Mastrofini Fabrizio
La bellezza della condivisione
2016/3, p. 40
Un evento pensato più per mostrare la presenza importante dei religiosi/e nella Chiesa e dare loro le grandi linee di azione che per affrontare problematiche specifiche e concrete. I tre pilastri indicati dal Papa: profezia, prossimità, speranza.

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Convegno a conclusione dell’anno della vita consacrata
LA BELLEZZA
DELLA CONDIVISIONE
Un evento pensato più per mostrare la presenza importante dei religiosi/e nella Chiesa e dare loro le grandi linee di azione che per affrontare problematiche specifiche e concrete. I tre pilastri indicati dal Papa: profezia, prossimità, speranza.
Un convegno celebrativo si è svolto in Vaticano dal 29 gennaio al 2 febbraio, a conclusione dell’Anno dedicato alla vita consacrata. Significativi i numeri della partecipazione: 4.000 i religiosi e le religiose convenuti a Roma; oltre 2.000 presso la Pontificia Università Lateranense, oltre 400 degli Istituti Secolari riuniti presso l’Istituto Augustinianum; 600 le Vergini Consacrate (Ordo Virginum) presso la Pontificia Università Antonianum, 345 le contemplative riunite all’Università Urbaniana; infine 135 i rappresentanti delle Nuove Forme di vita consacrata.
Gli interventi
L’evento era stato pensato più per mostrare la presenza importante dei religiosi e delle religiose nella Chiesa e dare loro le grandi linee di azione che per affrontare problematiche specifiche e concrete. Di profezia ha parlato il cardinale Braz de Aviz, Prefetto della Congregazione, nell’indirizzo di saluto al Papa l’1 febbraio, indicando i punti che in quest’anno si è cercato maggiormente di vivere: «la gioia della nostra consacrazione, la profezia per “svegliare il mondo”, l’essere “esperti di comunione”, l’andare nelle periferie esistenziali, dove molti di noi già da tempo consumano la loro vita in favore dei rifugiati, dei poveri, degli esclusi, dei malati, dei bambini, dei giovani e degli anziani. «Quest’anno della Vita Consacrata ci invita a tornare al primo amore – ha ribadito in un altro momento il cardinale Braz de Aviz – e non siamo fatti per le strutture né per le opere, anche se sono importanti ma non sono fondamentali. (…) E se dobbiamo lasciare andare qualcosa, questo non è per diminuire la nostra capacità di essere appassionati ma per aumentarla». E rivolto alle vergini consacrate: «vivete la consacrazione come testimonianza del vostro battesimo, tra la gente, ognuna nel suo lavoro, nel dialogo, con la vita. La verginità è esperienza di libertà».
Mons. Carballo, segretario della Congregazione, rivolgendosi alle Nuove Forme di VC ha sottolineato l’importanza dell’ecclesiologia di comunione: «Se tutti i carismi provengono dallo stesso e unico Spirito, allora, parlando in maniera oggettiva, non c’è un carisma che sia migliore di un altro. Tutti sono belli, tutti sono importanti, tutti sono necessari, tutti ugualmente degni. Ciò non impedisce che per ciascuno di noi il carisma al quale siamo stati chiamati sia, soggettivamente parlando, il migliore».
Suor Nicla Spezzati, sottosegretario, ha invitato a non avere paura. «Abbiamo paura della complessità del nostro tempo. Per noi invece è il tempo della grazia, dove Dio sta operando. Il nostro è un tempo complesso, è il tempo della problematicità di cammini, di recuperi, d’apertura in cui uomo e donna anche se frammentati sono capaci di progettazione possibile». «Non è tempo di esploratori solitari, è tempo di cordate e comunione».
Tra gli altri interventi padre Theobald, gesuita, ha chiarito che i consacrati devono seguire, ascoltare, incontrare l’altro per guardare al futuro con lo sguardo profetico di chi osserva l’opera dello Spirito Santo che continuamente crea e arricchisce la Chiesa di nuovi carismi.
L’invito a vivere lo stile di vita contemplativo di Gesù è arrivato dalle relazioni di Maria Grazia Angelini, benedettina, e Miguel Marquez Calle, carmelitano scalzo. La contemplazione non astrae dal mondo, ma inserisce vitalmente in esso: «Dio vive e opera nel mondo», ha notato la Angelini. «E ci pone nella situazione originaria di contemplare. Non un’attività, non uno stato di vita, ma uno stile che splende nell’atto: la forma unificante del credere». La contemplazione è «una fonte di grazia mattiniera fatta di misericordia... che ci attende sempre», ha spiegato Miguel Marquez Calle, declinandola attraverso esperienze e testimonianze di santità lungo la storia.
