Giovanni XXIII e la misericordia
2016/2, p. 24
Papa Giovanni esercitò costantemente la misericordia nella
sua vita, nelle modalità più diverse e nelle circostanze più
varie, facendola apparire di volta in volta come
espressione di bontà, pazienza, cortesia, perdono,
accoglienza, paternità.
Un antesignano di papa Francesco
GIOVANNI XXIII
E LA MISERICORDIA
Papa Giovanni esercitò costantemente la misericordia nella sua vita, nelle modalità più diverse e nelle circostanze più varie, facendola apparire di volta in volta come espressione di bontà, pazienza, cortesia, perdono, accoglienza, paternità.
«Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato».
Nella breve riflessione che segue vorrei presentare l’insegnamento e soprattutto l’esercizio della misericordia in s. Giovanni XXIII, un papa particolarmente amato per la sua bontà e che si propose espressamente di essere maestro di misericordia: «Non debbo essere maestro di politica, di strategia, di scienza umana: ce n’è d’avanzo di maestri, in queste cose. Sono maestro di misericordia e di verità. E riuscirò per tal modo anche benemerito dell’ordine sociale». Convinto che «la più alta sapienza è quella della misericordia», papa Giovanni la esercitò costantemente nella sua vita, nelle modalità più diverse e nelle circostanze più varie, facendola apparire di volta in volta come espressione di bontà, pazienza, cortesia, perdono, accoglienza, paternità…
Tra tante manifestazioni della bontà misericordiosa di questo amatissimo pastore ne scelgo soltanto alcune.
Accoglienza misericordiosa
di ogni persona
Misericordia significa disponibilità e apertura verso ogni persona, superando ogni pregiudizio e discriminazione. La misericordia di Dio è per tutti, è accoglienza senza limite alcuno; come annota Dante, “la bontà infinita ha sì gran braccia, - che prende ciò che si rivolge a lei”.
Ecco un tratto distintivo di Roncalli: un cuore aperto verso tutti, una bontà accogliente, che non si lasciava condizionare da pregiudizi o simpatie personali. Due episodi possono essere richiamati come eloquente testimonianza di questo suo atteggiamento. Il 7 marzo 1963 volle ricevere in udienza A. Adjubei e sua moglie, Rada Krusheva, figlia di Krushev. L’incontro era stato osteggiato anche dagli ambienti del Vaticano e aveva sollevato forti critiche. Due mesi più tardi papa Roncalli incontrò il card. F. Marty, il quale riportò quanto il papa gli disse in quella occasione: «Vedete – mi disse – io so che molti sono rimasti sorpresi di questa visita: alcuni rimasero perfino dispiaciuti. Perché? Io devo ricevere tutti quelli che bussano alla mia porta…». Il 6 gennaio dello stesso anno, aveva voluto ricevere la Giunta Capitolina, dichiarando espressamente di procedere «secondo il mio desiderio, che non ammette intrigo di chicchessia nelle scelte delle persone che il papa può e crede ricevere».
E anche in un’altra occasione Roncalli compì un gesto che, tenendo conto del clima culturale e politico del tempo, fu giudicato inopportuno anche in alcuni ambienti ecclesiastici, mentre era semplicemente ispirato dalla sua bontà accogliente e rispettosa verso chiunque. Fu in occasione del Congresso del Partito Socialista italiano che si svolse a Venezia il 6 febbraio 1957. Roncalli – che amava ripetere: «Io sono il Patriarca di tutti» – volle inviare ai congressisti un messaggio di benvenuto molto rispettoso e cordiale; pur ribadendo le diverse “posizioni spirituali”, volle dar prova di “avere l’ospitalità in grande onore” e mostrarsi accogliente ed amabile “come fra cortesi alme si suole”. Il messaggio gli procurò diverse critiche, che però non gli impedirono di annotare nella sua Agenda: «In verità degli apprezzamenti altrui mi curo poco: perché mi sento sicuro e confidente in Dio quanto alla bontà del gesto in se stesso».
