Prezzi Lorenzo
Famiglia, unioni civili e consacrati
2016/3, p. 13
La discussione indotta dal progetto di legge sulle unioni civili interpella la VC che, per la sua struttura, è in grado di capire le diverse pratiche familiari. La famiglia cristiana è bella e sempre aperta al futuro. Il senso di un dibattito civile che interessa i fondamentali dell’umano.
Oltre il modello familiare?
Famiglia, unioni civili
e consacrati
La discussione indotta dal progetto di legge sulle unioni civili interpella la VC che, per la sua struttura, è in grado di capire le diverse pratiche familiari. La famiglia cristiana è bella e sempre aperta al futuro. Il senso di un dibattito civile che interessa i fondamentali dell’umano.
La discussione e la votazione del progetto di legge Cirinnà sulle unioni civili, comprese quelle omosessuali, hanno interessato l’opinione pubblica del paese. Per la radicalità con cui si affrontano i temi della famiglia, la relazione maschio-femmina e quella fra le generazioni, le questioni aperte non possono essere ignorate dai religiosi. Da tempo scriviamo su Testimoni (4/2014 p. 1) della specularità delle vocazioni religiose rispetto a quelle familiari e del loro richiamo reciproco e non possiamo conseguentemente ignorare quello che avviene nel paese. Del resto non mancavano i religiosi e le religiose nel Family day del 30 gennaio scorso e l’accompagnamento familiare interessa da vicino molti consacrati e consacrate. La comunità religiosa, d’altra parte, è caratterizzata dalla priorità del dato simbolico-spirituale su quello naturale, dall’unità degli spiriti e non da quella della carne e del sangue, dalla libertà di adesione e di apertura ad altri e ad altre che non risulterebbero viabili per le famiglie, dalla disponibilità di non fissarsi in un luogo e in relazioni specifiche rispetto al vincolo del matrimonio. In una parola, è una comunione di vita in grado di capire la varietà crescente dei modelli familiari. Certo non di giustificarli, ma di percepire il bene dei legami che in essi si producono.
La famiglia è sempre da inventare
«Tra i difensori della famiglia tradizionale e i suoi detrattori c’è un grande spazio per chi pensa che la famiglia potrà avere ancora moltissimo da dire se saprà rinnovarsi, includendo elementi che la cultura ha nel corso degli anni acquisito. La famiglia migliore dobbiamo ancora vederla» (M. Magatti). La famiglia è sempre da inventare di nuovo. Il messaggio pastorale che si può raccogliere dall’ampia discussione sul progetto di legge relativo alle unioni civili, alle coppie di fatto e alle convivenze omosessuali, dallo scontro politico che ha provocato, dalle contrapposte piazze che ha riempito, dai confronti giuridici, culturali e scientifici che ha alimentato, va nel senso di riaffermare la famiglia come risorsa. La famiglia cristiana non ha paura di confrontarsi con le nuove prassi sociali, con i modelli familiari di altre tradizioni, con le tendenze culturali in atto. La tradizione, nel senso cristiano, è un corpo vivo che continua a generare la fedeltà al Vangelo, generazione dopo generazione.
La forma puramente contrappositiva e l’interpretazione apocalittica non hanno futuro. È uno schema già sperimentato - in questo facilmente comprensibile - ma non fecondo. Ma accettare la decisione democratica non significa rinunciare al proprio giudizio, sottrarsi al confronto pubblico anche nelle piazze, livellare la «differenza cristiana» al sentire comune delle popolazioni occidentali. Difendere la famiglia e non una supposta «civiltà cristiana», richiede di evidenziare con forza la sua dimensione simbolica: l’alleanza fra uomo e donna come segno di quella fra Dio e il suo popolo, come architettura del mondo e della trasmissione della vita, come limite invalicabile ad un narcisismo che uccide sia la relazione che l’identità. Si aprono così molte possibili alleanze con tutti quelli interessati all’«umano comune».
