Vangelo e riforme
2016/4, p. 1
I tre anni del servizio petrino di papa Francesco segnano
più un’epoca che una semplice stagione. Una sintesi
provvisoria del suo magistero, dei suoi gesti, delle sue
scelte pastorali. Al centro l’Evangelii gaudium e la
misericordia. Il ruolo dei poveri e dei religiosi.
Papa Francesco: 2013 – 2016
VANGELO
E RIFORME
I tre anni del servizio petrino di papa Francesco segnano più un’epoca che una semplice stagione. Una sintesi provvisoria del suo magistero, dei suoi gesti, delle sue scelte pastorali. Al centro l’Evangelii gaudium e la misericordia. Il ruolo dei poveri e dei religiosi.
L’incontro con il patriarca Cirillo di Mosca a Cuba (12 febbraio 2016), la chiusura del duplice processo sinodale in ordine alla famiglia (29 ottobre 2015), la pubblicazione della prima enciclica sull’ambiente (Laudato si’, 24 maggio 2015), la proclamazione dell’anno della vita consacrata (30 ottobre 2014 – 2 febbraio 2016) e del giubileo della misericordia (8 dicembre 2015 – 20 novembre 2016) sono alcuni dei molti riferimenti più recenti per il triennio del servizio di papa Francesco (dal 13 marzo 2013).
Tre anni affascinanti e carichi di energia evangelica. Tempo troppo breve per un bilancio, ma sufficiente a dare una traccia dei mutamenti avviati dalle dimissioni di Benedetto XVI (28 febbraio 2013): a partire dai primi segni (vesti, parole, richiamo al compito di vescovo di Roma, preghiera silenziosa sulla piazza, ecc.) fino alle ammissioni di molti cardinali elettori di avere sperimentato la forza e la fantasia dello Spirito. I maldestri tentativi di delegittimazione e le ricostruzioni di supposte “cordate” a favore dell’arcivescovo di Buenos Aires non hanno scalfito la sorpresa di quell’elezione e lo scatenarsi di una attesa che sembrava sepolta sotto il Vatileaks, gli scandali degli abusi e dello IOR e la consunzione di un modello ecclesiale difensivo e arroccato. L’esponenziale crescita delle comunicazioni mediatiche e dei libri su papa Francesco ha interpretato lo stupore del popolo cristiano e no e un consenso popolare che non accenna a tramontare. Il vescovo di Neuquen, mons. Virginio Bressanelli, amico e collaboratore di Jorge Bergoglio, ha tratteggiato la sua identità insistendo su una fede accolta e maturata nell’insieme della vita, sull’incontro creativo con le vicende della storia dell’Argentina e dell’America Latina, sul riconoscimento del popolo dei fedeli fornito di un infallibile sensus fidei.
Magistero
Due encicliche (Lumen Fidei e Laudato si’), l’esortazione apostolica (Evangelii gaudium), 18 Costituzioni apostoliche, 10 “motu proprio”, 14 lettere apostoliche, più di 70 lettere, centinaia di prediche e discorsi e la quotidiana omelia alla messa in Santa Marta: un patrimonio di magistero arricchito dai 10 viaggi apostolici in Italia e dai 12 nei vari continenti. Se oltre ai numeri si guarda ai luoghi, si capisce l’insistenza sulle periferie geografiche ed esistenziali e l’investimento sull’Asia: Cagliari, Assisi, Lampedusa, Redipuglia, Caserta, Campobasso, Cassano, Pompei-Napoli, Torino, Prato-Firenze - per quanto riguarda l’Italia – e Rio de Janeiro, Turchia, Strasburgo, Albania, Corea, Terra Santa, Sri Lanka e Filippine, Sarajevo, Equador-Bolivia-Paraguay, Cuba-USA, Kenia-Uganda-Repubblica centrafricana, Cuba-Messico per quanto riguarda il resto del mondo.
L’enciclica Lumen fidei segnala la continuità con magistero di Benedetto XVI con una propria accentuazione sulla comunicazione della fede piuttosto che sulla sua difesa o definizione. Il centro focale del suo pensiero e progetto pastorale rimane l’Evangelii gaudium, un’esplosione di materiali evangelici che spinge ad un rinnovamento della coscienza missionaria della Chiesa, a un’accelerazione per la riforma interna e alla pratica dell’annuncio come letizia e gioia piuttosto che come dovere e compito.