Si possono, infine, citare come ulteriore esempio del suo cuore accogliente e aperto a chiunque le parole pronunciate durante l’omelia di Natale del 1934 con la quale si congedava dal popolo bulgaro dopo dieci anni di servizio pastorale in quel Paese. «Una tradizione, anche oggi rispettata fra i buoni cattolici d’Irlanda, dispone che la vigilia di Natale ogni casa abbia una finestra con una lampada accesa oltre i vetri, per indicare a Giuseppe e a Maria, che passassero di là nella notte santa, in cerca di un rifugio, che là dentro c’è una famiglia che li attende intorno alla fiamma del focolare, intorno alla mensa bandita di ogni ben di Dio.
Miei cari fratelli, chi sa le vie dell’avvenire? In qualunque luogo del mondo mi accada di vivere, se alcuno di Bulgaria avrà a passare presso casa mia, durante la notte, fra le difficoltà della vita troverà sempre la lampada accesa. Batta, batta non gli sarà chiesto se è cattolico o ortodosso: fratello di Bulgaria, batta, entri, due braccia fraterne, un cuore caldo di amico lo accoglieranno a festa. Poiché questa è la carità del Signore le cui effusioni resero gioconda la mia vita di dieci anni in Bulgaria: questo è il fiore più bello e gentile della pace di Gesù».
Nei confronti
dei fratelli separati
Dopo il concilio voluto da papa Giovanni sono stati compiuti passi straordinari per quanto riguarda il dialogo ecumenico e siamo ormai felicemente abituati ad assistere a momenti di profonda comunione tra il Papa e i rappresentanti delle varie confessioni religiose. Nei lunghi anni durante i quali Roncalli svolse il suo servizio di rappresentante pontificio in Bulgaria, Turchia e Grecia (1925-1944), il dialogo ecumenico che caratterizza oggi i rapporti tra la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose era invece quasi del tutto assente (fatta eccezione per qualche caso raro). Questo fatto non può non lasciarci profondamente colpiti dall’atteggiamento conciliante e misericordioso di Roncalli in tutti quegli anni (come anche successivamente), che si coglie sia in alcuni suoi gesti concreti come anche nei suoi scritti. Bastino alcuni episodi.
Durante il suo soggiorno in Bulgaria ebbe ad annotare un giorno nella sua Agenda: «Il mio ministero in questo paese [la Bulgaria] è come il mestiere del cacciatore in ottobre. Non far rumore intorno a sé, spiare attentamente ogni nonnulla, cogliere il destro e colpire. Spesso la caccia è sfortunata: ma qualche cosa resta sempre sotto le ali dei pennuti che passarono sotto il tiro. Volano e volano ancora, anche quando il cacciatore è scomparso, ma poi bisogna cedere e cadere. Voglia il Signore farci diventare davvero come S. Gaetano: Venatores animarum (cacciatori di anime)». Coerentemente con questo suo atteggiamento, il 26 agosto 1925 Roncalli si recò in visita di cortesia al Santo Sinodo ortodosso, quale «atto di omaggio da parte mia alla maggior Autorità Religiosa della Bulgaria in nome di quei principi che ci uniscono nella ricerca del bene delle anime». Fu un gesto del tutto insolito, ma che fece grande piacere al Santo Sinodo, che si vide tenere in considerazione dal rappresentante pontificio.
Nel 1927 Roncalli, a proposito di un messaggio che volle inviare al concilio plenario dei vescovi bulgari (che non si teneva più dal 1921), così ne parlò in una lettera: «Il Metropolita Stefan che fu molto contento di fare da messaggero mi disse che rimasero molto sorpresi e interdetti. Risposero con cortesia, ringraziando: ma non seppero fare di più. Ripensando ora alla cosa mi trovo sempre più contento di averla fatta. L’uccello è stato ferito leggermente. Vola e vola ancora, ma la ferita c’è sotto le ali. Con altri colpi ben aggiustati converrà ben che cada in funiculis charitatis (nelle cordicelle della carità). So che si erano preparati provvedimenti contro i cattolici. La nostra serenità e la nostra dirittura finisce col metterli in imbarazzo. Il Metropolita Stefan mi lasciava intendere che sono molto divisi tra di loro: ed anche a lui ed alle sue idee di contatti con elementi religiosi eterogenei devono aver fatto passare dei brutti quarti d’ora».
