Dall'Osto Antonio
Cosa divide e unisce i cristiani cinesi?
2016/3, p. 15
La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani non è molto sentita in Cina. Sono tanti i fattori che lo spiegano, non ultimi quelli storici. Tuttavia si riscontra un ecumenismo pratico dovuto anche al fatto che i cristiani condividono la stessa sorte sotto il giogo comunista.

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Ecumenismo in chiaroscuro in Cina
COSA DIVIDE E UNISCE
I CRISTIANI CINESI?
La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani non è molto sentita in Cina. Sono tanti i fattori che lo spiegano, non ultimi quelli storici. Tuttavia si riscontra un ecumenismo pratico dovuto anche al fatto che i cristiani condividono la stessa sorte sotto il giogo comunista.
Durante la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, l’agenzia cattolica UcaNews, (Union of Catholic Asian News), fondata nel 1979 a Hong Kong e attualmente diretta dal gesuita australiano Michael Kelly, ha interrogato varie persone per conoscere quale impatto ha questa Settimana in Cina tra i cristiani. Il risultato non è stato molto incoraggiante.
Tra le persone interpellate, a titolo esemplificativo, l’agenzia cita Joseph Chen, un cattolico della provincia orientale di Zhejiang, che si era adoperato a preparare un libretto di cui servirsi con i suoi amici per la Settimana di preghiera per l’unità, il quale ha affermato: «era solo uno strumento da usare tra di noi perché nella nostra parrocchia non si tengono queste celebrazioni». Ma alla prima riunione di preghiera si presentarono solo due persone. L’agenzia osserva: «Nonostante che a Zhejiang vi siano circa 2 milioni di protestanti e circa 210 mila cattolici, non si è fatto praticamente nulla per promuovere l’ecumenismo o l’unità tra le chiese». Tra parentesi va ricordato che proprio in questa provincia le autorità comuniste recentemente hanno fatto rimuovere tutte le croci dalle 1.700 chiese che sorgono nel territorio.
Nella vicina provincia di Jiangsu, un altro interpellato, p. James, nome con cui si è presentato, ha affermato che in Cina, in linea generale, non si fa niente per l’ecumenismo. «Alcune denominazioni, ha spiegato all’agenzia, si guardano più o meno tra loro come concorrenti».
Anche una signora, di nome Maria, ha confermato che nella sua zona non esiste quasi nessuna interazione tra le varie denominazioni: «Abbiamo – ha spiegato – una quantità di cose da fare nella nostra comunità che è ancora in fase di sviluppo, perciò la promozione dell’unità dei cristiani occupa una priorità molto secondaria». Certamente, ha aggiunto, «ci conosciamo tutti l’un l’altro, ma tra di noi non esiste alcuna collaborazione. Ci incontriamo solo alle riunioni di alto livello organizzate dal governo per le religioni”. Ci sono perfino dei protestanti, ha concluso, che non hanno mai sentito parlare di questa Settimana di preghiera».
Ma al di là di queste dichiarazioni, la situazione non è così grigia come si può pensare. Lo si può dedurre da quanto riferisce la medesima agenzia, il 21 gennaio 2016, in occasione della Settimana di preghiera. A scrivere è un teologo cattolico francese, Michel Chambon, che sta preparando il dottorato in antropologia presso l’Università di Boston, negli Stati Uniti, ma che attualmente si trova in Cina per un anno di lavoro tra i protestanti del luogo.
Per comprendere il rapporto tra le comunità cristiane presenti in Cina, scrive, è necessario dare uno sguardo al passato e al presente. Secondo la Costituzione cinese, ci sono nel paese due principali chiese cristiane: la Chiesa protestante (jidujiao) e quella cattolica (tianzhujiao). Ma la situazione concreta è molto più sfumata di quanto appaia da questo schema.
Come sappiamo, gli eccessi dell’era maoista, seguiti dalla politica invasiva post-1979. indussero i cattolici e i protestanti a dividersi tra “chiese legalmente registrate” e “chiese non registrate” (comunità sotterranee per i cattolici e chiese domestiche per i protestanti). Ma il fattore politico ancor oggi non è l’unica spiegazione di tutte queste spaccature e diversificazioni all’interno del ricco e vivace cristianesimo cinese.