I temi e i forum
Il carmelitano Bruno Secondin ha introdotto il tema della misericordia a partire dal logo per l’Anno della Vita Consacrata, progettato e disegnato dal gesuita Rupnik, e le parole che lo accompagnano: Vangelo, profezia e speranza. Sei temi, 19 forum, 20 relatrici e relatori hanno impegnato la giornata dei partecipanti intorno a degli assi che toccano oggi la vita apostolica: intercongregazionalità, interculturalità, formazione continua, comunione delle vocazioni, rapporto con le nuove forme di vita consacrata, dialogo interreligioso. Tra i partecipanti le religiose sono state le più numerose: per numero, diversità e ricchezza delle missioni e ambiti in cui sono presenti nelle diverse parti del mondo.
Nella sua relazione suor Nathalie Becquart, Institut La Xavière, ha ribadito che «viviamo in un momento appassionante ma difficile: ci invita a tornare alle nostre radici e rispondere ai segni dei tempi con creatività. La vita religiosa è chiamata oggi a un nuovo aggiornamento, ancora più forte di quello vissuto dopo il Concilio. Un rinnovamento necessario per rispondere al nostro mondo plurale e diviso (…) La logica della sperimentazione deve prendere il luogo della semplice riproduzione. Non siamo più i soli protagonisti della missione. Individuo tre sfide per la vita apostolica: la prima è la nostra presenza con i migranti e i rifugiati; la seconda è la messa in opera dell’ecologia integrale sintetizzata nell’enciclica Laudato Si’; la terza è il rapporto uomini e donne nella Chiesa come uguali nella dignità, nel riconoscimento e arricchimento reciproco nel rispetto gli uni e degli altri, per collaborazione e responsabilità condivisi e una reciprocità vissuta».
Mons. Santiago Agrelo Martinez, ofm, ha ribadito che «l’annuncio del Vangelo ai poveri è la prova che è arrivato chi doveva venire ed era stato annunciato. Se il potere non è mosso dalla compassione diventa uno strumento di oppressione. Il tema dei migranti sta diventando il criterio per valutare la qualità della nostra vita consacrata; non possiamo essere donne e uomini della legalità perché spesso essa è ingiusta. Non siamo stati inviati a persone con i documenti in regola o a colori che sono perfetti, ma a coloro che non vuole nessuno».
Padre Bruno Secondin ha ricordato che nelle Scritture troviamo diversi passi che ci richiamano le stesse diversità che oggi affrontiamo: tra antico e nuovo, tra passato e futuro, tra conosciuto e ignoto. «Non sappiamo cosa fare davanti alle opere che si svuotano, agli ostacoli che incontriamo: e se fosse lo Spirito che sta agendo? Non va contrastato anche con le migliori intenzioni, o con una nostalgia di ciò che non è più. Il Signore lavora per brecce, interstizi e fessure: là entra e trasforma. Dobbiamo uscire dalle porte e sederci con amici che non scegliamo, uscire dal tutto prestabilito, non sappiamo esplorare fuori. Lasciamo che il Signore apra porte e cuori contro ogni evidenza. Facciamo comunità con chi non pensavamo di poterla fare».