La straordinaria resilienza o capacità di resistenza della famiglia emerge dalla pratica della vita, ma anche da un ampio studio sulla famiglia nella prima metà del ‘900 alle prese con rivoluzioni e dittature di Paul Ginsborg (Famiglia Novecento, Einaudi, Torino 2013). Nonostante i ripetuti tentativi delle rivoluzioni russa, ottomana e spagnola e dei regimi fascisti e nazisti di modificare e plasmare la figura della famiglia, questa, in qualche maniera, si è sempre «salvata». Pur condizionabile e controllabile non è mai divenuta semplicemente organica all’ideologia imperante. «Questo a indicare che le famiglie non sono semplicemente istituzioni passive, destinatarie delle azioni del potere politico, bensì a loro volta protagoniste del processo storico» (p.XXIII). «Più volte, accanto alle infinite storie di famiglie orribilmente eliminate troviamo storie di sopravvivenza, dovute non solo al gioco del destino e al caso, ma alle particolari caratteristiche e risorse delle famiglie – flessibilità, solidarietà, reti, segreti gelosamente custoditi e così via» (p. 612).
Le piazze uniscono e dividono
Su questo sfondo si può collocare quanto sta succedendo nel paese e le ragioni delle diverse e contrapposte manifestazioni. Le piazze uniscono e dividono. Uniscono i simili, si contrappongono ai diversi. Per questo sono un classico strumento della politica e dei partiti che a questo tipo di rappresentanza sono chiamati. Risultano più difficili per la dimensione ecclesiale. Nel caso specifico, tuttavia, sia la «sveglia Italia» delle famiglie arcobaleno a difesa della legge (in cento piazze il 23 gennaio 2016) sia il Family day che ha raccolto al Circo Massimo di Roma oltre un milione di persone contrarie alla legge (30 gennaio) non sono facilmente identificabili per una determinata sponda politica. All’ipotesi di vedere nell’adunata del Circo Massimo il nuovo centro-destra (A. Cazzullo), ha risposto l’intellettuale marxista G. Vacca: «Su come regolare le questioni della vita, non si può applicare la coppia progresso-reazione. Quella folla esprime un modo di vedere la famiglia che appartiene a una vasta parte della società italiana». Il Family day, da un lato, non è guidato dai vescovi e, dall’altro, rappresenta molte e diverse anime sia ecclesiali che civili. Intestarlo alle voci più radicali è segno di cecità ideologica. Basterebbe ricostruire la diversa caratura e sensibilità fra le tre occasioni in cui si è realizzato: nel 2007, nel 2015 e nel 2016. Alla portata contrappositiva del primo si oppone la sensibilità più avveduta dell’ultimo. Le ricerche sociologiche che in quattro successive ondate nelle ultime settimane hanno tastato il polso dell’opinione pubblica indicano un’ampia disponibilità alla legiferazione sulle unioni civili e una maggioranza resistente alla adozione per le famiglie omosessuali. Come ha notato F. Garelli: «Non è detto che ciò che arde in alcuni ambienti più acculturati ed emancipati rispecchi le tendenze diffuse nell’insieme della popolazione».
All’interno del mondo ecclesiale vi è un’amplissima consonanza nell’evidenziare che il problema delle unioni civili andrebbe collocato a fianco a un coerente piano nazionale di politiche per la famiglia. In secondo luogo non vi è resistenza significativa al riconoscimento legislativo sulle unioni civili (in questo lasciandosi alle spalle le sicurezze effimere di dieci anni fa). In terzo luogo si imputa al progetto di legge una duplice grave carenza: la sovrapposizione fra matrimonio e unione e il riconoscimento dell’adozione (stepchild adoption) che apre alla censurabile pratica dell’utero in affitto. Da Fragnelli a Bagnasco, da Bassetti a Menichelli, da Crepaldi a Galatino, da Bregantini a Castellucci e Forte, passando per gli episcopati del Triveneto, del Piemonte e dell’Umbria vi è una sostanziale coerenza. Senza tuttavia ignorare le sensibilità più battagliere, tradizionali e no, da altre più prudenti. Su questa linea si apre anche la posizione del Papa non riducibile a schieramenti ideologici o politici. L’attesa esortazione post-sinodale sulla famiglia lo confermerà.