Il pesodella storia
Uno dei principali fattori da tenere presenti è la storia. Le divisioni vengono da lontano. Né gli sforzi delle chiese né quelli del partito comunista sono riusciti a cancellare quelle esistenti tra i cattolici i protestanti nella Cina pre-1949.
Da parte protestante, varie denominazioni e alcuni importanti paesi protestanti si erano impegnati a conquistare e a impiantare le loro tradizioni religiose nel Regno di mezzo.
Da parte cattolica, la situazione è in vari modi simile. La competizione tra nazioni cattoliche e anche tra i principali istituti religiosi aveva dato origine nella Cina pre-1949 a un paesaggio cattolico molto frammentato.
Nonostante i tentativi della Santa Sede per standardizzare l’amministrazione ecclesiastica del paese, le divisioni fra territori e tradizioni spirituali rimasero vive fino all’arrivo dei comunisti.
Questa eredità spiega perché alcuni gruppi attuali di cattolici rifiutano di appartenere alla diocesi del luogo, rivendicando un’appartenenza storica diversa.
Risentimento contro la semicolonizzazione
Il peso della storia è avvertito anche di fronte alle conseguenze della semicolonizzazione che la Cina ha vissuto. Le varie alleanze tra i cristiani dell’Occidente e la diplomazia delle cannoniere che hanno caratterizzato il secolo 19° e la prima parte del 20° hanno indotto i cinesi a collegare il cristianesimo con il colonialismo.
La rivoluzione dei Boxer nel 1899 e 1901 è il riflesso di questo problema scottante del secolo scorso. Per questa ragione negli anni 1910-1920 i circoli cattolici e protestanti hanno cercato delle risposte a questi risentimenti antioccidentali.
Da parte cattolica, la Chiesa cercò di promuovere l’ordinazione di vescovi del luogo per renderla maggiormente cinese, anche se le risorse e il potere furono oggetto di lotte tra i clan locali e i gruppi etnici.
Da parte protestante, diversi predicatori cinesi crearono in varie regioni del paese nuove chiese che fossero libere dalla supervisione straniera.
Occorre anche ricordare come il persistente risentimento contro la semicolonizzazione dell’Occidente continui a spiegare la cautela con cui alcuni cristiani cinesi guardano all’attuale movimento ecumenico.
Questo movimento promosso della principali chiese internazionali è a volte percepito come una nuova strategia di soggiogamento da parte degli stranieri.
Ma ci sono altri fattori che lacerano la veste inconsutile di Cristo in Cina.
I cambiamenti socio-economici
Il primo di questi è il grande cambiamento socio-economico avvenuto di recente. In effetti, l’enorme crescita economica, a partire dal 1979, ha spinto milioni di cinesi a lasciare i loro villaggi per raggiungere le città. È un fattore che si riflette anche sulle chiese.
Per esempio, la discriminazione che si avverte fra gli abitanti di Canton (in cinese Guangzhou, la più grande città costiera del sud della Cina, capoluogo della provincia del Guangdong), contro i nuovi arrivati che non parlano la loro lingua (o non con un appropriato accento locale quella mandarina) è un fenomeno presente anche nelle comunità cristiane.
Chi visita i cattolici della chiesa sotterranea o ufficiale a Guangzhou rimarrà stupito nel notare come l’origine geografica spieghi in gran parte la distinzione esistente tra queste due comunità e i loro due cleri.
Pertanto non bisogna ignorare che la migrazione economica e la latente xenofobia costituiscono un fattore che alimenta la frammentazione delle comunità cristiane cinesi.
Un altro fattore è il contesto religioso-culturale della civiltà cinese. Si tratta del retroterra tradizionale caratterizzato, tra le altre cose, da un profondo rispetto delle sacre Scritture antiche e dalla spinta a incrementare i culti locali che venerano una moltitudine di divinità.
Il ruolo delle pseudo sette cristiane
Questo contesto produce un continuo emergere di nuove sette locali che si appropriano di parti della Bibbia, e cambiano allo stesso tempo la fede cristiana, rivendicando una identità cristiana. Nel lungo elenco, continuamente in crescita, di queste sette, la più nota è la “Illuminazione orientale” (Eastern Lightening).
Fondata negli anni 1990 nella provincia di Heilongjiang attorno al concetto della reincarnazione femminile di Gesù, i seguaci di queste sette preannunciano un’imminente fine del mondo e diffondono nello stesso tempo una molteplicità di riti di guarigione.