Le testimonianze
Una religiosa, un religioso, una appartenente agli Istituti Secolari hanno portato la loro testimonianza, in linea con l’intento celebrativo e “motivante” del convegno stesso. Suor Stefania, Francescana Missionaria di Gesù Bambino, 34 anni, toscana, ha raccontato che «come tante altre famiglie, la mia viene segnata in modo profondo dal dolore: la malattia dei miei genitori. Vogliono la vita, lottano contro il cancro ma mia madre prima e dopo pochi anni mio padre, muoiono. All’età di venti anni rimango in casa con le mie due sorelle (più grandi di me di tre e sei anni) e cerco di continuare a coltivare i miei sogni, a guardare in alto, come mi hanno insegnato mamma e papà. Studio Scienze della comunicazione all’università di Siena, vorrei scrivere e girare il mondo come giornalista. Ma dentro di me avanza, come un mostro che distrugge e devasta, il non senso, l’inutilità di tutto dato che tutto sembra avere una scadenza, un termine irrevocabile: la morte. Così la mia giovinezza ha come sfondo un unico e inconsapevole obiettivo: la fuga. Si può fuggire in tanti modi, anche senza far tanto clamore o dare nell’occhio. Basta semplicemente indossare qualche maschera, per nascondere agli altri, oltre che a se stessi, il proprio dolore, la propria solitudine. Sì, in quel momento Dio era presente, era nei cieli, aveva accolto i miei, ma di me si prendeva cura? Fame di amore, ricerca di uno sguardo che toccasse, accarezzasse tutte le mie paure e mi traesse fuori dal buio in cui mi sentivo. Quello sguardo pazientemente si fece strada, pian piano, e fra tante mie resistenze mi raggiunse. Non accadde in una volta sola, eppure un’esperienza fu senz’altro decisiva: la marcia francescana. Era l’estate del 2002 e insieme a tanti ragazzi, frati e suore francescane, ci eravamo messi in cammino per raggiungere Assisi il 2 agosto, giorno della festa del Perdono, entrare da pellegrini in Porziuncola e chiedere il dono dell’indulgenza. Fu san Francesco a indicarmi che qui, su questa terra, esiste un luogo che è “la porta del cielo”, la porta della vita eterna. Quel luogo era la Porziuncola. Quel luogo era il mio cuore che traboccava dell’amore di Gesù, dell’amore di chi mi guardava con Lui, dal cielo. Così l’Amore si mostrava a me più forte della morte e mi gridava la vittoria della vita, dagli occhi aperti, spalancati del Crocifisso di S. Damiano. Un cuore squarciato che mi chiamava a sé per riattingere tutta la vita che credevo di avere perduto e che invece, in quel corpo consegnato, io vedevo moltiplicata. Quell’attrazione, quell’andare a Lui, da quel momento in poi non si fermò più. Infatti col tempo scoprii che tutta la mia sete di vita e di amore si spegneva lì, al suo cuore. Per questo il 29 ottobre del 2005 dissi sì, e iniziai il mio cammino dietro di Lui nelle suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino. Tra passi sicuri e altri più fragili mi sono affidata alla sua Parola, alla sua fedeltà, e il 3 Maggio 2014 ho celebrato la mia professione perpetua proprio alla Porziuncola, dove l’eccomi di Maria è sostegno e guida anche al mio. E ogni giorno ha il suo “eccomi”, il suo invito ad amare e a lasciarsi amare».
Marie, responsabile delle Risorse Umane di un’importante azienda internazionale, si è riferita alla sua esperienza come appartenente ad un Istituto Secolare. «Ho ricevuto una chiamata a seguire Cristo in pienezza, per servire nello spirito delle Beatitudini lasciando invadere tutta la mia vita ordinaria dei miei normali rapporti di vita con persone che incontro in tutti gli ambienti di vita; questa chiamata è caratterizzata dal dono che è stato fatto di considerare preziose tutte queste persone che incontro nella mia vita quotidiana, perché il Signore dà importanza alla loro vita; così il Signore mi chiama a rispettare e servire la vita che ha posto in loro. Sia nelle mie responsabilità familiari, nel mondo degli affari, con i sindacati che sono i miei interlocutori, con il team di gestione, con clienti o fornitori, ho avuto modo di conoscerli meglio, di accoglierli al di là delle loro competenze professionali, a rispettare la loro storia, le loro scelte e impegni personali e collettivi, la loro ricerca e ad accogliere lo Spirito del Signore che crea. (…) Per me è stato imparare ogni momento a cercare Dio in tutte le cose, tutto il tempo, per scoprire e servire al cuore di questa vita condivisa con persone che si riconoscono vicino e lontano da Dio o appartenenti ad un'altra religione. Ho imparato ad amare l'altro perché mi mette anche in cammino verso Dio, e l’altro è prima un uomo come me con il quale cammino, e un fratello in Gesù Cristo, anche se a volte ci sono brevi momenti di conflitto. Questo fratello mi evangelizza anche. Questa forma di consacrazione è stata riconosciuta dalla Chiesa e sostenuta da una forte vita di preghiera, dalla contemplazione di Cristo nei suoi rapporti con gli uomini e le donne del suo tempo. Ho cercato altre persone che hanno ricevuto lo stesso tipo di chiamata: ho trovato l'Istituto Secolare Notre Dame del Lavoro il cui carisma è quello di partecipare al pieno sviluppo umano di ogni persona. È con la grazia del carisma dell'Istituto secolare che mi impegno a seguire Cristo nella verginità per il Regno e ho fatto la mia professione perpetua. L'istituto mi sostiene nel discernimento, mi aiuta a rimanere fedele a questa doppia chiamata ricevuta e accoglie la missione e il dono contenuto nella mia chiamata».
