Matté Marcello
Mendicanti nell'era del consumismo
2016/3, p. 23
I domenicani irlandesi – in un articolo pubblicato su Religious Life Review1 – riflettono sul carisma delle origini rapportato a una società nella quale il significato del denaro e, specularmente, della povertà è profondamente cambiato.

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I Domenicani e il senso della povertà oggi
MENDICANTI
NELL’ERA DEL CONSUMISMO
I domenicani irlandesi – in un articolo pubblicato su Religious Life Review – riflettono sul carisma delle origini rapportato a una società nella quale il significato del denaro e, specularmente, della povertà è profondamente cambiato.
Come i monaci e come i canonici regolari, gli ordini mendicanti si proponevano, fin dalle origini, di seguire Cristo, imitandone con preferenza il tratto di messaggero vagante, senza nemmeno una pietra ove posare il capo. Svincolati, dunque, dalla stabilitas loci dei monaci o dalle cattedrali servite dai canonici. L’imitazione di Cristo li accomunava a una tradizione millenaria, ma hanno aperto una via nuova, sia dal punto di vista spirituale sia nell’organizzazione della vita. La scelta della peregrinazione consente loro di raggiungere la popolazione che si va aggregando in nuovi agglomerati urbani. La scelta della povertà dava forma sapiente a una domanda crescente di radicalità evangelica che sembrava non trovare altre strade se non quelle eretiche (come gli albigesi o i catari).
L’itineranza viene assunta come forma di povertà, cioè insieme di ascesi personale e solidarietà con i poveri. Il predicatore itinerante dipende, per il vivere, per il suo futuro, dai suoi uditori. Dipende dal Vangelo: ne è il movente (itinerante a causa del Vangelo) e lo scopo (itinerante per annunciare il Vangelo).
Domenico e Francesco condividono molti ideali. Entrambi gli ordini da loro fondati sono dediti alla predicazione, ma ben diversi sono gli approcci. Jeremy Miller e Simon Tugwell, entrambi domenicani, lo mettono in evidenza: «San Francesco ha adottato un certo stile di vita e ha trovato che la predicazione ne fosse parte. Diego e Domenico trovarono una missione da svolgere e adottarono uno stile di vita che avrebbe permesso loro di adempierla. I francescani, in seguito, argomentarono che poiché professavano povertà dovevano conseguentemente predicare. I domenicani sostengono che, poiché predicano, sia coerente professare povertà»
Le motivazioni di carattere spirituale si combinano – forse intenzionalmente, forse intuitivamente – con le motivazioni di carattere storico. Gli itineranti compaiono sulla scena di un’Europa che sta profondamente cambiando nella sua struttura economica. L’economia agricola basata sul modello dello scambio e del dono cede il passo all’economia urbana basata sul profitto. Perfino il linguaggio della predicazione ne risente. Dalla “penitenza tariffata”, modello ormai dominante nella “gestione” della colpa, il lessico del “mercato” si espande a tutta la predicazione morale ... e l’ex mercante Francesco d’Assisi vi si trova a suo agio.
Cosa significa
essere mendicanti oggi
Dai tempi di Francesco e Domenico, l’Europa e il mondo intero sono ulteriormente e drasticamente cambiati. Viviamo in una società dei consumi nella quale il denaro ha un potere e un significato ben più vasto di quello che aveva ai tempi dei due fondatori. È un elemento totalizzante, nella sua realtà oggettiva e nella dinamica della quale è la portante. La scelta di vivere in povertà e dipendenza non è certo nuova ed è sempre stata considerata una scelta “contro corrente”. Sono tuttavia nuovi sia i significati sia le forme che essa assume per essere “predicazione” del Vangelo.
La povertà mendicante può assumere oggi una vasta gamma di forme: rinuncia alla proprietà delle abitazioni preferendo l’affitto; rifiuto dei modelli di benessere per accontentarsi di quanto basta per vivere; stare “sulla strada”, condividere le condizioni dei poveri con i quali si vive. La maggioranza dei religiosi e delle comunità, tuttavia, legittima il proprio stile di vita con la distinzione fra possesso e uso dei beni. Uno stile di vita povero conferisce credibilità alla missione e conferma un’appropriata destinazione del denaro del quale si dispone.
Il domenicano Tommaso d’Aquino ha provveduto, già al suo tempo, un’ampia argomentazione in merito. Secondo il Dottore angelico, l’economia nel suo insieme si articola lungo quattro dimensioni: produzione, scambio, consumo e distribuzione di beni e servizi. Per san Tommaso l’ultima è la più decisiva dal punto di vista etico, perché qualifica le altre. L’Ordine dei predicatori ha bisogno di strutture e previdenze per consentire l’adempimento della propria missione e dunque permettere, ad esempio, lo studio. Quale uso si faccia dei beni, quale sia lo scopo al quale il denaro viene destinato è dunque la questione fondamentale, ancor più in una società capitalista strutturata sul denaro più che sui beni materiali.
