Dall'Osto Antonio
La sua vita fu un canto a Dio
2016/12, p. 25
Una sua consorella, compagna di studi e sua amica in un’intervista ci parla di sr. Isabel Solá Matas, uccisa a Haiti, il 2 settembre scorso. Descrive le risonanze che questo tragico avvenimento ha prodotto nel suo animo e nella sua Congregazione di Gesù - Maria.
Intervista a una consorella di sr. Isabel
“LA SUA VITA
FU UN CANTO A DIO”
Una sua consorella, compagna di studi e sua amica in un’intervista ci parla di sr. Isabel Solá Matas, uccisa a Haiti, il 2 settembre scorso. Descrive le risonanze che questo tragico avvenimento ha prodotto nel suo animo e nella sua Congregazione di Gesù - Maria.
Cominciamo dalla fine, che è l’inizio. Che cosa sente nel cuore una religiosa, un’amica e sorella quando le giunge la notizia che Isabel è stata assassinata?
La prima cosa è stato lo sconforto, l’abbandono e il vuoto. Un dolore straziante; e domande sul perché di una morte così precoce, così violenta e assurda...
In quei momenti mi sono sentita profondamente famiglia e sorella con tutta la Congregazione; in particolare, desideravo stare vicina a quelle compagne con cui abbiamo condiviso generazione e amicizia. Con loro, poco alla volta, il dolore si è tinto di ricordi della sua vita, dei momenti vissuti insieme, di silenzi, pianti e soavi sorrisi; e la pace ha accompagnato la tristezza.
È ancora necessario il silenzio per accogliere la morte e l’assenza. È ancora tempo di “sabato santo”. Tempo di tacere, di sopportare il dolore e di accarezzare ciò che abbiamo condiviso insieme. E, in questo vuoto, molto soavemente, la sua morte illumina la sua vita e la sua vita illumina la sua morte.
Il Vangelo narra in modo molto bello ciò che credo che molte di noi stanno vivendo: come con i due discepoli di Emmaus camminiamo tra il dolore e la pace, l’assenza e il ricordo; sapendo che a un certo momento la morte ingiusta e assurda illuminerà la nostra vita e la vita di tanta gente che Isa desiderò accompagnare.
Noi religiosi riteniamo che l’essenza della nostra missione consista nel donare la vita ma quando diventa tanto tangibile e doloroso, trova una spiegazione ciò che è inesplicabile?
Non c’è mai una spiegazione per la morte, e nessuna morte provocata dalla violenza si giustifica e ha significato. Nemmeno quella di Isa, né di tanti uomini e donne che ogni giorno muoiono a causa della guerra e dell’odio. L’assassinio di Isa ci ricorda e ci rende solidali con la morte di migliaia di persone di cui mai parleranno i giornali e alcune di loro non saranno nemmeno piante da nessuno.
D’altra parte, la morte di Isa è la conseguenza della sua donazione: una donazione che si è realizzata ogni giorno, è maturata col passare degli anni ed è diventata sempre più profonda. Dopo il terremoto, Isa optò chiaramente di vivere con il popolo haitiano e come il popolo haitiano. Per circostanze che ora non è il caso di ricordare, trascorse lunghi periodi vivendo da sola. E anche allora, la sua decisione rimase ferma: «Haiti è la mia casa, la mia famiglia, il mio lavoro, la mia sofferenza e la mia gioia, il luogo dove mi incontro con Dio» (scritto un mese dopo il terremoto).
Nel marzo di quest’anno, il Giovedì santo 2016, Isa scrisse una lettera testamento per il momento della sua morte. Leggendola, nessuno dubita che stesse vivendo qualcosa di forte e che stesse preparandosi. Il Giovedì santo la sua vita era già consegnata: “Carissimi tutti: se leggete questo è perché stanno finendo i miei giorni in questo mondo... Non siate tristi. Se me ne vado troppo presto per voi... è accaduto quando doveva accadere. Dio lo sa ed è quello che importa. Il nostro tempo non è il suo tempo. Spero di andarmene almeno facendo ciò che amavo fare, donando la mia vita, amando la mia gente, servendo. Se è così, celebratelo, tutto va bene. Sono stata felice e sono stata dove più ho sempre desiderato in Africa e poi ad Haiti.
Seguire Gesù e il suo Vangelo è stata la cosa più affascinante della mia vita e ringrazio la mia congregazione che mi ha aiutato a farlo. Se mi sono innamorata pazzamente di qualcuno è stato di Gesù. Perciò state allegri, sono già con Lui... Perdonatemi ciò che vi ho fatto soffrire. A ciascuno il mio forte bacio, il mio abbraccio infinito... Ma soprattutto non piangete, vado dove andiamo tutti... solo vi precedo, ok? (Isa, Port au Prince, 26 marzo 2016).
Alla luce del suo percorso, la morte di Isa cessa di essere un semplice accidente e si tinge di colori evangelici. Ci ricorda che la nostra opzione per i più deboli della terra è radicale e seria; che nella sequela di Gesù non ci mancano le gioie, gli incontri e la vita in abbondanza, ma che sul cammino di Gesù esistono anche la discordia, il conflitto e la morte.
