Prezzi Lorenzo
Cina: verso una schiarita?
2016/3, p. 18
Sul miliardo e 300 milioni di abitanti la comunità cattolica è assai piccola. Si parla di 12-15 milioni: 3.500 i preti con una metà media di 45 anni; 1.500 i seminaristi (di cui 350 clandestini); 7.000 le religiose (60 novizie); un centinaio i vescovi (45 legali e altrettanti clandestini; una dozzina quelli non riconosciuti da Roma).
Cina: verso una schiarita?
Si va verso una soluzione alle nomine dei vescovi nella Cina continentale? Lo fa presagire una anticipazione del Corriere della sera (31 gennaio), ripreso da molti altri media. Sarebbe l’esito di una serie di colloqui iniziati nel 2014 quando una delegazione cinese è venuta a Roma. Seguiti da una analoga delegazione vaticana a Pechino nel 2015 e da un terzo incontro a Roma nel dicembre 2015. Il meccanismo individuato sarebbe questo: il governo, attraverso il Consiglio dei vescovi (sorta di conferenza episcopale a cui non partecipano i vescovi non riconosciuti dal governo) propone tre nomi. Il Papa ne sceglie uno. Nel caso di mancato gradimento dei tre viene richiesta una spiegazione. Non si conoscono i meccanismi ulteriori. La novità sarebbe comunque di rilievo perché riserva al Papa la scelta determinante e perché sbloccherebbe una situazione ormai ai limiti dello sfibramento. I funzionari cinesi vedrebbero non contraddetti gli indirizzi tradizionali della politica religiosa che chiede alle religioni riconosciute (buddismo, taoismo, islam, cattolicesimo e protestantesimo) una triplice autonomia: autogoverno, autofinanziamento, auto propaganda. Si uscirebbe in questa maniera da una incertezza assai pericolosa con l’accumulo di linee conflittuali dentro le comunità e fra i vescovi, anche se non sarà gradita a tutti. Dopo la stagione delle nomine condivise (proposte da Pechino su nomi accettabili per Roma) che è durata fra il 2007 e il 2010, e il periodo delle nomine non condivise (con una crescente tensione con Roma e fra le comunità legali e illegali) fra il 2010 e il 2012, si era entrati in una «terra di nessuno» dove poteva prodursi ogni esito. Un piccolo segnale positivo si era verificato in agosto del 2015 con la nomina condivisa di Giuseppe Zhang Yinlin a vescovo coadiutore di Anyang (Henan). Da allora si aspettava una scelta meno provvisoria.
Sul miliardo e 300 milioni di abitanti la comunità cattolica è assai piccola. Si parla di 12-15 milioni: 3.500 i preti con una metà media di 45 anni; 1.500 i seminaristi (di cui 350 clandestini); 7.000 le religiose (60 novizie); un centinaio i vescovi (45 legali e altrettanti clandestini; una dozzina quelli non riconosciuti da Roma). Dopo l’importante lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI del 2007, più volte ripresa e interpretata, l’arrivo di papa Francesco ha aperto speranze nuove. Piccoli segnali (come la telefonata del Papa al presidente eletto Xi Jinping, il permesso di attraversare lo spazio aereo cinese al volo del Papa verso la Corea, richiami positivi all’attività della Santa Sede in giornali di partito) hanno tenuto viva la speranza che potrebbe rivelarsi fondata se il nuovo metodo venisse accolto.
Il superamento dei conflitti è una esigenza dell’evangelizzazione per mons. Paolo Ma Cunguo: «Mentre noi guardiamo a noi stessi e alle nostre cose, e magari in alcune regioni litighiamo e ci accusiamo tra ufficiali e clandestini, consumiamo energie in questi contrasti e non ci accorgiamo più del mondo che ci sta intorno». L’azione pastorale e di annuncio conta di più delle differenze di opinioni. Erano quasi 2000 i fedeli a festeggiare (1 maggio 2014) l’avvio del primo monastero di vita contemplativa femminile a Lin Tou (Shanxi). E molti attendono il ritorno di piccoli gruppi in formazione monastica in alcuni luoghi occidentali (St. Ottilien in Germania, Camaldoli in Italia e Septfons in Francia). Secondo due modalità diverse: chi compie l’intero cammino di formazione monastica all’interno di abbazie in Occidente e chi, invece, sviluppa il proprio cammino in Cina con temporanei soggiorni in Occidente (anche se in Cina non è ancora permessa la vita comune maschile). Diversi ordini e congregazioni maschili hanno qualche religioso nella Cina continentale, anche se per ragioni non direttamente pastorali (insegnamento o altro).
La nomina dei vescovi è lo scoglio maggiore, ma i problemi della Chiesa cinese non sarebbero certo risolti: il peso intrusivo dell’Associazione patriottica, i contrasti ancora non risolti (seppure sempre meno evidenti) tra fedeli clandestini e legali, gli abbandoni significativi nel giovane clero (si parla del 20%), la distruzione di chiese e la rimozione forzata di croci sono ancora da riassorbire. Oltre a casi personali gravi come il caso dei vescovi Su Zhi Min e Ma Daqin, impediti nel loro ministero. Valutazioni molto critiche sono giunte dal card. Zen Ze-kiun, ex-arcivescovo di Hong Kong e da alcuni osservatori come B. Cervellera e G. Criveller. Ma sia la Santa Sede, sia la maggioranza dei vescovi locali sembrano orientati ad una valutazione positiva del percorso compiuto. Sempre che diventi vero.
Meno probabile che la soluzione prospettata per i vescovi acceleri il riconoscimento diplomatico considerato il recente gradimento vaticano per l’ambasciatore di Taiwan (23 gennaio) a cui sarebbe stata assicurata una sostanziale continuità della situazione attuale. Un viaggio del Papa in Cina troverebbe maggiore plausibilità per l’imprevedibilità e la generosità di papa Francesco.
Il caso cinese non è, in ogni caso, sovrapponibile alla tradizione dell’Ostpolitik che negli anni ’70 ha permesso alla Santa Sede di non lasciare morire le comunità di alcuni stati dell’Est Europa. In quel momento l’azione diplomatico-pastorale si univa a quella del processo di Helsinki in cui l’insieme degli stati europei e nord-americani costruirono una piattaforma ad un tempo commerciale, economica e relativa ai diritti umani. Quest’ultimo aspetto non ha riscontri nell’attuale diplomazia internazionale verso la Cina. Per questo, un attento osservatore come G. Criveller, dopo aver costatato la progressiva riduzione degli spazi di libertà a Hong Kong conclude: «Non ci sarà più libertà a Hong Kong, senza che la stessa libertà arrivi anche per la Cina». Anche il card. J. Tong, attuale vescovo della città, ha parlato di tre modelli in auspicabile successione: quello delle persecuzioni del passato, quello attuale del controllo statale sulle religioni e sulla Chiesa cattolica e quello desiderabile della piena libertà religiosa (e civile). Il futuro della Chiesa in Cina non ci sarà se non sarà pienamente cinese e pienamente cattolico.
Lorenzo Prezzi