Bertolotto Orsola
La via dell'agape
2016/12, p. 18
Quasi al termine del Giubileo della Misericordia, dall’11 al 13 novembre 2016, si è tenuto a Roma il convegno per Superiore maggiori e Consigli sul tema: “Nella missione risplende la misericordia del Padre”. Hanno partecipato circa duecento Madri e Sorelle provenienti da tutta Italia.
Convegno USMI nazionale
LA via
DELl’agape
Quasi al termine del Giubileo della Misericordia, dall’11 al 13 novembre 2016, si è tenuto a Roma il convegno per Superiore maggiori e Consigli sul tema: “Nella missione risplende la misericordia del Padre”. Hanno partecipato circa duecento Madri e Sorelle provenienti da tutta Italia.
Nell’introdurre i lavori, il pomeriggio del primo giorno madre Regina Cesarato, presidente USMI nazionale, presenta l’inno alla carità di San Paolo (1Cor 13): “La via per eccellenza, l’agape” e spiega: «Inserite come membra vive e dinamiche dello stesso Corpo, come donne consacrate a Dio, siamo inviate ad abitare il mondo, inclusi “i luoghi di frontiera” per portare ovunque la misericordia del Padre che noi abbiamo sperimentato per prime. In questo senso ho scelto l’inno della carità di san Paolo come testo fondamentale per il percorso di vita cristiana che, partendo dall’iniziativa di Dio, come agape (amore) collabora alla salvezza del mondo in Cristo Gesù, per la potenza dello Spirito Santo». La via per eccellenza, quella dell’agape, è infatti il nuovo cammino che Paolo prospetta alla comunità cristiana dove si accoglie l’amore che è Dio stesso.
Madre Regina, nel corso della sua lectio, presenta il contesto nel quale è inserito il brano e prosegue: «Senza la carità siamo nulla. Ogni discorso profetico, ogni sapienza umana e anche tutte le nostre opere di dedizione e di rinuncia, senza amore non hanno valore. San Paolo spiega le opere della carità usando ben 15 verbi perché l’agape è azione, è vita vissuta, è dinamismo dello Spirito in noi. L’agape è paziente cioè ha un cuore grande, ed è benigna perché vuole il bene; non è invidiosa/gelosa: è contenta del bene degli altri; non si vanta e non si inorgoglisce; non si gonfia, non manca di rispetto cioè sa rispettare i tempi e non vuole tutto subito; non cerca il proprio interesse; non si adira non è rigida e sa proporre passi che facciano crescere la persona; non tiene conto del male ricevuto, infatti si regge sul perdono; non gode dell’ingiustizia ma si compiace della verità; tutto copre; tutto crede; tutto spera; tutto sopporta, attendendo il compiersi delle promesse di Dio».
Una considerazione importante: i doni di Dio, ieri come oggi, possono essere occasione di ambizione, di invidia e gelosia. «La comunità di Corinto – prosegue madre Regina – pur così ricca di carismi, presenta vari problemi: come mettere insieme l’alto ideale e il travaglio quotidiano talvolta ambiguo e poco chiaro? Anche noi ci accorgiamo con dolore che il Regno di Dio in mezzo a noi come Chiesa e tra noi come comunità di donne consacrate, incontra ostacoli e ritardi per le nostre chiusure, fragilità e peccati. Il testo di 1Cor 13 può essere assunto come programma di vita. Si tratta di percorrere un interessante itinerario verso la piena maturità cristiana”.
La comunità manifesta
la misericordia del Padre
La giornata di sabato si apre con la relazione di fratel Luciano Manicardi, vice priore della comunità di Bose, dal titolo: “Annunciare il Vangelo. Una comunità in cui traspare la misericordia del Padre”.