Isabel Solá, per quanto veniamo a sapere, è la testimonianza di una persona entusiasta della vita, che cerca e ricrea la vita. È il momento dei ricordi: quali tratti della sua personalità sono i più rimarchevoli?
Una chitarra, una macchina fotografica, dei sandali e una croce. E l’immensità del mare riflesso nei suoi occhi. Così era Isa. Una donna piena di vita e amante della vita, che sapeva godere con gli amici, con la famiglia e con la natura, specialmente con il mare. Una donna appassionata e piena di gioia; di molte relazioni, e allo stesso tempo, tremendamente indipendente; con uno sguardo attento e una raffinata sensibilità, capace di cogliere la bellezza e la sofferenza.
Una donna apparentemente fragile e con una forza e resistenza enormi; tenace in ciò che vedeva, creativa nelle azioni, instancabile nelle ricerche. Donna appassionata di Gesù, scoperse la chiamata non solo a servire le persone maggiormente sfavorite, ma a vivere con e come loro. La sua esperienza di Dio fu purificata attraverso gli avvenimenti; la sofferenza ha plasmato il suo significato della vita: “vivere per gli altri”.
La sua vita fu un canto a Dio e alla vita: ha celebrato la bellezza, ha pianto di fronte alla sofferenza, ha desiderato camminare seguendo Gesù e oggi la sua vita e la sua morte ci parlano di Vangelo e di Amore.
La sua destinazione ad Haiti costituì un momento speciale nel suo percorso di consacrata. Ci racconti che cosa offre la Congregazione in Haiti e che cosa stava facendo Isabel.
Le religiose di Gesù-Maria si trovano ad Haiti dal 1997. Attualmente ci troviamo a Puerto Príncipe, a Jean Rabel e Gros Morne. In questi tre luoghi le religiose, i volontari e collaboratori desiderano portare a termine la nostra missione: comunicare la bontà e l’amore di Dio verso tutti, specialmente ai bambini e ai giovani, e, tra questi, ai più poveri.
I compiti sono molteplici: sanità, accompagnamento personale, laboratori sono di aiuto nelle necessità di base. La cosa più importante: essere canali di Dio e riflesso del Vangelo.
Isa, dopo il terremoto dedicò tutte le sue energie per creare un centro di protesi per prendersi cura degli amputati. Non era solo un centro in cui si offriva loro la capacità di tornare ad essere autonomi. Nel centro si accompagnava anche tutto il processo di guarigione psicologica e vitale affinché le persone potessero tornare a vivere.
Profondamente educatrice, si dedicò anche all’educazione dei bambini e bambine haitiani, cercando risorse per la ricostruzione delle scuole e dei centri di formazione. In questo momento aveva un progetto che la entusiasmava: la costruzione di una scuola nella zona dove vivono in condizioni precarie migliaia di famiglie, un quartiere in cui Isa lavorava spesso come infermiera e dove voleva creare anche un centro di assistenza sanitaria.
Tra le priorità della sua congregazione stando all’ultimo Capitolo generale troviamo “vivere il perdono, la riconciliazione e la guarigione. A volte pensò di poter realizzare questa necessità?
La nostra Congregazione è nata a Lione, per opera di una donna, Claudina Thévenet che, dopo la Rivoluzione francese, visse le conseguenze della violenza sulla propria carne: fucilarono due suoi fratelli in sua presenza. Nonostante il dolore e la tragedia, Claudina scoprì Dio come bontà compassionevole. Malgrado il terrore sperimentò che il perdono risana e distrugge le spirali della violenza. Fortemente radicata in questa esperienza di vita, la sua esistenza si trasformò in un donazione al servizio della riconciliazione e della guarigione.
In questo momento della storia, l’origine carismatica della nostra istituzione ottiene una forza nuova. Mi limito a ricordare che sr. Monica Joseph, superiora generale ci scriveva dopo la morte di Isa: “Isa è morta a causa della violenza. Abbiamo due possibilità davanti a noi.... Entrare in questo circolo vizioso della violenza oppure come Claudina (nostra fondatrice) perdonare – lei fu testimone della morte non di uno ma di due suoi fratelli allo stesso tempo. Facciamo in modo che questa sia una opportunità per essere positive e perdonare e scegliere vie e mezzi, come Claudina, rivolti alla guarigione e alla riconciliazione nel nostro mondo ferito e violento. Non è accidentale, che in questo momento della storia come Congregazione ci troviamo di fronte a morti provocate, stupri, furti e assassini e pertanto partecipiamo alla croce di Cristo (Roma, 4 settembre 2016).
La vita donata della nostra sorella non è un evidente messaggio per una società stanca?
