Matté Marcello
Gëzuar Krishtlindjet (Buon Natale)
2016/12, p. 30
La sostanza della storia è vera. I dettagli no.
Gëzuar Krishtlindjet (Buon Natale)
La sostanza della storia è vera. I dettagli no.
È il dicembre 1992. Lui si chiama Endrit, lei si chiama Leda. Sono arrivati in Italia il mese scorso, con una bambina in braccio e una (si saprà ad aprile che è femmina) in grembo. Nela, la bambina, ha la carnagione pallidissima, a differenza del padre. Lui è atletico, è stato anche giocatore professionista. Nela, invece, si porta dalla nascita una grave malformazione cardiaca. «Qui in Albania non possiamo operare Nela. Neanche il miglior ospedale ha le apparecchiature per farlo. Non fidatevi di chi vi fa promesse diverse: sta solo cercando di prendervi tutto quello che avete, perché è chiaro che per Nela sareste disposti a tutto». Diceva loro così un compagno di scuola di Leda, che era riuscito a diventare medico.
Erano passati ormai 15 mesi e più dall’attracco della nave Vlora, con il suo peso di 20.000 anime negate in cerca di futuro. Arben, amico di Endrit, era saltato sul molo di Bari come su un purosangue, senza saper cavalcare, ma con la disperazione negli speroni e la speranza nelle briglie. Era arrivato a Trento “fuori sacco”. La raccolta delle mele e la vendemmia gli avevano aperto uno spiraglio.
Endrit chiama Arben e gli racconta di Nela. Per quei meravigliosi spiragli che si aprono ogni tanto nella sorte, Arben, che aveva trovato aiuto e simpatia in Caritas, riesce a richiamare l’attenzione dell’organizzazione sul caso, ancor più toccante nei dintorni del Natale.
Endrit, Leda e Nela possono venire in Italia con un permesso di soggiorno per motivi sanitari. Nela viene operata al cuore. Tutto bene. Tutti bene. I medici sono orgogliosi, i genitori fiduciosi. Nela viene dimessa... la motivazione del permesso di soggiorno cade... anche la fiducia dei genitori cade. «Come potremo fare i controlli, necessari a Nela? Non possiamo permetterci un viaggio ogni volta!». Tanto più che Leda è al quinto mese.
Qualcuno si prodiga con “le carte”, ma a ridosso del Natale – si sa – i motori della società sono tutti impegnati a far girare il commercio,e la burocrazia “si riposa” un poco.
Un amico del chirurgo che ha operato Nela si offre: «Venite a stare da me, in questi giorni di Natale. E speriamo che poi “le carte” possano arrivare con la Befana!».
Endrit e Leda non sanno cos’è la Befana. Nemmeno cosa sia il Natale, se è per questo. Lui aveva quel tanto di anni sufficiente a trovarsi stampata nella memoria l’immagine di un episodio al quale aveva assistito senza capire. Al suo paese, avevano “impiccato” il campanile della vecchia chiesa e consegnato l’altro cappio della fune agli artigli di una ruspa, che l’aveva tirato a terra per poi accanirsi contro le pareti, chiuse attorno a uno spazio diventato inutile perché proibito all’accesso.
Si stava bene nella casa italiana. Potevano condurre la giornata senza disturbare, perché godevano di un appartamentino parzialmente indipendente. Un lusso, al quale dovevano resistere dal farci l’abitudine. Dalla finestra lui poteva vedere, pronunciarsi sopra i tetti non molto lontano, una torre con una specie di cipolla in alto e – sopra – una croce; un’immagine che gli risvegliava ricordi di funi, di ruspe, di demolizione. Niente piacevole.
Dopo un Natale mai-stato-così, la famigliola si ritrova a San Giovanni – il 27 quell’anno è domenica – padrona di casa. «Noi andiamo su in valle a trovare i nostri genitori. Vi abbiamo lasciato il pranzo e la cena tra il frigorifero e il forno. Non aprite a nessuno! E, per favore, non uscite di casa. Non vorremmo trovarci delle storie, che non sarebbe bene neanche per voi!».
