Gellini Anna Maria
Giganti nella misericordia
2016/3, p. 27
Eredi spirituali di san Francesco, consacrati nell’Ordine dei Cappuccini, hanno servito la Chiesa in umiltà e obbedienza facendosi preghiera vivente e sorgente inesauribile di misericordia.
S.Pio e S.Leopoldo a Roma per il Giubileo
GIGANTINELLA MISERICORDIA
Eredi spirituali di san Francesco, consacrati nell'Ordine dei Cappuccini, hanno servito la Chiesa in umiltà e obbedienza facendosi preghiera vivente e sorgente inesauribile di misericordia.
In occasione del Giubileo della Misericordia, papa Francesco ha voluto a Roma, nella Basilica di San Pietro, dal 5 all’11 febbraio, le spoglie di san Leopoldo Mandić e di san Pio da Pietrelcina: prima ostensione di santi in un anno giubilare. La loro presenza, esposta alla venerazione di migliaia di pellegrini, ha voluto porre l'accento sul valore della misericordia e del perdono di Dio, e ha dato rilievo ai due temi cardine di questo particolare Anno Santo.
La scia di luce della santità di questi due padri cappuccini, ha come illuminato la strada agli 800 sacerdoti, provenienti da tutto il mondo, che il Mercoledì delle Ceneri hanno ricevuto dal Papa il mandato di essere missionari della misericordia, con la facoltà di perdonare i peccati riservati alla Sede Apostolica e con l’impegno di essere segno della vicinanza e del perdono di Dio per tutti.
S. Leopoldo, piccolo di statura
grande nel cuore
Bogdan Ivan Mandić nacque a Castelnuovo di Cattaro (l'odierna Herceg Novi in Montenegro) il 12 maggio 1866, penultimo di dodici figli. A Castelnuovo di Cattaro, situato nella Provincia di Dalmazia, parte dell'Impero austriaco, erano presenti i frati Cappuccini della Provincia veneta. Appena sedicenne, Bogdan manifestò il desiderio di entrare nell'Ordine dei Cappuccini; fu accolto nel seminario di Udine e poi, il 2 maggio 1884, al noviziato di Bassano del Grappa (Vicenza), ricevendo il nuovo nome di "fra Leopoldo". Completò gli studi filosofici e teologici nei conventi di Santa Croce a Padova e del Santissimo Redentore a Venezia e nel 1890 fu ordinato sacerdote.
Piccolo di statura, con l’artrite alle mani e una difficoltà nel parlare che gli impedì di dedicarsi alla predicazione, padre Leopoldo era grande di cuore ed esemplare in umiltà. Nel 1914 gli fu affidato l’impegno esclusivo del ministero della confessione. Ricercato da tante persone, che arrivavano anche da lontano per incontrarlo, padre Leopoldo confessava fino a dodici ore al giorno, in una piccola stanza del convento dei Cappuccini di Padova. Quella stanza «in estate diventava un forno e in inverno era una ghiacciaia», ma padre Leopoldo restava sempre lì, instancabile, ad accogliere le persone, ascoltando con pazienza, incoraggiando e consolando. «Stia tranquillo. Metta tutto sulle mie spalle, ci penso io», diceva spesso per rassicurare chi era sopraffatto dal timore e dagli scrupoli e si addossava per ognuno, preghiere, veglie e digiuni. Durante le confessioni, p. Leopoldo non si dilungava in prediche, discorsi, spiegazioni. In una lettera indirizzata a un sacerdote, scrisse: «Mi perdoni padre, mi perdoni se mi permetto… ma vede, noi, nel confessionale, non dobbiamo fare sfoggio di cultura, non dobbiamo parlare di cose superiori alla capacità delle singole anime, né dobbiamo dilungarci in spiegazioni, altrimenti, con la nostra imprudenza, roviniamo quello che il Signore va in esse operando. È Dio, Dio solo che opera nelle anime! Noi dobbiamo scomparire, limitarci ad aiutare questo divino intervento nelle misteriose vie della loro salvezza e santificazione».