Nell’esortazione apostolica sono contenuti tutti i temi fondamentali poi variamente presentati ed esposti: dall’evangelizzazione alla riforma ecclesiale, dal dialogo ecumenico a quello interreligioso, dalla dottrina sociale alla pietà popolare, dalle figure ecclesiali alle “periferie”, dalla scelta dei poveri alla testimonianza dei martiri. Mi limito a indicare due elementi che si sono rivelati di maggior peso: la misericordia e i quattro principi di riferimento.
Per Bergoglio la misericordia è la chiave di comprensione della fede e della pastorale, come emerge anche dall’anno giubilare. Nella misericordia la Chiesa esplica la sua attività materna e attua il rinnovamento profondo sia spirituale che strutturale di cui vi è bisogno. Da qui nasce un nuovo stile ecclesiale e un nuovo modo di relazionarsi con il mondo. La teologia ha confinato il tema della misericordia come sotto-voce della giustizia rafforzando l’immagine giudiziaria di Dio, mentre la dimensione della misericordia ne enfatizza quella della paternità e ne esprime al meglio l’identità. Essa indica la fedeltà di Dio a se stesso e la sua inaffondabile pazienza davanti ai limiti della creature (cf. EG n. 3).
L’intento di una pastorale rinnovata e missionaria fa riferimento a quattro principi che papa Francesco ha più volte ripreso. Il primo afferma «il tempo è superiore allo spazio», ossia l’avvio dei processi storici di liberazione e di maturazione è più rilevante dell’occupazione degli spazi del potere. L’incarnazione vale più della forza. Il secondo, «l’unità prevale sul conflitto». Non si tratta di negare il conflitto e la sua creatività, quanto di sottolineare la priorità nella e della solidarietà. La regalità del Cristo è più della casualità delle forze. Il terzo, «la realtà è più importante dell’idea»: «È pericoloso vivere nel regno della sola parola, dell’immagine del sofisma» (n. 231). Le interpretazioni non devono occultare la realtà. Priorità della fede sull’ideologia. Il quarto, «il tutto è superiore alla parte» ed è più della somma delle parti. Non si deve «essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari» (n. 235). Se il «locale» è necessario, la sua parzialità rende sterili senza il «globale». Lo Spirito è superiore agli avvenimenti.
Il clima e le città
L’enciclica Laudato si’ è ad un tempo sorprendente e tradizionale. Sorprendente per molti motivi: è la prima enciclica sulla questione ambientale, con una apertura ecumenica che non vede ostacoli sul tema, con una ventina di citazioni di testi delle conferenze episcopali nel mondo, con affermazioni di peso (ad es. la scelta della decrescita), con una urgenza storica avvertita come drammatica. Non ultimo, con un approccio di tipo spirituale, poetico e mistico che, pur riconfermando l’antropocentrismo cristiano, lo colloca in rapporti di fraternità universale fra uomini e creature, bene espressi dal Cantico delle creature di san Francesco, citato per esteso.
Eppure è un testo tradizionale. L’elenco iniziale dei riferimenti ai papi precedenti, da Paolo VI in poi, lo sviluppo del tema circa l’ecologia umana, il giudizio di peccato sui comportamenti offensivi verso la natura, l’attenzione all’economia e alla politica, la centralità dei poveri: sono tutti elementi presenti nel magistero sociale recente. Il testo li riassume e li porta a figura compiuta.
Fra i molti temi pastorali mi limito ad accennare ad alcune variazioni proprie di questo pontificato: nella pastorale ordinaria l’accento è sulle grandi città; nella politica il privilegio va ai movimenti popolari; nel dialogo ecumenico vi è l’apertura agli evangelicali e il sorprendente incontro con il patriarca Cirillo; nel personale di Chiesa emerge il riconoscimento dei religiosi. Le sfide poste alla Chiesa dalle culture urbane (EG nn. 71-76) sono riprese nel discorso in occasione di un seminario internazionale sulla pastorale delle grandi città (26 novembre 2014). La Chiesa non è più l’unico riferimento di senso, «non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati». Questo richiede una evangelizzazione più audace e un rinnovato coraggio nel contesto multiculturale.