Partendo dalla constatazione che la misericordia è la “parola sintesi” del Vangelo, è “il volto di Dio reso visibile in Gesù”, il relatore sottolinea l’importanza della vita comunitaria come “manifestazione della misericordia” e riporta un’affermazione di papa Francesco: «La vita religiosa è una convivenza di credenti che si sentono amati da Dio e che cercano di amarlo. Nell'esperienza della misericordia di Dio e del suo amore si trova il punto di armonizzazione di ogni comunità». Già san Giovanni Paolo II era convinto che: «Tutta la fecondità della vita religiosa dipende dalla qualità della vita fraterna in comune». La vita religiosa, infatti, «sarà tanto più significativa quanto più riuscirà a costruire comunità fraterne nelle quali si cerchi Dio e lo si ami sopra ogni cosa». La vita comunitaria è schola amoris, dove scuola indica che le religiose stesse non tanto insegnano al mondo, ma imparano esse stesse l'arte di amare, si esercitano reciprocamente alla misericordia, entrano progressivamente nell'empatia, apprendono la compassione.
Fratel Luciano, ricordando che la misericordia divina si esprime come “un eccesso di amore, una misura di dono non ricambiabile”, sviluppa il tema della misericordia come “capacità di amare nelle difficoltà e nelle situazioni problematiche” e prende in esame quei rapporti asimmetrici e problematici che sono presenti nelle comunità e che richiedono pazienza, sottomissione, consolazione, e soprattutto perdono perché in comunità siamo “uniti dal debito della carità e dell'amore verso l'altro”. Come conseguenza chi detiene l'autorità nella comunità deve essere più madre che superiora. Un'autorità materna che sa creare un clima di fiducia tra le sorelle, essenziale per poter vivere la carità e la misericordia. Dare fiducia è già fare misericordia. Un’autentica autorità è umana e spirituale insieme, è capace di condivisione e soprattutto di ascolto.
Fratel Luciano si sofferma su quest’ultimo aspetto ricordando che ascoltare significa «essere presente senza essere soffocante, dedicare tempo, prendere sul serio quello che la sorella dice, portare i pesi gli uni degli altri». E, parlando poi della “relazione con le sorelle difficili”, rileva che proprio qui «abbiamo una grande occasione per esercitare la misericordia. Naturalmente occorre tanta pazienza, però la “persona difficile” o anche “nemica, ostile” può essere perfino una “grazia” perché è solo “il nemico” che ci fa vedere che cosa portiamo nel cuore e ci rende coscienti dei nostri aspetti non ancora redenti. «Il comportamento pesante e fastidioso della sorella che ci ha preso di mira può far nascere in noi una grande collera, una forte rabbia. Che fare? Scrive Agostino: “Nella nostra dottrina si chiede all’anima credente non se va in collera, ma perché; non se è triste, ma da dove viene la sua tristezza; non se ha paura, ma qual è l'oggetto della sua paura”(De civitate Dei IX,5). La collera infatti è rivelatrice della nostra vulnerabilità, essa ci consente di conoscerci».
La qualità umana e cristiana di una comunità si rivela particolarmente nella qualità delle relazioni intracomunitarie e dunque nelle modalità e nelle forme della comunicazione che si instaurano. Luogo privilegiato della comunicazione è la parola. Nella vita religiosa bisogna «imparare a parlare, a disciplinare la parola, ad assumere un'ascesi e una capacità di comunicazione sobria ed efficace».
E soprattutto, non dimentichiamo che «la misericordia si manifesta nel perdono: ricevuto da Dio e donato al prossimo». Ma anche il perdono non è immediato o facile: «Perdonare significa fare anche del male ricevuto l'occasione di un dono. Dove c’è perdono il Cristo si rende presente».
Corresponsabilità
e sinodalità
Nel pomeriggio madre Paola Mancini, superiora generale emerita della congregazione Pie Discepole del Divin Maestro, presenta la sua esperienza riguardo la “Corresponsabilità e sinodalità nei consigli generali e provinciali”.