I fondamentali della vita
Il confronto culturale ha permesso di entrare sui fondamentali della vita civile e personale. Segnalo solo alcuni passaggi relativi ai «nuovi diritti» che appaiono nelle diverse stagioni della vita sociale e un paio di esempi nella discussione sulla confessionalità o meno dell’intera questione. Per M. Cacciari «se il senso comune e l’orientamento dominante hanno superato certi steccati, dobbiamo adeguarci alla storia. Inutile star lì a chiedersi il perché e il per come. Le leggi vanno di pari passo». «Mi sembra (tuttavia) incredibile con quanta insostenibile leggerezza si affrontano problemi che riguardano sistemi di civiltà. Qui non si tratta di leggi e leggine: è il concetto di famiglia tradizionale che è stato ormai oltrepassato». Sulla stepchild adoption (adozione del figliastro) P. Castagnetti fa notare che le riserve non sono affatto confessionali. Esse riguardano un nucleo di pensiero «che andava ben oltre i confini della sensibilità cattolica. Mi riferisco alla soggettività del diritto all’adozione e alla possibilità di “affittare” una donna terza per produrre un bambino adottabile». «Trasferire il diritto all’adozione dal soggetto bambino al soggetto coppia significa introdurre nell’ordinamento un principio individualista e di prevalenza del desiderio dei candidati alla genitorialità rispetto a quello del bambino in attesa di genitori». Ugo De Siervo aggiunge: «Diciamocelo chiaramente: con la stepchild adoption si concede il diritto a un padre naturale di estendere la genitorialità a chi desidera lui. Non vedo proprio la tutela di un diritto del bambino. Ci potrà essere qualche caso limite. Ma non si legifera mai per i casi limiti. E qui di ordinario vedo piuttosto l’aspirazione di qualcuno a utilizzare la maternità surrogata nascondendosi dietro il presunto interesse del bambino».
Misericordia e differenza cristiana
Da parte di alcuni pensatori laici si è cercato di adattare alla Chiesa il consueto vestito tradizionalista e anti-libertario. È il caso di C. Saraceno: «Il sinodo della famiglia ha ribadito la tradizionale posizione della Chiesa in argomento, sia pure con il linguaggio del rispetto e della compassione. Appunto, misericordia e compassione non sono in contraddizione con la ribadita pretesa di essere depositari del potere di definire il lecito e l’illecito, l’umano e il disumano, non solo all’interno della comunità dei credenti, ma anche erga omnes e nei confronti degli stati che legiferano in argomento». E A. Prosperi aggiunge: «Qui riconosciamo il volto attuale di un tabù antico: è il controllo del corpo delle donne che occupa da sempre un posto di primo piano nella gerarchia maschile della Chiesa». M. Magatti rilancia invece le due questioni fondamentali che l’intera discussione solleva: «La prima: si può ragionevolmente liquidare, come sta tentando di fare l’Occidente, la distintività della famiglia eterosessuale? Il rispetto della differenza è altra cosa dal regime dell’equivalenza. Ciò che contraddistingue la famiglia è l’essere costituita da un doppio legame – tra i generi e tra le generazioni – che riconosce e struttura due differenze originali». «La seconda: la società contemporanea sta rapidamente attraversando soglie antropologicamente importanti, spinta dalla combinazione tra nuovi orientamenti culturali e innovazioni tecniche. Il diritto interviene sostanzialmente assecondando tale processo. Ma siamo sicuri poi di riuscire a governare il processo che abbiamo avviato?». Richiamo infine l’indicazione della Società italiana di pediatria che ricorda a tutti come i processi di maturazione dei bambini «possono rivelarsi incerti e indeboliti da una convivenza all’intero di una famiglia conflittuale, ma anche da una famiglia il cui nucleo genitoriale non ha il padre e la madre come modelli di riferimento». Spesso si ignora che sono i progressi strepitosi della tecnica a indurre nuove prassi e nuovi pensieri che, però, «debbono» essere coerenti con una cultura nichilista (cioè non resistente) per disporre liberamente di qualsiasi significato in modo da non avere ostacoli di sorta al suo pieno dispiegamento. Una spirale nichilista che non ha l’aspetto aggressivo di un potere minaccioso, ma quello sorridente di chi smonta e sminuisce il patrimonio simbolico senza mai farsi carico di alimentarlo. Di tutto questo dovranno occuparsi la vita consacrata e la pastorale chiamate a reinventare la bellezza delle famiglie cristiane.
Lorenzo Prezzi