Battesimo
e popolo
Va in particolare apprezzata la religiosità popolare, i semina Verbi che si trovano nella religiosità naturale. E va scelta la popolazione più povera e marginale. L’attenzione alla pietà popolare è anzitutto la riaffermazione della creatività e della responsabilità dei laici. Il battesimo è il fondamento di tutto e abilita ogni credente a un cammino di fede che non ha bisogno di tutele clericali. Se in questi ambiti vi sono elementi spuri, vanno indicati e richiamati, come ha bene espresso Paolo VI nell’Evangelii nuntiandi, ma nel pieno rispetto della responsabilità di fede del popolo. È indicativo il commento al ritorno dal Messico, nell’intervista coi giornalisti: «È un popolo di una ricchezza, di una ricchezza tanto grande, è un popolo che sorprende… Ha una cultura, una cultura millenaria… Voi sapete che oggi, in Messico si parlano 65 lingue, contando gli indigeni? 65! È un popolo di una grande fede, anche ha sofferto persecuzioni religiose. E un popolo non lo si può spiegare semplicemente perché la parola “popolo” non è una categoria logica, è una categoria mistica. E il popolo messicano non lo si può spiegare, questa ricchezza, questa storia, questa gioia, questa capacità di festa, e queste tragedie. (…) Lì, a Ciudad Juárez, c’era un patto di 12 ore di pace per la mia visita: dopo continueranno a lottare tra loro, i trafficanti… Un popolo che ha ancora questa vitalità, si spiega solamente per Guadalupe. E io vi invito a studiare seriamente il fatto Guadalupe. La Madonna è lì. Non trovo un’altra spiegazione»
Traettino - Kirill
Il protagonismo e l’inclusione sociale dei poveri (EG nn. 186-216) ritorna sia nel messaggio per la giornata della pace del primo gennaio 2015 «Non più schiavi, ma fratelli», sia nel discorso ai partecipanti all’incontro mondiale dei Movimenti Popolari (Vaticano, 27-29 ottobre 2014). Il papa riconosce fra i bisogni elementari: la terra, la casa, il lavoro, la pace e l’ecologia. Insiste in particolare sul protagonismo dei poveri per cambiare il sistema. Una scelta che viene confermata anche in ambienti difficili come il Parlamento europeo (25 novembre 2014), come quello davanti al Congresso americano (24 settembre 2015). La beatificazione del vescovo del Salvador, Oscar Arnulfo Romero (23 maggio 2015) indica la piegatura verso i santi dei poveri della “politica della santità” del centro romano.
Nell’ambito del dialogo ecumenico si registra una conferma di tutto il percorso compiuto, con una attenzione sua propria verso le comunità neo-protestanti, di cui il viaggio a Caserta per incontrare il pastore G. Traettino (28 luglio 2014) è forse il simbolo maggiore. L’apertura al mondo evangelicale e pentecostale modifica in maniera significativa il cammino del dialogo fra le Chiese cristiane e compie una operazione di verità nei confronti dei fatti. Di assoluto rilievo è l’incontro a Cuba con il patriarca russo, Cirillo (12 febbraio 2016). Non era mai avvenuto dal 1054 che il vescovo di Roma incontrasse quello di Mosca, «Finalmente ci incontriamo!» ha esclamato il papa e Cirillo ha risposto: «Sì, le cose sono molto più facili adesso». Nella dichiarazione comune la Santa Sede ha “pagato” molto al suo interlocutore, soprattutto sul tema delle chiese greco-cattoliche in Ucraina e sul giudizio circa i valori tradizionali messi in discussione dall’Occidente, ma ha riaffermato la centralità del cammino ecumenico e la comune responsabilità davanti alle persecuzioni anti-cristiane in Medio Oriente.
Francesco valorizza inopinatamente i religiosi. Se ne vede traccia negli incontri con loro, nella proclamazione dell’anno della vita consacrata (2014-2016) e nella lettera che lo spiega (21 novembre 2014). Una prima valutazione sull’anno della vita consacrata (30 novembre 2014 – 2 febbraio 2016; cf. Testimoni 6/2015 p. 1) non può fondarsi sull’improvviso rovesciamento di tendenze (numeri, opere, dislocazione internazionale ecc.), né su iniziative clamorose. I processi di fondo sono in evoluzione sia nei loro elementi positivi che negativi. Ma c’è un cambiamento di notevole importanza ed è relativo all’immagine complessiva sulla vita consacrata nella Chiesa. È come ci fossero una luce nuova e colori nuovi. È nuovo lo sguardo ecclesiale sui religiosi e dei religiosi su se stessi. Permangono i riferimenti magisteriali-teologici e le medesime fatiche, ma l’insieme della vita consacrata è uscito dal cono d’ombra in cui sembrava risucchiata. Per la prima volta i circa 800.000 religiosi e religiose (di diritto pontificio) e i 700.000 di diritto diocesano, raccolti in 3.700 famiglie e fondazioni hanno fatto esperienza di un anno pastorale specificamente dedicato a loro. Ed è la prima volta nella storia.