Infine don Luca, 29 anni, ora consacrato della Piccola Opera della Divina Provvidenza (Don Orione) di Voghera. «Non ho mai avuto paura della mia scelta. L’unica paura, percepita fin da subito, è stata quella di essere ritenuto inadatto dai miei superiori, a causa di alcune difficoltà personali e familiari che ho dovuto sempre affrontare e che, spesso, hanno appesantito il mio percorso. Mi ha sostenuto sempre la gioia di intraprendere questo percorso e l’amore del Signore, manifestatomi attraverso l’amore di tante persone». «Nella vita comunitaria si sperimenta la fatica di accettarsi reciprocamente che non permette di amare l’altro così com’è e non come vorremmo che lui fosse; il rischio di vivere gli apostolati come vie di fuga dalla comunità; i molti pregiudizi culturali e personali, soprattutto in caso di comunità dove sono presenti religiosi di diverse nazionalità. Ma molti sono i doni: la ricchezza delle diverse esperienze; la possibilità di trovare in molti confratelli dei veri propri fratelli e amici».
L’intervento a braccio del Papa
Il convegno ha avuto un intento celebrativo, per confermare religiose e religiosi nella loro vocazione e nel loro cammino. Allo stesso tempo nei vari interventi ufficiali è stata ribadita la visione che ha la Congregazione vaticana: più testimonianza, meno strutture; più ecclesiologia di comunione, meno fai-da-te. Era del resto inevitabile andare per ampie sintesi, a causa del grande numero di partecipanti e delle differenze specifiche tra le forme di vita consacrata.
Ad unificare le diverse tematiche ci ha pensato papa Francesco soprattutto nel discorso in Aula Paolo VI, lunedì 1 febbraio. Un discorso svolto interamente a braccio che ha suscitato moltissimi applausi e un grande coinvolgimento da parte della platea. Il Papa ha toccato aspetti concretissimi. Non ha potuto indicare le soluzioni in quanto non era suo compito. Ma neanche i lavori del convegno celebrativo avevano tale compito. E così gli interrogativi sono rimasti tali. Papa Francesco è partito dai tre «pilastri» della vita consacrata: profezia, prossimità, speranza.
Papa Francesco: «Religiosi e religiose, cioè uomini e donne consacrati al servizio del Signore che esercitano nella Chiesa questa strada di una povertà forte, di un amore casto che li porta ad una paternità e ad una maternità spirituale per tutta la Chiesa, un’obbedienza… Ma in questa obbedienza ci manca sempre qualcosa, perché la perfetta obbedienza è quella del Figlio di Dio, che si è annientato, si è fatto uomo per obbedienza, fino alla morte di Croce. Ma ci sono tra voi uomini e donne che vivono un’obbedienza forte, un’obbedienza… – non militare, no, questo no; quella è disciplina, un’altra cosa – un’obbedienza di donazione del cuore. E questo è profezia. “Ma tu non hai voglia di fare qualcosa, quell’altra?...”; “Sì, ma secondo le regole devo fare questo, questo e questo. E secondo le disposizioni questo, questo e questo. E se non vedo chiaro qualcosa, parlo con il superiore, con la superiora, e, dopo il dialogo, obbedisco”. Questa è la profezia, contro il seme dell’anarchia, che semina il diavolo. “Tu che fai?” - “Io faccio quello che mi piace”. L’anarchia della volontà è figlia del demonio, non è figlia di Dio. Il Figlio di Dio non è stato anarchico, non ha chiamato i suoi a fare una forza di resistenza contro i suoi nemici; Lui stesso lo ha detto a Pilato: “Se io fossi un re di questo mondo avrei chiamato i miei soldati per difendermi”. Ma Lui ha fatto l’obbedienza del Padre. Ha chiesto soltanto: “Padre, per favore, no, questo calice no... Ma si faccia quello che Tu vuoi”. Quando voi accettate per obbedienza una cosa, che forse tante volte non ci piace… [fa il gesto di ingoiare] …si deve ingoiare quell’obbedienza, ma si fa. Dunque, la profezia. La profezia è dire alla gente che c’è una strada di felicità, di grandezza, una strada che ti riempie di gioia, che è proprio la strada di Gesù. È la strada di essere vicino a Gesù».
