Chiaro Mario
Un cauto ottimismo
2016/2, p. 17
La realtà fotografata dal Rapporto CENSIS presenta un’Italia ancora in chiaroscuro. Mentre permangono ancora segni di sofferenza, si nota però anche un risveglio di fiducia e un nuovo dinamismo, confermato da vari indicatori. Positivo è l’inserimento degli stranieri. L’elemento oggi più in crisi è la dialettica socio-politica.
L’Italia e il Rapporto CENSIS
UN CAUTO
OTTIMISMO
La realtà fotografata dal Rapporto CENSIS presenta un’Italia ancora in chiaroscuro. Mentre permangono ancora segni di sofferenza, si nota però anche un risveglio di fiducia e un nuovo dinamismo, confermato da vari indicatori. Positivo è l’inserimento degli stranieri. L'elemento oggi più in crisi è la dialettica socio-politica.
Giunto alla 49ª edizione, il Rapporto del CENSIS (Centro studi investimenti sociali) continua a interpretare i più significativi fenomeni socio-economici del paese nella fase di faticosa ripresa che stiamo attraversando. Si descrive un’Italia definita dello “zero virgola”, in cui cioè le variazioni degli indicatori economici sono ancora minime, mentre continua a gonfiarsi la bolla del risparmio per cautelarsi nel futuro e non si riaccende la propensione al rischio delle persone. Nelle considerazioni generali si parla di «letargo esistenziale collettivo», di «pericolosa povertà di progettazione per il futuro, di disegni programmatici di medio periodo», nonché di «crescita delle diseguaglianze, con una caduta della coesione sociale e delle strutture intermedie di rappresentanza che l’hanno nel tempo garantita». Si registra dunque una pericolosa povertà di interpretazione globale, di progettazione per il futuro, di disegni programmatici di medio periodo. Prevale una dinamica d'opinione messa in moto dalla cronaca del giorno. La composizione sociale rimane sempre sconnessa: vincono l’interesse particolare, il soggettivismo, la difesa di un recinto di sicurezza e maturano poco i valori collettivi e l’unità sul bene comune.
Rilancio della politica
e ricerca di sviluppo
Quest’anno comunque, secondo il CENSIS, va sottolineato un impegno a ridare slancio alla dinamica economica e sociale del paese attraverso il rilancio del primato della politica, con un insieme di riforme con interventi tesi a incentivare propensione imprenditoriale e coinvolgimento per innescare nel popolo una tensione al cambiamento e una riscoperta di ottimismo. L'elemento oggi più in crisi è proprio la dialettica socio-politica, che non riesce a pensare un progetto generale di sviluppo del paese a partire dai processi portanti della realtà ed esprime una carenza di leadership. Così, la cultura collettiva finisce per restare prigioniera della cronaca (scandali, corruzioni ecc.). Nonostante tutto, la società fa il suo cammino innanzitutto valorizzando la nostra storia di lungo periodo: un modello di sviluppo creato a partire dagli anni '70, la forza sommersa dei comportamenti economici e sociali (dal risparmio al lavoro individuale), la fedeltà continuata nel primato della diversità (delle opinioni e dei comportamenti). Pertanto, anche nell’indifferenza del dibattito socio-politico, emergono segnali di capacità inventiva e accompagnamento dei processi oggi vincenti. Esempio ne sono i giovani che vanno a lavorare all’estero o tentano la strada delle nuove piccole imprese (start up), le famiglie che accrescono il proprio patrimonio e lo mettono a reddito (vedi il grande incremento, ad esempio, dei bed & breakfast), le grandi imprese che investono in innovazione continuata e green economy, i territori che diventano canali di relazionalità (cf. l’Expo di Milano, le città e i borghi turistici), la silenziosa integrazione degli stranieri nella nostra quotidianità. A ciò si accompagna anche un’evoluzione più strutturata, con il nuovo made in Italy che si va formando nell'intreccio tra successo gastronomico e filiera agroalimentare, nell'integrazione crescente tra agricoltura e turismo. La società si esprime nella dinamica spontanea descritta sopra, che però è considerata residuale: proprio da questo “resto”, che finora non è entrato nella cronaca e nel dibattito socio-politico, può cominciare a partire la riappropriazione della nostra identità collettiva.