Testimoni
della sua santità
Padre Barnaba Gabini, oggi all’età di 96 anni, così ricorda padre Leopoldo: «fuori dalla sua celletta non era tipo di molte parole, passava ore e ore con la gente che aspettava paziente il suo turno in fila per potersi confessare da lui. Anche noi frati andavamo da lui la sera. Spesso, poi, si recava a Santa Giustina e Sant’Antonio e confessava i suoi confratelli anche lì. Era instancabile. Il giorno prima della sua morte stava male, da giorni era costretto a letto, eppure mi ha ascoltato lo stesso. Che sorpresa venire a sapere il giorno dopo della sua morte» (30 luglio 1942). Mostrando poi una vecchia foto con i suoi confratelli sopravvissuti a un bombardamento bellico, padre Barnaba ricorda la profezia di padre Leopoldo.
«Nel 1938, un pellegrino che si recò da padre Leopoldo, lo vide in lacrime: gli chiese spiegazioni e lui gli raccontò di aver avuto una visione del 1942, con il convento distrutto dalle bombe della guerra. Ma gli rivelò anche che nessuno dei frati sarebbe rimasto ferito e che si sarebbe salvata la sua celletta e la statua della Madonna». E così esattamente avvenne nel 1942, anno in cui alcune bombe colpirono la zona, abbatterono il vicino convento delle suore e anche quello dei Cappuccini ma rimase integra la parte di edificio con la celletta di padre Leopoldo e intatta la statua della Madonna.
Anche Giovanni Paolo II rese testimonianza di questo «uomo che si è fatto piccolino dentro di sé per non derubare Dio della sua grandezza» come ha detto p. Francesco Maria Pavani, superiore dei Cappuccini di Bologna.
«La grandezza di padre Leopoldo è nell’immolarsi, nel donarsi, giorno dopo giorno, per tutto il tempo della sua vita sacerdotale, cioè per 52 anni, nel silenzio, nella riservatezza, nell’umiltà di una celletta-confessionale: “Il buon pastore offre la vita per le pecore”. Padre Leopoldo era sempre lì, pronto e sorridente, prudente e modesto, confidente discreto e padre fedele delle anime, maestro rispettoso e consigliere spirituale comprensivo e paziente. Se si volesse definirlo con una parola sola, come durante la sua vita facevano i suoi penitenti e confratelli, allora egli è “il confessore”. Eppure proprio in questo sta la sua grandezza, in questo suo scomparire per far posto al vero Pastore delle anime». (16 ottobre 1983, omelia per la canonizzazione di p. Leopoldo).
San Pio
il frate stigmatizzato
Francesco Forgione nacque a Pietrelcina (Benevento) il 25 maggio 1887. Già a cinque anni espresse il desiderio di consacrare la sua vita a Dio. Raccontava la mamma Maria Giuseppa Di Nunzio che «non commetteva nessuna mancanza, non faceva capricci, ubbidiva sempre a me e a suo padre, ogni mattina e ogni sera si recava in chiesa a visitare Gesù e la Madonna. Durante il giorno non usciva mai con i compagni. Qualche volta gli dicevo: "Francì esci un po’ a giocare". Egli si rifiutava dicendo: non ci voglio andare perché essi bestemmiano». A 16 anni, il 6 gennaio 1903, Francesco entrò nell'Ordine dei Cappuccini e il 10 agosto 1910 fu ordinato sacerdote nel Duomo di Benevento. A causa della sue precarie condizioni di salute, la sua vita sacerdotale si svolgerà in diversi conventi del beneventano, dove fra Pio veniva mandato dai suoi superiori per favorirne la guarigione, poi, il 4 settembre 1916 arrivò al convento di San Giovanni Rotondo dove rimase per cinquantadue anni fino al giorno della sua morte. Consacrato e sinceramente innamorato di Cristo crocifisso, ha partecipato in modo anche fisico al mistero della croce. Infatti uno degli eventi che segnò profondamente la vita di san Pio si verificò la mattina del 20 settembre 1918, quando, pregando davanti al Crocifisso del coro della vecchia chiesina, ricevette il dono delle stimmate, visibili, che rimasero aperte e sanguinanti per mezzo secolo: richiamarono l'attenzione dell'autorità ecclesiastica e provocarono interventi del Sant’Uffizio, che affermò «non constare della soprannaturalità dei fatti a lui attribuiti» e gli vietò per qualche anno ogni esercizio di ministero, eccetto la messa, da poter celebrare privatamente nella cappella interna del convento. Questo fenomeno straordinario attirò su padre Pio anche l'attenzione dei medici, degli studiosi, dei giornalisti ma soprattutto della gente comune che sempre più numerosa andava a San Giovanni Rotondo per incontrare il "Santo" frate.