Povertà
e finanza
Nel nostro contesto di capitalismo avanzato, dove l’economia si struttura essenzialmente e in maniera determinante sulla finanza, gli interrogativi circa le forme della povertà – e ancor più della mendicanza – si fanno molto più complessi. Le forme tradizionali si mostrano insufficienti e la ricerca di forme nuove più insidiosa, esposta ad ambiguità.
Nella riflessione dei domenicani, sono principalmente due le direzioni percorse: gli investimenti finanziari e il fundraising, cioè la colletta di fondi orientata al sostegno finanziario dei progetti legati alla missione.
Se – come diceva già Tommaso d’Aquino – la prudenza è la virtù basilare nel perseguimento di uno scopo, una delle sue espressioni è la docilità, cioè la disponibilità a lasciarsi illuminare dal consiglio di chi è competente in materia. Nell’ambito dell’economia finanziaria, ciò comporta fare affidamento sulla professionalità dei consulenti nella gestione dei fondi accumulati per far fronte alle necessità delle comunità e della missione.
È prudenza anche la capacità di previsione, che, in ambito economico finanziario, significa tener conto dell’andamento del mercato nella gestione di fondi. Se si avvia un’opera, dagli scopi evangelicamente nobili, non si può fare a meno di adottare strategie volte alla tutela (e alla rendita) del denaro raccolto dalla generosità dei donatori. Il sisma della crisi finanziaria, che ha scosso nel profondo l’intero sistema capitalistico a partire dal 2008, ha messo drammaticamente in evidenza la questione.
Dal punto di vista spirituale e dei significati, le forme della prudenza sollevano però altrettanti interrogativi. I depositi finanziari possono rendere puramente formale – per non dire ipocrita – la dichiarata dipendenza dalla provvidenza del Padre. La storia di ordini e congregazioni dotati di ingenti accumuli finanziari non è propriamente gloriosa, e scandali recenti ne hanno mostrato l’inconsistenza. Ci si deve mantenere estremamente vigili sugli scopi del denaro accumulato, perché non venga finalizzato al benessere di ordini e congregazioni anziché alla missione. Come cambia il nostro ministero in rapporto alle condizioni di sicurezza garantite dai depositi finanziari? La missione dell’istituto risponde a necessità reali? aggiunge valore alla vita della gente cui siamo inviati? La risposta alle collette conferma il valore dello scopo proposto, ma non può essere considerato l’unico criterio di valutazione.
Entrano qui in gioco gli interrogativi riguardanti l’attività di fundraising, come forma moderna di mendicanza. È accettabile questa forma “sofisticata”? È compatibile con il significato evangelico della povertà? Se ci si inserisce appieno in un contesto che oggi è inevitabilmente capitalista e finanziario se ne devono accettare anche le regole e discernere le ambiguità. Altrettanto è indispensabile non svuotare il significato spirituale che le forme dovrebbero custodire e riproporre, non mascherare o vanificare.
Nella riflessione dei domenicani, il significato spirituale più eminente del fundraising viene individuato in quella che, sinteticamente, chiamerei la partecipazione. La colletta è un’occasione proposta ad altri di partecipare alla missione. E come ogni occasione, se non viene offerta si priva il destinatario di un’opportunità di esprimere il desiderio/valore del dono. Inoltre, quando si offre a qualcuno l’opportunità di partecipare a un progetto, lo si mette in grado sia di trasformare la realtà intorno a sé, sia di trasformare se stesso: donando, si cresce e si cambia per il meglio. Chi fa appello al suo desiderio di bene lo aiuta ad essere migliore.
Diceva Henri Nouwen: «Il fundraising è un invito alla conversione. Le persone vengono sollecitate a un rapporto nuovo con le proprie risorse. Offrendo loro un orizzonte spirituale, vogliamo che possano sperimentare un beneficio attraverso la condivisione. ... “Con il tuo dono non diventi più povero, diventi più ricco”».
Così vissuto, il fundraising è una forma di dipendenza e dunque di povertà, ma è anzitutto una forma di comunione e in questo può trovare il suo senso. I religiosi mendicanti non sono accattoni, ma uomini e donne di comunione. Per questo e in questo senso si fanno promotori di partecipazione e condivisione fra chi ha e chi non ha, fino a mettere la propria vita alle dipendenze del dono altrui.
Sul tema dell'elemosina, il card. Tagle ha fatto un esempio eloquente: «Penso ai monaci buddisti, che girano le città, chiedono cibo, poi una volta raccolto lo mettono su un tavolo a disposizione dei più poveri. Quindi chiedono l’elemosina non per loro ma per i poveri, e solo se avanza qualcosa alla fine ne mangiano anche loro».
«Bisogna imparare da loro - ha sottolineato Tagle -, chiedere l’aiuto non per noi ma per gli altri, e toccare così il cuore delle persone».
Marcello Matté