Gellini Anna Maria
Il Credo
2016/3, p. 46
La professione cristiana della fede, il «Credo», è riconoscimento e narrazione della storia della salvezza, svelando il volto divino e umano di Dio. Chi professa il Credo dice qualcosa di sé, la sua verità più profonda, trasforma l’esperienza umana in contenuto vivente della fede. Così nel «Credo» non c’è solo tutto quello che è relativo a Dio, allo Spirito, a Cristo e alla Chiesa, ma anche il contenuto umano e relazionale di chi ha fatto di queste realtà motivo di incontro, di impegno, di testimonianza.
NOVITA’ LIBRARIA
il credo
La professione cristiana della fede, il «Credo», è riconoscimento e narrazione della storia della salvezza, svelando il volto divino e umano di Dio. Chi professa il Credo dice qualcosa di sé, la sua verità più profonda, trasforma l’esperienza umana in contenuto vivente della fede. Così nel «Credo» non c’è solo tutto quello che è relativo a Dio, allo Spirito, a Cristo e alla Chiesa, ma anche il contenuto umano e relazionale di chi ha fatto di queste realtà motivo di incontro, di impegno, di testimonianza.
Fedeltà creativa al Credo
Il libro, curato da F.Bosin O.S.M. e G. Montaldi, propone venti riscritture della professione di fede da parte di persone che per consacrazione, ministero ordinato, studio, appartengono al mondo teologico ed ecclesiale. In appendice a questa originale raccolta, vengono offerti anche quattro testi, nati da elaborazioni condivise: la Dichiarazione teologica di Barmen; la professione di fede proposta dal Catechismo dei Giovani della Conferenza episcopale italiana (CEI); un testo provvisorio del Segretariato delle Attività ecumeniche (SAE); una elaborazione della Società italiana per la Ricerca teologica (SIRT).
Comunicare ciò in cui si crede
Le venti riscritture del Credo, sono espressione di “ripensamento della fede” e di “traduzione” dei contenuti della storia della salvezza dentro le complesse esperienze della vita umana. «Non vi sono luoghi o tempi dove la presenza di Dio non possa giungere e operare con la propria forza sanante, che si manifesta come amore». In questo senso il teologo e terapeuta tedesco Eugen Drewermann, esprime la sua professione di fede integrando esegesi, prassi terapeutica e cura pastorale.
Il Credo del domenicano olandese Edward Schillebeeckx, fa riferimento ai testi biblici e contiene implicazioni etiche e sociali che trovano il proprio punto di origine e di convergenza nella relazione con il Dio vivente. «Credo in Dio Padre: l'onnipotenza dell'amore. Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dona vita. E per i profeti che stanno in mezzo a noi egli è lingua, forza e fuoco. Credo che tutti insieme ci troviamo in cammino, pellegrini, chiamati e congregati, per diventare popolo santo di Dio, poiché io professo la liberazione dal male, il compito di operare per la giustizia e il coraggio dell'amore».
Nel testo della teologa tedesca Dorothee Sòlle emerge la sua esigenza di esplicitare una fede e una riflessione teologica «dopo Auschwitz», esperienza che vede continuare nella violenza contro il Terzo mondo e contro il creato. La sua è esplicitamente una teologia dalle conseguenze politiche: « Io credo in Gesù Cristo, che con ragione, anche lui impotente come noi, si è adoperato per trasformare tutte le situazioni e per questo è morto. Rispetto a lui riconosco quanto la nostra intelligenza è zoppicante, la nostra fantasia spenta, la nostra fatica sprecata perché non viviamo come lui viveva».
Il Credo di Carlos Mejia Godoy è tratto dalla Messa dei campesinos del Nicaragua degli anni '80. È il frutto della spiritualità di quei sandinisti cristiani che univano la lotta per la libertà del proprio paese a una fede semplice e salda.
Il cammino di fede in Primo Mazzolari porta a esprimere la centralità del Dio Amore nella vita umana: «Nessun uomo avrebbe potuto pensare Dio come Amore, se ognuno non ne avesse l'immagine nel proprio cuore….Non so dirvi di preciso ov'egli abita e come sia la sua casa. So che ogni strada vi può condurre e che nella sua casa c'è posto per tutti: ch'essa è fatta dalle mie umiliazioni più che dai miei successi, dai miei patimenti più che dai miei piaceri. Non merito d'esservi ospitato, e ci vengo accolto con festa: sono un diseredato dal peccato e vengo adottato dalla grazia».
Il teologo svizzero Hans Küng ha prodotto diverse formule che si richiamano reciprocamente. Quella proposta nel libro ha la propria origine nella discussione avvenuta al congresso di Bruxelles del 1970: «Nella luce e per la forza di Gesù, noi possiamo vivere, agire, soffrire e morire, in modo veramente umano nel mondo d'oggi, perché noi siamo da cima a fondo tenuti da Dio, impegnati fino alla fine per il bene degli uomini. Nella luce e per la forza di Gesù noi possiamo tenerci liberi nei confronti delle potenze del mondo (asservimento tramite l'economia, la scienza, lo stato), nei confronti degli idoli (culto della personalità) e nei confronti degli dèi del mondo (adorazione dei beni, del piacere, del potere): nella fede al Dio del mondo, noi serviamo al mondo senza essergli ostili e senza lasciarci contaminare, ma fiduciosi in un senso della storia e nell'avvenire d'un mondo riconciliato».
Dal Credo personale
al Credo ecclesiale
Il Segretariato attività ecumeniche (SAE), nel corso della sessione di formazione ecumenica del 1975, ha prodotto un testo che segue il quarto canone eucaristico del messale romano di Paolo VI. Nella redazione si sono tenute presenti la fedeltà alla parola di Dio, la valorizzazione delle professioni di fede trasmesse nelle comunità credenti e la necessità di accentuare il carattere testimoniale della fede vissuta.
La professione di fede della Società italiana per la ricerca teologica (SIRT) nasce da un percorso decennale concluso nel 2013. All'interno della dinamica verso una nuova evangelizzazione, tenta di offrire il contenuto della fede con un linguaggio scritturistico e rinnovato. «Segno di contraddizione ha condiviso in tutto la condizione umana. Ha patito, è stato crocifisso, morì, fu sepolto. Risuscitato dai morti, Signore della vita ce ne affida la cura. Nella sua umanità vivente ritornerà alla fine della storia rivelando pienamente l'uomo all'uomo».
Anna Maria Gellini