha a cuore i vescovi, i fedeli, le categorie escluse: indios e carcerati ad esempio, destinatari di incontri particolari. Ai vescovi ha ricordato esplicitamente l’impegno che hanno. «E precisamente in questo mondo, Dio vi chiede di avere uno sguardo che sappia intercettare la domanda che grida nel cuore della vostra gente, l’unica che possiede nel proprio calendario una “festa del grido”. A quel grido bisogna rispondere che Dio esiste ed è vicino mediante Gesù. Che solo Dio è la realtà sulla quale si può costruire, perché “Dio è la realtà fondante, non un Dio solo pensato o ipotetico, ma il Dio dal volto umano” (Benedetto XVI, Discorso inaugurale della V Conferenza generale del CELAM, 13 maggio 2007).
Nei vostri sguardi, il Popolo messicano ha il diritto di trovare le tracce di quelli che “hanno visto il Signore” (cfr Gv 20,25), di quelli che sono stati con Dio. Questo è l’essenziale. Non perdete, dunque, tempo ed energie nelle cose secondarie, nelle chiacchiere e negli intrighi, nei vani progetti di carriera, nei vuoti piani di egemonia, negli sterili club di interessi o di consorterie. Non lasciatevi fermare dalle mormorazioni e dalle maldicenze. Introducete i vostri sacerdoti nella comprensione del ministero sacro. (…) Se il nostro sguardo non testimonia di aver visto Gesù, allora le parole che ricordiamo di Lui risultano soltanto delle figure retoriche vuote. Forse esprimono la nostalgia di quelli che non possono dimenticare il Signore, ma comunque sono solo il balbettare di orfani accanto al sepolcro. Parole alla fine incapaci di impedire che il mondo resti abbandonato e ridotto alla propria potenza disperata».
Nella conferenza stampa sull’aereo nel viaggio di ritorno, papa Francesco ha sintetizzato il senso generale della visita. «È un popolo di una ricchezza, di una ricchezza tanto grande, è un popolo che sorprende… Ha una cultura, una cultura millenaria… Voi sapete che oggi, in Messico si parlano 65 lingue, contando gli indigeni? 65! È un popolo di una grande fede, anche ha sofferto persecuzioni religiose. E un popolo non lo si può spiegare semplicemente perché la parola “popolo” non è una categoria logica, è una categoria mistica. E il popolo messicano non lo si può spiegare, questa ricchezza, questa storia, questa gioia, questa capacità di festa, e queste tragedie. (…) Lì, a Ciudad Juárez, c’era un patto di 12 ore di pace per la mia visita: dopo continueranno a lottare tra loro, i trafficanti… Un popolo che ha ancora questa vitalità, si spiega solamente per Guadalupe. E io vi invito a studiare seriamente il fatto Guadalupe. La Madonna è lì. Non trovo un’altra spiegazione».
Il messaggio socio-ecclesiale
da Rio in poi
A Rio, nel luglio 2013, aveva sintetizzato le maggiori problematiche ecclesiali in alcune domande. Rileggerle è utile e soprattutto nelle domande abbiamo già la risposta. «1. Facciamo in modo che il nostro lavoro e quello dei nostri presbiteri sia più pastorale che amministrativo? Chi è il principale beneficiario del lavoro ecclesiale, la Chiesa come organizzazione o il popolo di Dio nella sua totalità? 2. Superiamo la tentazione di prestare attenzione in maniera reattiva ai complessi problemi che sorgono? Creiamo una consuetudine pro-attiva? Promuoviamo spazi e occasioni per manifestare la misericordia di Dio? Siamo consapevoli della responsabilità di riconsiderare le attività pastorali e il funzionamento delle strutture ecclesiali, cercando il bene dei fedeli e della società? 3. Nella pratica, rendiamo partecipi della missione i fedeli laici? Offriamo la Parola di Dio e i Sacramenti con la chiara coscienza e convinzione che lo Spirito si manifesta in essi? 4. È un criterio abituale il discernimento pastorale, servendoci dei Consigli diocesani? Tali Consigli, e quelli parrocchiali di pastorale e degli affari economici sono spazi reali per la partecipazione laicale nella consultazione, organizzazione e pianificazione pastorale? Il buon funzionamento dei Consigli è determinante. Credo che siamo molto in ritardo in questo. 5. Noi Pastori, Vescovi e Presbiteri, abbiamo consapevolezza e convinzione della missione dei fedeli e diamo loro la libertà perché vadano discernendo, conformemente al loro cammino di discepoli, la missione che il Signore affida loro? Li appoggiamo e accompagniamo, superando qualsiasi tentazione di manipolazione o indebita sottomissione? Siamo sempre aperti a lasciarci interpellare nella ricerca del bene della Chiesa e la sua missione nel mondo? 6. Gli operatori pastorali e i fedeli in generale si sentono parte della Chiesa, si identificano con essa e la avvicinano ai battezzati distanti e lontani?».