Nominato delegato apostolico in Turchia (1935-1944), Roncalli ebbe a trattare con il governo turco e con i rappresentanti ortodossi della Grecia. I rapporti furono a volte anche molto difficili, a causa della ostilità dell’ambiente ortodosso e per certe leggi del governo turco. Quando, per una singolare coincidenza, le condizioni di salute sia di Ataturk, capo del governo turco, che del Metropolita Chrisostomos, capo ufficiale di tutta la Chiesa Ortodossa di Grecia, facevano ormai temere il peggio, Roncalli scrive sulla sua Agenda una annotazione da cui si può cogliere tutto il suo rispetto, la sua delicata sensibilità e apertura verso persone che erano state motivo di particolare sofferenza per la Chiesa cattolica – e si tenga presente che questa nota porta la data del 19 ottobre 1938! «Le notizie del giorno ci interessano di Ataturk e di mgr. Chrisostomos in disperate condizioni di vita. Non condivido la freddezza di sentimento intorno a queste due vite che si spengono. Prego il Signore per l’uno e per l’altro. Al Signore il giudicarli. Penso che il giudizio debba essere più mite e benigno del nostro. Chi scruta la profondità del cuore umano? Il capo dei Turchi, riformatore laico di quel popolo, e il capo religioso degli Ortodossi di Grecia possono bene offrire al Giudice Supremo alcune sinuosità spirituali sufficienti per farvi penetrare l’onda della grazia salvatrice. Così sia».
E qualche giorno dopo (22 ottobre 1938) annota ancora: «Alle 9 veggo l’Accademia e la Biblioteca recare la bandiera Greca a mezz’asta. Segno che il metropolita Chrisostomos, capo ufficiale di tutta la Chiesa Ortodossa di Grecia, è morto. Avevo appena poco prima pregato per lui. Fu nemico implacabile della cosiddetta propaganda cattolica. L’ultima legge lo ebbe tra gli ispiratori e i lodatori. Coincidenza singolare! Morire quando quella legge sta per essere corretta e migliorata! A sera mi sono recato coi mgr. Filippucci e Vuccino a salutarne la salma esposta alla cattedrale Ortodossa, ed a porre la firma in arcivescovado. In segno di perdono: come atto di rispetto all’autorità religiosa di cui era rivestito, come espressione di cortesia innanzi al lutto della Chiesa Greca, e dei Greci, e anche per rinnovare collo spirito di Gesù il «Pater dimitte illi (sic!): quia nesciunt quid faciunt” (Lc 23,34). Ah! Questo problema della buona fede negli acattolici, quale mistero!». E il giorno dopo ancora scrive: «Domenica raccolta fino a mezzodì pregando e lavorando in casa. Il pensiero di ieri sera circa la misura della buona fede degli ortodossi mi ha accompagnato anche oggi. Noi dobbiamo nel trattare le anime sforzarci di accostarsi, anzi di penetrarci dello spirito col quale Gesù le tratta. E sicuramente il giudizio di Gesù a loro riguardo è più caritatevole del nostro».
Quotidiano esercizio
di pazienza
Roncalli ebbe sempre presente, tra i suoi propositi, quello di esercitare la pazienza con tutti. Per carattere era incline alla bontà e alla cordialità nel rapportarsi con le persone; nello stesso tempo, però, è costante e ricorrente nei suoi scritti l’impegno ad esercitare la pazienza anche nelle situazioni più difficili e spinose – impegno che non raramente gli costava non poco. Mi limito a richiamare alcuni tra i tanti pensieri riguardanti il tema della pazienza e dell’accostamento mite e misericordioso delle persone.
«Bisogna aver pazienza: e passar oltre. Poi il tempo tutto addolcisce».
«Mitezza e pazienza sono due spade infallibili. Amo lasciare l’arco non troppo teso: ma la bontà non deve prendere tutto il posto della giustizia».
«Aver pazienza e saper aspettare con mitezza, questa è la forma migliore per cambiare faccia alle situazioni ed ai giudizi degli uomini. Il tempo poi tutto vela e tutto svela».
«L’esercizio della pazienza ad ogni costo è di tutti i giorni e talora più affliggente che mai. Il Signore benedica chi me la fa esercitare».