Questi gruppi religiosi fanno proseliti negli ambiti protestanti svolgendo una propaganda alle porte delle chiese delle principale correnti.
Il moltiplicarsi e diffondersi di queste sette psudo-cristiane offusca il paesaggio cristiano cinese e impedisce qualsiasi sviluppo del dialogo ecumenico in profondità.
Un ultimo fattore è costituito dall’impatto a volte ambiguo dell’apertura internazionale del paese. Anche se questa apertura post-1979 ha favorito globalmente il movimento ecumenico permettendo alle chiese cinesi di impegnarsi con le reti cristiane internazionali e di riscoprire le altre tradizioni e consuetudini, alcuni missionari venuti in Cina si sono opposti frontalmente all’ecumenismo, influenzando attivamente i cristiani cinesi.
Per esempio, molti missionari coreani (in gran parte protestanti, ma anche cattolici) segnati dal marchio del loro contesto nazionale frenano le chiese nel nord est della Cina dall’aprirsi alle altre tradizioni e consuetudini cristiane.
Ma la galassia cristiana in Cina non è solo una realtà frammentaria e divergente.
L’ecumenismoè vivo
L’ecumenismo non è condannato a scomparire dalla Cina. In effetti, possiamo trovare nella società cinese e tra i cristiani cinesi un certo numero di mediazioni favorevoli a un cammino di reciproco rispetto, di convergenza e di relativa comunione spirituale.
Tutti i protestanti usano gli stessi termini per designare Dio, il popolo biblico ed esprimere le nozioni della fede. Tuttavia, ci sono anche dei cattolici e protestanti che spesso non lo fanno.
In modo analogo, si riscontra un certo numero di inni liturgici all’interno di tradizioni e comunità cristiane differenti. In una città dove ho effettuato una ricerca, tutti i cristiani del luogo ricorrono alla stessa persona per celebrare i funerali.
Questa persona è riconosciuta e accettata da tutti i cristiani, ma rifiuta di servire famiglie non cristiane. Questi esempi mostrano che in Cina esiste effettivamente un vero ecumenismo pratico.
Un altro incentivo indiretto all’ecumenismo viene dalla pressione politica esercitata sui gruppi cristiani e che ha creato una “comunione di sventura”. I cristiani cinesi condividono una storia comune che li vincola gli uni gli altri e fa loro respirare uno spirito di reciproco rispetto.
Anche se questi gruppi non lavorano insieme, si trovano tuttavia accanto nelle strutture religiose-politiche messe in atto dal governo per tenerli sotto controllo. In pratica, pastori e leader cristiani si incontrano regolarmente nelle sessioni comuni di educazione organizzate dall’amministrazione cinese.
A costo di apparire paradossali, possiamo dire che il partito comunista cinese non costituisce solo un fattore di divisione tra i cristiani, ma è anche di reciproca conoscenza e di comunione basilare. In questo modo, a motivo della storia e del contesto politico, le relazioni tra le chiese in Cina sono del tutto cordiali e amichevoli.
Le chiese percepite come correlate
Infine, è interessante notare che all’interno della popolazione cinese gli xinyesu, o “credenti in Gesù” sono percepiti come un gruppo ben distinto, se paragonati agli info o “credenti in Buddha” (il termine Buddha si riferisce qui concretamente a tutte le divinità che la Cina può enumerare).
Sembra che in Cina la principale linea di demarcazione religiosa che tradizionalmente era tracciata fra confuciani e altre persone religiose (Buddisti e Taoisti) si stia spostando verso la dicotomia cristiani e “buddisti”.
In questo contesto, le chiese cristiane sono percepite dalla maggioranza del popolo cinese come un tutt’uno, più o meno omogeneo, ma chiaramente correlato. Questa percezione popolare induce da parte loro i cristiani a sviluppare uno spirito di famiglia ancora più forte.
In conclusione, possiamo renderci conto come la situazione ecumenica in Cina rifletta forze e debolezze, complessità e difficoltà.
Anche se la cosiddetta “Settimana di preghiera per l’unità cristiana” a mala pena suscita interesse da parte dei cattolici e dei protestanti cinesi (il Consiglio cristiano cinese è membro del Consiglio mondiale delle Chiese), i cristiani cinesi sono consapevoli di condividere la medesima appartenenza spirituale e del loro dovere di onorare meglio la preghiera di Gesù per i suoi discepoli “che tutti siano una cosa sola perché il mondo creda”.