Dopo tre anni conosciamo più da vicino il pensiero del Papa per la Chiesa in America Latina – e forse, per estensione, troviamo indirizzi validi per tutta la Chiesa. Il Papa si indirizza contro il funzionalismo a tutti i costi, invita sempre il clero ad una vita sobria ed alla testimonianza, a non smettere mai di guardare al popolo di Dio come destinatario di ogni azione, ed ogni azione a sua volta va improntata alla misericordia. Nel Magistero papale che abbiamo imparato a conoscere in questi tre anni di pontificato, non si insiste mai abbastanza sulla necessità di un messaggio evangelico di carità e misericordia che deve diventare stile di vita e di scelte a tutti i livelli.
Davanti,
a metà, in fondo…
Si può compiere un passo in avanti prendendo ad esempio cosa papa Francesco ha detto alla Pontificia Commissione per l'America Latina nel 2016. Qui è tornato prepotente il tema dei laici ed una lettura originale della realtà latinoamericana. Prima di essere sacerdoti siamo stati dei laici, ha esordito in sostanza il Papa. Osservazione non casuale e profonda: nella Chiesa con il Battesimo si entra come laici. Ha ribadito – lo aveva detto a Rio – che il vescovo o il prete (il pastore insomma) ha davanti a sé tre posizioni possibili. “O davanti per indicare il cammino, o nel mezzo per mantenerlo unito e neutralizzare gli sbandamenti, o dietro per evitare che nessuno rimanga indietro, ma anche, e fondamentalmente, perché il gregge stesso ha il proprio fiuto per trovare nuove strade”.
Il continente latinoamericano, nell’analisi del Papa, sembra stretto tra una clericalizzazione eccessiva, che prende il nome di “carriera ecclesiastica” e una presenza quasi indipendente del laicato a livello pastorale o socio-politico, cui fa da contrappeso lo sviluppo di gruppi particolari di laici, delle élites, dice il Papa, che però non sono il popolo di Dio bensì dei gruppi di potere o di pressione. Mentre la categoria fondamentale deve essere appunto il popolo di Dio. Il ruolo dei pastori diventa allora di particolare importanza per evitare la tentazione di inquadrare e la tentazione di irregimentare. I due estremismi da evitare si chiamano l’“estremismo pelagiano” che privilegia l'organizzazione e uno “gnosticismo” fatto per negare l’universalità del messaggio di salvezza e limitandolo o regalandolo solo alle “élites” laicali. Nota il papa che la problematica si affronta (ovvero si definisce e si comincia a superare) quando il popolo di Dio si organizza e quando il pastore svolge il suo lavoro di pastore capace di indicare la strada ed evitare deviazioni. In definitiva, sembra dire papa Francesco, il pastore deve saper stare davanti, nel mezzo, in coda, a seconda delle situazioni. E non è un’indicazione solo pastorale, è anche teologica e geopolitica per rendere la Chiesa una realtà viva nel mondo.
Fabrizio Mastrofini