La giornata è fredda ma luminosa. Fuori dalla finestra il campanile è sempre lì. Qui non lo tirano giù. Oggi si staglia a sbalzo contro il cielo terso. Alle 10, poco dopo che i “signori” sono partiti, dal campanile arriva netto un suono che per la prima volta cattura l’attenzione di Endrit e Leda insieme. «Cosa vorrà dire questo suono?», domanda lei. «E perché non andiamo ... a vedere? C’è una giornata splendida! E poi, vedi per strada? ci sono tutte quelle decorazioni, luci che restano accese anche di giorno... Forse queste cose non potremo più vederle...».
Decidono l’azzardo. Camminano intimoriti per strada. Per orientarsi, fissano il campanile: è sempre lì. Alle 10:30 suona di nuovo, quasi fosse per loro, per indicare la strada. Arrivano alla piazza davanti alla chiesa. C’è un abete in mezzo alla piazza, decorato di luci. Qualche pupazzo di neve: quelli c’erano anche in Albania.
Si infilano nel portone della chiesa dietro qualcuno che va lesto, forse per il freddo (o forse per il ritardo, diremmo noi). Il coro sta ancora cantando una melodia tanto tradizionale per gli esecutori quanto inedita per i tre “clandestini”.
Sul fondo, contro l’abside, sopra l’altare, una pala gigantesca riproduce un uomo, vestito solo di un perizoma, appeso a una croce. Ai piedi, disperati, un giovane e una donna. Vicino all’entrata, sul fianco, c’è come un plastico, che riproduce la vita di un villaggio di campagna; al centro, un stalla più grande delle altre costruzioni. In quella stalla, un bambino, vestito solo di un perizoma, e al suo fianco, lieti, un uomo e una donna.
Endrit dice sottovoce a Leda: «Vedi quella croce sulla quale è appeso quell’uomo? Non è come quella in cima alla “torre”?». E Leda: «Ma questo “plastico”, non somiglia a quello che hanno in casa i “signori”? La signora mi ha detto che così è nato il Figlio di Dio». «Che sia lo stesso che poi è morto giovane su una croce? ...Il Figlio di Dio nato in una stalla e morto su una croce???».
«Chissà – dice Leda – magari, se suo padre è Dio, può capire chi nasce povero e rischia di morire giovane. Come la nostra Nela...».
«Senti come gli parlano forte questi! Dici che se noi gli diciamo qualcosa sottovoce ci ascolta? Capirà anche l’albanese?».
«Penso che se è Dio, capisce tutte le lingue... e se quello è suo figlio, capisce tutti».
Mentre Nela cerca di toccare le statue del presepe, Endrit e Leda mormorano alcune parole, condite in qualche lacrima. Nela manda bacini, cosa che non era solita fare.
Escono quando la gente in chiesa si mette a sedere ... e loro in piedi, in fondo alla chiesa, diventano improvvisamente troppo visibili. Tornano lentamente verso “casa”, senza parlare per non farsi “riconoscere”.
Sulla soglia di “casa”, il chirurgo che aveva operato Nela. Sono spaventati e imbarazzati, perché avevano trasgredito la consegna...
«Buongiorno! Mirdita! Sapevamo che eravate qua, ma non ci apriva nessuno... Dovete venire via subito con me. Un mio collega di Milano vuol vedere Nela domani stesso, finché c’è posto. Ha una casa di cura e vi ospiterà lì».
«Non dovevamo aprire a nessuno... Che diranno i “signori” adesso?».
«Meno male che siete usciti, allora! Parlo io col mio amico. Lo chiamo subito, guarda. Venite, andiamo».
Endrit oggi, vent’anni dopo, fa il cantiniere e Leda la domestica. Nela frequenta l’università e la sorellina è nata sana. Non è stato facile, non è facile. Ma è. Come il Natale.
Marcello Matté