Ritrovare
il gusto del rischio
Ammonta a più di 4.000 miliardi di euro il valore del patrimonio finanziario degli italiani e in quattro anni (giugno 2011-giugno 2015) ha registrato un incremento di oltre 400 miliardi. Negli anni della crisi la composizione del portafoglio delle attività finanziarie delle famiglie ha sancito il passaggio a una scelta fortemente difensiva: il contante e i depositi bancari sono saliti da una quota pari al 23,6% del totale nel 2007 al 30,9% nel 2014, mentre sono crollate le azioni e le obbligazioni. Negli ultimi dodici mesi (giugno 2014-giugno 2015) si conferma la cautela degli italiani, con un incremento di 45 miliardi di euro della liquidità e di 73 miliardi in assicurazioni e fondi pensione, e con la rinnovata contrazione di azioni e partecipazioni. Si nota però un’impennata delle quote di fondi comuni, segno di un allentamento della morsa dell’ansia collettiva: 108 miliardi in più in un anno. Il risparmio dunque è ancora la scialuppa di salvataggio nel quotidiano, visto che nell’anno trascorso 3,1 milioni di famiglie hanno dovuto mettere mano ai risparmi per fronteggiare crisi di reddito rispetto alle spese mensili. In questa fase, l’esigenza della riallocazione del risparmio in modo più funzionale all'economia reale si lega strettamente alla richiesta di liberare quote del proprio reddito destinate al fisco: oltre il 55% degli italiani vuole il taglio delle tasse, anche a costo di una riduzione dei servizi pubblici!
La situazione del lavoro
e degli immigrati
Dall’entrata in vigore della riforma del diritto del lavoro denominata Jobs Act, il mercato del lavoro ha visto crescere l'occupazione di circa 200mila unità. Siamo certo ancora lontani dal recuperare la situazione pre-crisi, dato che nel terzo trimestre dell’anno, rispetto allo stesso periodo del 2008, mancano all'appello circa 550mila posti di lavoro. La disoccupazione si riduce all’11,9% (cifra peraltro molto lontana dal 6,7% del 2008). Per quanto riguarda i giovani (15-24 anni) si registra invece un crollo dell’occupazione, proseguito anche nel 2015: il loro tasso di disoccupazione è praticamente raddoppiato in sei anni, con un picco del 42,7% nel 2014. L’occupazione femminile, invece, ha guadagnato 64mila posti di lavoro in sei anni e si registra ancora un incremento di 35mila occupate tra il primo e il terzo trimestre del 2015. E se nel 2008 i lavoratori più anziani (55-64 anni) erano poco meno di 2,5 milioni, nel 2014 sono diventati 3,5 milioni e continuano a crescere. Si consolida la presenza nel mercato del lavoro della componente straniera, che ha superato i 2,3 milioni di occupati, con un incremento di circa 600mila unità tra il 2008 e il 2014. Permangono comunque altre criticità che rischiano di cronicizzarsi: i giovani che non studiano e non lavorano (i cosiddetti Neet) sono 2,2 milioni; la sottoccupazione riguarda oltre 780mila addetti, il part time involontario registra 2,7 milioni di occupati e la Cassa integrazione ha superato nel 2014 la soglia del miliardo di ore concesse (corrispondenti a circa 250mila occupati equivalenti). E poi ci sono coloro che vivono, loro malgrado, una certa “sindrome di dipendenza da lavoro”: negli ultimi dodici mesi 11,3 milioni di italiani hanno lavorato regolarmente o di tanto in tanto durante il weekend, 10,3 milioni oltre l'orario formale senza il pagamento degli straordinari, 7,3 milioni a distanza (da casa o in viaggio), 4,1 milioni hanno lavorato di notte, 4 milioni hanno fatto piccoli lavoretti saltuari.