La morte di Isa e il ricordo della sua vita hanno fatto il giro del mondo. I mezzi di comunicazione e le reti sociali se ne sono fatti eco in modo sorprendente. Isa non è stata niente di eccezionale; come tutti aveva le sue luci e le sue ombre, i suoi valori e le sue debolezze.... Perché tanta eco di fronte alla sua morte? Perché tante parole sulla sua vita? In una società a volte annoiata e senza molto orizzonte, non sarà forse che abbiamo tutti bisogno di persone che ci ricordino il vero significato della nostra esistenza?
Davanti a tante notizie di violenza e corruzione non abbiamo forse bisogno di riorientare il nostro sguardo per scoprire i segni di donazione di solidarietà che ci sono d’intorno?
In una società che cerca di venderci “valori liquidi” e passeggeri non abbiamo forse fame di parole e gesti che ci parlino di fedeltà e autenticità?
Come crede che il passaggio alla Vita di Isabel rivitalizzerà la nostra vita consacrata?
Isa commenta in una delle interviste che le feci dopo il terremoto: “ Il sisma ha messo alla prova la fede e la solidarietà del popolo haitiano e ambedue ne sono uscite rafforzate”.
Credo che siano parole che potrebbero ben dirsi di fronte alla morte di Isa: volesse il cielo che la nostra fede e la nostra solidarietà fossero più solide e profonde dopo questo avvenimento.
Il Mistero pasquale di morte e risurrezione, non fu solo di Gesù ma continua a realizzarsi nelle persone che sono vissute come lui e che ora stanno con Lui. La vita di Isa, la sua donazione e il suo amore non si perdono, si trasformano e sono diventate parte della grande corrente di amore che sostiene e imprime fondamento alla nostra vita. E noi dobbiamo solo disporci ad accogliere questa corrente di Vangelo e lasciarci condurre da essa.
In un tempo di tanta pianificazione e organizzazione, la vita consacrata non è forse un invito a tutti noi di ritornare a rileggere e vivere la frase del Vangelo “una cosa sola ti manca... dare tutto?”.
Uno dei canti che Isa compose da giovane riprendeva alla lettera Santa Teresa: “A chi ha Dio nulla manca, tutto passa, Dio solo basta...”. Questa frase senza dubbio ha suscitato vita in lei col passare degli anni. Gli stessi haitiani dopo il terremoto le hanno insegnato a viverlo. Ci scriveva: «Essi sono stati una lezione, un avvicinamento più profondo a Dio, ad essi resta solo Dio e a lui si abbandonano!».
Per Gesù, la morte è sorgente di vita, chi la perde la guadagna e il grano di frumento che cade in terra porta molto frutto. Avvenimenti come questo tornano a radicare la vita religiosa in ciò che è più originale e nella sua essenza: la donazione libera e radicale, secondo lo stile di Gesù; il servizio evangelico ai più svantaggiati, l’invito ad essere e a stare con loro e ad essere memoriale di Gesù alleviando la sofferenza e amando senza misura. La vita religiosa è chiamata anche ad essere segno vivo dell’abbandono radicale a Dio e al suo spirito, espressione viva di svuotamento per essere canali del suo amore. Donazione senza misura all’umanità sofferente; fiducia e abbandono in Colui che ci abita e ci conduce. Che cosa dobbiamo fare per essere fedeli a questa chiamata?
Oggi torniamo a chiedere: “Maestro buono che dobbiamo fare per avere Vita?”, e la risposta risuona con forza: “Ti manca solo una cosa: va’ vendi quello che hai e dallo ai poveri; così avrai un tesoro in cielo. Poi vieni e seguimi”. Nonostante tanta pianificazione, d’altronde urgentemente necessaria, la morte di Isa ci ricolloca nell’opzione fondamentale e ci chiede profonda fedeltà e coraggio.
Per concludere, gridi con l’amore e la soavità della parola: perché la vita religiosa è una vita felice?
Viviamo per amare. Questo è il significato ultimo della nostra esistenza, ciò che ci conduce alla pienezza e ci rende profondamente felici. Questo è il messaggio del Vangelo, e il messaggio ultimo di tutte le religioni e spiritualità. Ciò che ci viene chiesto è di sapere trovare la nostra strada per essere canali di questo Amore. La vita religiosa è uno di questi, il mio e di molti uomini e donne che abbiamo incontrato, in questo genere di vita, la nostra via alla felicità.
Anzitutto è una vita felice perché è una vita scelta liberamente. Ed è un’elezione che scaturisce dall’amore, dall’esperienza di sentirsi fortemente regalati e amati da Colui che ci sostiene e ci abita. Questa esperienza è un dono che orienta la vita e le conferisce uno splendore speciale.
Rileggendo la mia vita, dopo 27 anni, posso dire che la vita religiosa mi parla di orizzonti e di cammini, di ricerche e di incontri. Mi parla di una vita con altri, intrecciata con la sofferenza della gente, aperta a condividere la festa e la gioia, facendo esperienza di fraternità e di condivisione della mensa. E col passare degli anni, mi parla sempre più di Presenza nel silenzio, di umiltà, di abbandono e di fiducia. E tutto questo... ha il sapore della felicità...