Papa Francesco: «Uomini e donne consacrate, ma non per allontanarmi dalla gente e avere tutte le comodità, no, per avvicinarmi e capire la vita dei cristiani e dei non cristiani, le sofferenze, i problemi, le tante cose che si capiscono soltanto se un uomo e una donna consacrati diventano prossimo: nella prossimità.
“Ma, Padre, io sono una suora di clausura, cosa devo fare?”. Pensate a santa Teresa del Bambin Gesù, patrona delle missioni, che con il suo cuore ardente era prossima, e le lettere che riceveva dai missionari la facevano più prossima alla gente.
Prossimità. Diventare consacrati non significa salire uno, due, tre scalini nella società. È vero, tante volte sentiamo i genitori: “Sa Padre, io ho una figlia suora, io ho un figlio frate!”. E lo dicono con orgoglio. Ed è vero! È una soddisfazione per i genitori avere i figli consacrati, questo è vero. Ma per i consacrati non è uno status di vita che mi fa guardare gli altri così [con distacco]. La vita consacrata mi deve portare alla vicinanza con la gente: vicinanza fisica, spirituale, conoscere la gente. “Ah sì Padre, nella mia comunità la superiora ci ha dato il permesso di uscire, andare nei quartieri poveri con la gente… “ – “E nella tua comunità, ci sono suore anziane?” – “Sì, sì… C’è l’infermeria, al terzo piano” – “E quante volte al giorno tu vai a trovare le tue suore, le anziane, che possono essere tua mamma o tua nonna?” – “Ma, sa Padre, io sono molto impegnata nel lavoro e non ce la faccio ad andare…”.
Prossimità! Qual è il primo prossimo di un consacrato o di una consacrata? Il fratello o la sorella della comunità. Questo è il vostro primo prossimo. E anche una prossimità carina, buona, con amore. Io so che nelle vostre comunità mai si chiacchiera, mai, mai… Un modo di allontanarsi dalle chiacchiere. Sentite bene: non le chiacchiere, il terrorismo delle chiacchiere. Perché chi chiacchiera è un terrorista. È un terrorista dentro la propria comunità, perché butta come una bomba la parola contro questo, contro quello, e poi se va tranquillo. Distrugge! Chi fa questo distrugge, come una bomba, e lui si allontana».
Papa Francesco: «A me costa tanto quando vedo il calo delle vocazioni, quando ricevo i vescovi e domando loro: “Quanti seminaristi avete?” - “4, 5…”. Quando voi, nelle vostre comunità religiose – maschili o femminili – avete un novizio, una novizia, due… e la comunità invecchia, invecchia…. Quando ci sono monasteri, grandi monasteri, che sono portati avanti da 4 o 5 suore vecchiette, fino alla fine, a me questo fa venire una tentazione che va contro la speranza: “Ma, Signore, cosa succede? Perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile?”. Alcune congregazioni fanno l’esperimento della “inseminazione artificiale”. Che cosa fanno? Accolgono…: “Ma sì, vieni, vieni, vieni…”. E poi i problemi che ci sono lì dentro… No. Si deve accogliere con serietà! Si deve discernere bene se questa è una vera vocazione e aiutarla a crescere. E credo che contro la tentazione di perdere la speranza, che ci dà questa sterilità, dobbiamo pregare di più. E pregare senza stancarci».
Infine il Papa ha avuto una parola speciale per il ruolo delle religiose. «Cosa sarebbe la Chiesa se non ci fossero le suore? Questo l’ho detto una volta: quando tu vai in ospedale, nei collegi, nelle parrocchie, nei quartieri, nelle missioni, incontri uomini e donne che hanno dato la loro vita».