Quando il 23 settembre 1968, a 81 anni, p. Pio muore, le stimmate scompaiono dal suo corpo e, davanti alle migliaia di persone venute ai suoi funerali, ha inizio quel processo di santificazione che ben prima che la Chiesa lo elevasse alla gloria degli altari lo colloca nella devozione dei fedeli di tutto il mondo come uno dei santi più amati dell’ultimo secolo.
Dispensatore
di misericordia
Padre Pio incominciava la sua giornata molto prima dell'alba, con la preghiera di preparazione alla Messa. Successivamente scendeva in chiesa per la celebrazione dell'Eucaristia alla quale seguiva un lungo tempo di adorazione e poi numerosissime confessioni, fino a sedici ore al giorno, migliaia di lettere con richieste di grazie, visite continue di persone anche autorevoli. «Padre Pio è stato generoso dispensatore della misericordia divina, rendendosi a tutti disponibile attraverso l'accoglienza, la direzione spirituale, e specialmente l'amministrazione del sacramento della Penitenza. Il ministero del confessionale, che costituisce uno dei tratti distintivi del suo apostolato, attirava folle innumerevoli di fedeli al Convento di San Giovanni Rotondo. Anche quando quel singolare confessore trattava i pellegrini con apparente durezza, questi, presa coscienza della gravità del peccato e sinceramente pentiti, quasi sempre tornavano indietro per l'abbraccio pacificante del perdono sacramentale». (omelia di Giovanni Paolo II per la canonizzazione, 16 giugno 2002). Confessarsi da padre Pio non era impresa facile e con la prospettiva di un incontro non sempre carezzevole, eppure il suo confessionale era sempre «assiepato». L'intenso ministero sacerdotale richiamò intorno al primo sacerdote stigmatizzato una «clientela mondiale» (Paolo VI), che si muoveva da tutti gli angoli della terra per avvicinarlo.
Uomo di preghiera
e frate del popolo
La ragione ultima dell'efficacia apostolica di padre Pio, la radice profonda di tanta fecondità spirituale si trova in quella costante unione con Dio di cui erano testimonianza le lunghe ore trascorse in preghiera.
Amava ripetere: «Sono un povero frate che prega», convinto che «la preghiera è la migliore arma che abbiamo, una chiave che apre il Cuore di Dio». Cinquant'anni vissuti nella preghiera, nell'umiltà, nella sofferenza e nel sacrificio uniti ad un’intensa attività caritativa. Dalla sua guida spirituale nascono i Gruppi di Preghiera, che rapidamente si diffondono in tutta Italia e in vari paesi del mondo: «grande fiume di persone che pregano» li definì Paolo VI. Nello stesso tempo attua il sollievo della sofferenza costruendo, con l'aiuto dei fedeli, un ospedale, al quale dà il nome di "Casa Sollievo della Sofferenza", diventato nel tempo un'autentica città ospedaliera, favorendo anche lo sviluppo di quella zona garganica, un tempo deserta.
Nel settembre del 1968 migliaia di persone, si radunarono in convegno a San Giovanni Rotondo per commemorare il 50° anniversario delle stigmate e celebrare il quarto convegno internazionale dei Gruppi di Preghiera.
Secondo varie testimonianze, doni straordinari accompagnarono padre Pio per tutta la vita, in particolare, l'introspezione delle anime (era capace di radiografare l’interiorità di una persona al solo sguardo), il profumo che faceva sentire a persone anche lontane, il beneficio della sua preghiera per i fedeli che si affidavano a lui.
«Divorato dall'amore di Dio e dall'amore del prossimo», egli visse sino in fondo la sua «vocazione a corredimere» l'umanità, secondo la speciale missione che caratterizzò tutta la sua vita.
Proclamato beato da papa Giovanni Paolo II il 2 maggio 1999, san Pio da Pietrelcina è stato canonizzato il 16 giugno 2002.
Anna Maria Gellini