Partendo dalla figura di Mosè e dalle parole di papa Francesco, madre Paola sottolinea l’importanza, per chi esercita l’autorità nella congregazione, di farsi aiutare, di consultare le sorelle che la Provvidenza di Dio ha messo accanto. Il governo è «una chiamata di Dio per occuparci delle sorelle che lui stesso ci ha affidato», da qui la necessità di vivere la dimensione di fede, la spiritualità, la comunione, la relazione. Assumere il servizio di autorità è farsi serva di tutte per la crescita di ogni singola persona, è tenere vivo il primato della consacrazione con quanto esso comporta di testimonianza, di vita coerente, nei voti, nella vita fraterna, nella preghiera, perché questo è il primo annuncio per le sorelle. Far emergere il primato del discepolato, essere assimilate a Gesù Eucaristia, che si offre al Padre e si dona a noi. Dalla partecipazione all’Eucaristia attingere la carità, una carità benigna, paziente, darsi tempo per ricevere l’azione dello Spirito e comunicarla.
La relatrice enumera infine le qualità dell’autorità: «disponibilità a lasciarsi disturbare, saper esercitare la pazienza, lavorare su tempi lunghi, comprendere i problemi degli altri, dare il proprio tempo nell’ascolto che è come dare la vita, rispettare il dono presente in ogni persona, saper leggere il positivo che c’è nelle sorelle, curare la relazione e il dialogo con ciascuna, saper lavorare insieme, discernere le varie situazioni in modo che le decisioni importanti siano condivise. E soprattutto mai rompere la comunione con posizioni rigide. Le nostre comunità siano “luoghi dello Spirito» dove si vive in fraterna comunione.
L’invio
in missione
La domenica 13 novembre si apre con la celebrazione eucaristica, poi l’assemblea si dispone ad ascoltare la dottoressa Marina Strenfelj del Centro Aletti sul tema: “Annunciare il vangelo. L’invio in missione.
La relatrice afferma che la missione «è rivelare all’umanità l’amore di Dio», ma questo è possibile solamente se facciamo esperienza di “essere noi stesse salvate”, come dice san Paolo: “Per grazia siete stati salvati mediante la fede e questo non viene da voi, ma è opera dello Spirito Santo” (Ef 2,5). La missione non viene da noi. È dono di Dio. Non viene dalle nostre opere, è opera di Dio. La missione è una grazia, un dono che viene dall’alto.
Si sofferma poi sul ruolo importante esercitato in noi dalla volontà. Per questo è necessario saper distinguere “la volontà dell’uomo vecchio” chiuso in se stesso, dalla “volontà dell’uomo nuovo”. La volontà infatti è questione relazionale: possiamo compiere il mandato solo rimanendo in relazione con il Padre. “Come il Padre dà la vita, così il Figlio dà la vita” (Gv 5,21) e ci chiede di rivelare la vita.
Se la missione è “rivelare il volto di Dio”, è necessario verificare sempre la nostra volontà perché la volontà propria è il più grande ostacolo alla missione. La natura della persona umana è corrotta dal peccato, anche la nostra volontà è corrotta, ma noi molte volte la difendiamo perché non abbiano conosciuto la volontà di Dio che è amore.
È necessario quindi diventare consapevoli che la nostra volontà vuole ma non può. Da qui l’invocazione allo Spirito affinché venga in nostro aiuto e la volontà di Dio ci raggiunga perché solo il suo amore può operare in noi la trasformazione da individuo a persona, da schiavo a figlio, da tenebroso a luminoso. Allora saremo immersi nella “fonte della vita” e, abbeverati a questo fiume d’amore, potremo donare amore.
Gesù afferma: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,6): ecco la necessità di accogliere la vita divina per lasciar vivere in noi lo Spirito Santo che è comunione.
Marina Strenfelj si sofferma infine sulla maternità spirituale, tanto importante quanto necessaria perché essere madri significa dare la vita: la missione è dare la vita filiale, la vita eterna!
sr. Orsola Bertolotto