L’intervento scritto
Nel testo scritto, pure fatto circolare, papa Francesco ribadisce che «l’Anno che stiamo concludendo ha contribuito a far risplendere di più nella Chiesa la bellezza e la santità della vita consacrata, intensificando nei consacrati la gratitudine per la chiamata e la gioia della risposta. Ogni consacrato e consacrata ha avuto la possibilità di avere una più chiara percezione della propria identità, e così proiettarsi nel futuro con rinnovato ardore apostolico per scrivere nuove pagine di bene, sulla scia del carisma dei Fondatori. Siamo riconoscenti al Signore per quanto ci ha dato di vivere in questo Anno così ricco di iniziative». Dopo aver ripreso i temi della profezia, della prossimità, della speranza, conclude così: «nel vostro apostolato quotidiano, non lasciatevi condizionare dall’età o dal numero. Ciò che più conta è la capacità di ripetere il “sì” iniziale alla chiamata di Gesù che continua a farsi sentire, in maniera sempre nuova, in ogni stagione della vita. La sua chiamata e la nostra risposta mantengono viva la nostra speranza. Profezia, prossimità, speranza. Vivendo così, avrete nel cuore la gioia, segno distintivo dei seguaci di Gesù e a maggior ragione dei consacrati. E la vostra vita sarà attraente per tante e tanti, a gloria di Dio e per la bellezza della Sposa di Cristo, la Chiesa».
Le religiose
Nello stesso giorno 1 febbraio L’Osservatore Romano ha pubblicato un’ampia intervista con suor Carmen Sammut, delle Missionarie di Nostra Signora d’Africa, presidente dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG). Oltre a parlare della sua vocazione e dell’impegno missionario, suor Sammut ha affrontato alcuni snodi concreti relativi al ruolo delle suore nella Chiesa. E una lettura dell’intervista illumina in controluce l’intento celebrativo del convegno. «Le religiose – nota suor Sammut – sono quasi i tre quarti dei religiosi ma sono invisibili, è come se non ci fossero nella Chiesa. Proprio per questo abbiamo avviato nuovi progetti per farci conoscere e per condividere meglio i progetti tra di noi e con gli altri. Innanzitutto, un rinnovamento della nostra immagine verso l’esterno, con facebook, un sito nuovo: siamo consapevoli di dover rinnovare la comunicazione. Questa attenzione alla comunicazione si affianca agli obiettivi tradizionali: riconoscerci come organizzazione a carattere profetico, risvegliare l’aiuto reciproco, dare un contributo alla vita religiosa». Tra le iniziative ha citato la creazione di una «rete fra tutte le esperte di diritto canonico nel mondo: non sono molte e sono isolate. È importante collegarsi, offrirsi reciprocamente consulenza, stimolare l’aumento delle esperte su questo tema. (…) È molto importante che ne diventiamo consapevoli e che, in caso di necessità, impariamo a usare anche gli strumenti legislativi». Infine l’annuncio di un vero e proprio programma di lavoro. «La prossima tappa è quella di uscire dal nostro isolamento e di diventare voce riconosciuta e ascoltata all’interno della Chiesa. In fondo le istituzioni di religiose, come l’UISG, ci sono già: basterebbe dare loro un compito, farle partecipare ai momenti in cui si decide il futuro della Chiesa. Di quella Chiesa che anche noi, e non in piccola parte, contribuiamo a far vivere e crescere».
La Lettera al Papa
I lavori si sono conclusi con la lettura di una Lettera al Papa a nome di tutti i consacrati e le consacrate. «Che grande opportunità è stata quella di poter condividere la bellezza della nostra vocazione e missione, sebbene non sempre la viviamo al massimo e a volte la oscuriamo, perché decidiamo di vivere scontenti, in un cono d’ombra». È un passaggio del documento letto da mons. Carballo a conclusione dell’udienza con il Papa. «Non un anno per la conversione, sebbene sia sempre necessaria, ma una chiamata a rivitalizzare la gioia, la tenerezza e la speranza. Un Anno come tempo di grazia, spazio teologale dove sentirsi amati da Dio e dalla Chiesa, proiettati per mezzo dello Spirito all’uscita missionaria, come segno di un amore non rassegnato ma intriso di zelo e condivisione con i poveri e gli ultimi». «Cosa abbiamo compreso e maturato in questo Anno della vita consacrata? Il rischio – prosegue la lettera – sarebbe quello di dire le cose che abbiamo fatto, peccando di “mondanità spirituale” o fare la litania del non fatto. In realtà il frutto più bello offertoci dalla Chiesa è riconoscere ciò che Dio ha fatto per noi: ci ha amati con amore eterno, ci ha guardati e noi ci siamo lasciati guardare, ci ha sussurrato che non è agitato per le nostre diminuzioni numeriche, ci ha consolati ricordandoci che i giovani sono una grazia rigenerativa, ci ha rammentato che le comunità, le stesse opere, devono generare persone capaci di prendersi cura dell’uomo ferito, ci ha sollecitati a svegliare il mondo».
Fabrizio Mastrofini