«Amabilità, calma e pazienza imperturbabile. Debbo sempre ricordare il ‘sermo mollis frangit iram’ (Pr 15,1). Quanti disappunti creati dalla ruvidezza, dallo scatto, dalla insofferenza! Talora il timore di essere meno apprezzati come gente di poco valore diventa incitamento a tenersi su, a darsi tono, ad imporsi un poco. Ciò è contrario al mio carattere. L’essere semplice, senza pretesa alcuna, a me costa nulla. È una grande grazia che il Signore mi fa. Voglio continuare, ed esserne degno… Meglio una carezza che un pizzicotto, con chicchessia».
«Pace diffusiva, nei diversi contatti individuali, anche con gli inquieti: compatire la fiacchezza tollerando, tacendo, dissimulando, scusando. Fraterna dilezione, non larva di amore; longanimità».
«Saper trattare bene la gente: questo è tutto, e costa così poco».
E tra i tanti episodi della sua vita nei quali diede prova di bontà e misericordia nei confronti delle persone mi limito a citarne uno soltanto. Accadde con un anziano prete, relegato e custodito in una casa di riposo perché malato di etilismo. Era sospeso a divinis, non pregava più, era amaro con tutti e non voleva vedere nessuno, men che meno il patriarca. Non era un uomo cattivo, ma era malato nel profondo dell’animo. Roncalli decise comunque di fargli visita, nonostante in molti lo consigliassero di non esporsi: le reazioni di quell’uomo erano imprevedibili. Il buon pastore invece andò a trovare la pecorella smarrita, che alla sua presenza, ritrovò la strada del cuore. «Don Giovanni» gli disse il patriarca, «siamo vecchi tutti e due, dimentichiamoci gli altri, voltiamoci dalla parte del Signore…». Lo convinse a riprendere la messa e il breviario. Alla fine lo abbracciò, lo invitò a pranzo, e nel congedarsi, gli fece scivolare in mano una cospicua offerta. Il vecchio corse a raccontare agli altri ricoverati il suo colloquio con il vescovo, la gioia provata nel sentirsi così incoraggiato e concluse: «Questo sì xe un galantomo. Ogni tanto se ne ghe incontra uno. Ve pago un’ombra a tutti!» (questo sì che è un galantuomo. Ogni tanto se ne incontra uno. Offro a tutti un bicchiere di vino!). Il resto della serata lo si immagina facilmente. Il giorno dopo, negli ambienti ecclesiastici i commenti si sprecavano: «Bella conversione. Ha festeggiato la conversione con una solenne bevuta agli amiconi. Ci vuol altro per tirarlo fuori, bisognerebbe cambiargli la testa!». Ma Roncalli commentò: «Lo sapevo che sarebbe andata a finire così. Ma è già qualcosa cominciare col togliergli il veleno, se non dal sangue, almeno dall’animo».
Interessante anche un’annotazione nella sua Agenda, mentre era nunzio in Francia, dopo aver incontrato un signore nei confronti del quale c’erano varie riserve: «Lo trovai ben migliore che non lo temessi: a giudicar bene si indovina sempre almeno in qualche cosa».
Anche nel parlare voleva che trasparisse sempre un atteggiamento di indulgenza e di mitezza, interpretando tutto “con ottimismo e accoglienza”. «Dobbiamo esaminare bene circa l’uso della nostra lingua: non parlare a vanvera, non parlare troppo: far parlare il silenzio (!), guardarci dalle parole precipitationis (sic!) e biricchine, acide e amare. Nel parlare mostrarci sempre miti, umili, sereni… Attenzione ai segreti di officio: alle parole oziose, alla detrazione, alla maldicenza sottile, alle mormorazioni contro i Superiori, ai peccati dei figli di Noé (Cam). Guai ai sussurroni e ai maldicenti. Regola aurea: occidere errores: diligere errantes».
La Chiesa
maestra di misericordia
Alla luce di quanto molto sinteticamente richiamato, non meraviglia di trovare, nel Discorso di apertura del Concilio Vaticano II (11 ottobre 1962), scritto tutto di suo pugno, un richiamo chiaro ed esplicito al tema della misericordia. Ecco le sue parole: «Compito principale del Concilio: difendere e diffondere la dottrina… Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando... Così stando le cose, la Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati».
Aldo Basso