Più sinodo meno curia
Accenno infine al riordino della curia, alle resistenze, al rapporto con la Chiesa italiana, al lavoro diplomatico e alla scelta sinodale. Rispetto alla curia romana si è già ottenuta una riorganizzazione delle varie amministrazioni in capo alla Segreteria economica, la revisione dello Ior e la trasparenza dei conti (con qualche problema sulle decisioni del muscoloso card. Pell, ultimamente coinvolto in una difficile testimonianza sulle sue decisioni in ordine a casi di pedofilia). Si va verso la creazione di due dicasteri (laicato e carità) in grado di riassorbire i Pontifici consigli e verso una riorganizzazione dei media vaticani. Nel giugno 2015 è stata avviata infatti la Segreteria per la comunicazione, presieduta da mons. E.E. Viganò. È chiamata a coordinare 9 strutture comunicative con circa 600 dipendenti. La connessione fra Sala stampa e Pontificio consiglio e quella fra Radio e Centro televisivo sono le prime decisioni. La piattaforma della «conversione pastorale della curia» è nel doppio discorso in occasione degli auguri di Natale: le 15 tentazioni il 22 dicembre 2014 e le 22 virtù elencate il 21 dicembre 2015. Non vi è ancora un progetto organico sull’insieme, atteso per il prossimo futuro.
Le resistenze sono per gran parte appannaggio dell’aggressivo conservatorismo cattolico, spesso anti-conciliare. Alcune mormorazioni curiali ed episcopali, tuttavia, non sono solo resistenze residuali, ma contengono osservazioni plausibili (limature di linguaggio, di espressioni teologiche, di modalità di governo). Vi sono interi episcopati divenuti silenziosi davanti agli inviti alla povertà e alla rinuncia del potere, come anche davanti all’invito all’accoglienza dei rifugiati. Per quanto riguarda la Chiesa italiana il riferimento d’obbligo è il lungo discorso di Francesco davanti ai vescovi e ai rappresentanti riuniti per il quinto convegno ecclesiale nazionale a Firenze (9-13 novembre 2015). In esso ha chiesto ai vescovi di essere pastori e al popolo di Dio ha suggerito l’opzione per i poveri, la capacità di dialogo e di incontro con tutti e la partecipazione al dibattito pubblico. «Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà». Vanno anche ricordate le nomine episcopali che stanno cambiando il clima e il volto della CEI.
Soft power
Dopo la citazione di V. Putin nell’articolo sul New York Times (12 settembre 2013), l’ampia valorizzazione del suo ruolo nei discorsi di B. Obama e R. Castro all’indomani del reciproco riconoscimento (17 dicembre 2014) e il lungo applauso del Parlamento europeo e al Congresso americano, papa Francesco diventa referente interessante per la diplomazia mondiale. Come ha detto il card. Pietro Parolin, segretario di Stato: «Se i governi realizzano quello che è chiamata la “ragion di stato” esercitando un hard power attraverso la potenza economico-finanziaria o le armi, la Santa Sede ha da portare a compimento una “ragion di Chiesa” mediante un soft power fatto di convinzioni e di comportamenti esemplari» (Padova, 24 aprile 2015).
Il dato strategico di maggior peso riguarda la dimensione sinodale di cui i due sinodi sulla famiglia (2014–2015) sono un punto di verifica. Libertà di parola, coinvolgimento delle Chiese locali, approccio positivo al tema famiglia sono stati gli indirizzi maggiori. La dimensione sinodale è rilanciata in tutti gli ambiti della vita della Chiesa. In attesa, ormai imminente, dell’esortazione apostolica sulla famiglia si può citare un giudizio relativamente all’ultimo sinodo (4-25 ottobre 2015) di A. Grillo: «Mentre l’assemblea elaborava strategie di confronto, di creazione del consenso, di mediazione linguistica e culturale, il suo presidente faceva due cose essenziali: stava in ascolto di tutti e rilanciava profeticamente il lavoro e la progettazione sulla base della categoria di misericordia». In sintesi: un triennio che segnala più un’epoca che una stagione.
Lorenzo Prezzi