Per quanto riguarda gli stranieri in Italia si evidenzia che inseguono una traiettoria di crescita verso la condizione di ceto medio, differenziandosi così dalle situazioni di concentrazione etnica e disagio sociale che caratterizzano le grandi città francesi o inglesi (dove l’islam radicale diventa il veicolo del rancore delle seconde e terze generazioni per una promessa tradita di ascesa sociale). Tra il 2008 e il 2014 in Italia i titolari d’impresa stranieri sono aumentati di oltre il 30% (soprattutto nel commercio e nelle costruzioni), mentre le aziende guidate da italiani diminuivano di oltre il 10%.
A fine settembre 2015 i migranti sbarcati in Italia sono stati circa 132mila, il 10% in meno rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Nei primi nove mesi del 2015 le quasi 43mila domande di asilo hanno portato nel 23,6% dei casi all'attribuzione della protezione umanitaria, nel 15,8% di quella sussidiaria e nel 5,5% al riconoscimento dello status di rifugiato. L'altra metà andrà incontro a un diniego e all’obbligo, non sempre rispettato, di lasciare il paese. Lo sforzo delle istituzioni per ampliare la rete dell’accoglienza è testimoniato dal numero di posti più che quadruplicati in due anni, dai 22mila del 2013, prevalentemente concentrati nelle regioni meridionali, ai 98mila del settembre 2015, distribuiti in tutte le regioni. In questo contesto il 66% dei giovani italiani di 18-34 anni si dichiara favorevole ad accogliere nel nostro paese le persone che fuggono da guerre e miseria, mentre tra gli anziani la percentuale è molto più bassa (37%).
Ripresa dei consumi
e restringimento dello stato sociale
Un ultimo dato importante che vale la pena ricordare riguarda l’andamento più positivo dei consumi nel contesto di però di un significativo ridimensionamento del welfare.
Il ciclo declinante del consumo di beni durevoli parte dal 2007 e si protrae fino al 2013, poi si registra una ripartenza: nel biennio 2014-15 sono proprio i beni durevoli a trainare la ripresa dei consumi familiari. Le analisi previsionali presentano uno scenario incoraggiante: la quota di chi dichiara di avere fiducia nel futuro (il 39,8%) supera quella di chi non vede segnali positivi (il 22,4%), mentre la parte restante (il 37,8%) è ancora incerta. Questa ritrovata fiducia si riflette sulle intenzioni di acquisto: il 5,7% delle famiglie ha intenzione di comprare un’auto nuova; il 5,7% nuovi mobili per la casa; l’11,2% nuovi elettrodomestici (quasi 3 milioni di famiglie); il 9,2% ha intenzione di ristrutturare l'immobile. Il Censis segnala anche che 15 milioni di italiani fanno acquisti su Internet e 2,7 milioni hanno comprato prodotti alimentari in rete nell’ultimo anno.
Le famiglie però nel futuro dovranno fare i conti con l’aumento complessivo dei costi della salute. La spesa sanitaria pubblica, cresciuta dal 2007 al 2010 (da circa 100 miliardi di euro a circa 113 miliardi), negli ultimi anni ha registrato una inversione di tendenza con una riduzione tra il 2010 e il 2014 (attestandosi nell'ultimo anno a circa 110 miliardi). La spesa sanitaria privata delle famiglie, invece, dal 2007 al 2014 è passata da 29,6 a 32,7 miliardi, raggiungendo il 22,8% della spesa sanitaria totale. La percentuale di famiglie a basso reddito in cui nell'ultimo anno almeno un membro ha dovuto rinunciare o rimandare prestazioni sanitarie è elevata: il 66,7%. E sono circa 8 milioni le persone che si sono indebitate o hanno chiesto un aiuto economico per pagare cure sanitarie. Anche l’andamento del Fondo nazionale per le politiche sociali testimonia il progressivo ridimensionamento dell'impegno pubblico, nonostante il parziale recupero degli ultimi tre anni; un andamento simile riguarda anche il Fondo per la non autosufficienza, che nel 2012 non è stato neanche finanziato, per poi salire a soli 400 milioni di euro nell’ultimo anno.
Mario Chiaro