Semeraro Michael Davide
Esploratore e profeta
2016/12, p. 15
L’esistenza di fratel Carlo è stata un continuo viaggio di esplorazione, fino a tracciare una nuova pista possibile non per arrampicarsi verso la perfezione del cielo, ma per scendere e impastare il desiderio di Dio con la condivisione della vita di tutti.
Centenario della morte di Charles de Foucauld
ESPLORATORE
E PROFETA
L’esistenza di fratel Carlo è stata un continuo viaggio di esplorazione, fino a tracciare una nuova pista possibile non per arrampicarsi verso la perfezione del cielo, ma per scendere e impastare il desiderio di Dio con la condivisione della vita di tutti.
Charles de Foucauld rappresenta per la storia della Chiesa un punto di non ritorno, la cui profezia è caduta nel deserto del Sahara come un “chicco di grano” (Gv 2, 24): era il 1° Dicembre 1916. Esattamente un secolo fa! Quel seme è marcito a lungo fino a portare il suo frutto, in modo così ricco e variegato, in quei discepoli e discepole che non ebbe in vita e gli sono stati concessi dopo la morte. La vita di fratel Carlo – d’ora in poi lo chiameremo così – ha scardinato tutte le strutture che si ritenevano irrinunciabili per assicurare una vita consacrata di perfezione che fosse degna di questo nome. Remotamente la sua indole di esploratore nato ha aperto nuove piste e nuovi cammini ben prima che il Concilio Vaticano II ne additasse i percorsi alla Chiesa tutta.
Le intuizioni maturate
nella trappa
Fratel Carlo, quasi senza volerlo, ha rivoluzionato radicalmente i costumi ecclesiastici a partire da una conversione della vita di perfezione – si intende con questo termine la vita consacrata – al Vangelo. In fratel Carlo matura gradualmente l'idea che un religioso deve essere fino in fondo tale senza sottrarsi al peso della vita degli altri uomini, anzi divenendone – come Gesù a Nazaret – solidale fino in fondo e fino alla morte. Queste intuizioni maturano nel contesto della Trappa che, nel momento del suo ritorno alla fede della sua infanzia, Charles de Foucauld ritenne il luogo più propizio ad una vita religiosa che fosse la più perfetta e austera possibile. Proprio in monastero questo monaco sentì la necessità di andare più lontano trasformando la “fuga mundi” di stampo classico, nell’impegno ad abitare evangelicamente il mondo degli uomini con le loro gioie e speranze, fatiche e sofferenze.
Un continuo viaggio
di esplorazione
Tante realtà di condivisione e di apertura che oggi sembrano così naturali nella vita consacrata post-conciliare sono state intuite e remotamente preparate proprio dalla ricerca di questo profeta senza pretese. L’esistenza di fratel Carlo è stata un continuo viaggio di esplorazione, fino a tracciare una nuova pista possibile non per arrampicarsi verso la perfezione del cielo, ma per scendere e impastare il desiderio di Dio con la condivisione della vita di tutti. L'esempio di fratel Carlo rappresenta, prima di tutto, la prova evidente che si può imparare l'essenziale della vita battesimale proprio da chi riteniamo non ce l'abbia e che pure ne trasmette la realtà: nato cristiano, riscoprì il suo battesimo a contatto con l’Islam che diventa così la cifra per indicare l’altro in tutta la sua diversità e complessità.
Il mistero evangelico che ha forgiato lo stile di vita di fratel Carlo è quello della Visitazione. In questo mistero, infatti, la presenza reale e appassionata di Cristo, che portiamo dentro di noi come credenti, si coniuga all’assoluta discrezione e rispetto verso chi non la pensa come noi. In questo mistero della Visitazione, testimonianza e discrezione si sposano aprendo nuove possibilità di dialogo con tutti nell’amore. Chi meglio di fratel Carlo e della sua rilettura del modo di essere uomini e donne di Vangelo potrebbe aiutare a completare il passo di Francesco d’Assisi – quello verso i poveri – per osare il successivo passo? Come continua ad esortare papa Francesco, che in più occasioni ha citato il piccolo fratello universale, il passo che ci resta da fare è verso le provanti ed esigenti periferie della storia e dei cuori che si fanno più dure nel nostro mondo globalizzato e sempre più post-moderno. Papa Francesco lo ha detto nella sua prima udienza generale nell’imminente preparazione alla sua prima Pasqua come Vescovo di Roma esortando a «vivere la Settimana Santa seguendo Gesù vuol dire imparare ad uscire da noi stessi – come dicevo domenica scorsa – per andare incontro agli altri, per andare verso le periferie dell’esistenza, muoverci noi per primi verso i nostri fratelli e le nostre sorelle, soprattutto quelli più lontani, quelli che sono dimenticati, quelli che hanno più bisogno di comprensione, di consolazione, di aiuto. C’è tanto bisogno di portare la presenza viva di Gesù misericordioso e ricco di amore!».
A queste parole di papa Francesco potremmo accostare, come commento quasi profetico, un testo di fratel Carlo proprio sul mistero della Visitazione: «Questa festa è anche la festa dei viaggiatori. Insegnaci, o Madre, a viaggiare come viaggiavi tu… con lo sguardo dell’anima incessantemente fisso sul solo Gesù, che portavi nel tuo seno, passando in mezzo alle creature come in sogno».
Il suo ideale
di vita religiosa
Il nucleo centrale della spiritualità e dell'ideale di vita religiosa di fratel Carlo è la vita nascosta di Nazareth. Questo periodo della vita di Gesù lo ha attirato fino al punto da voler vivere a Nazareth, assumendo lo stile di lavoro che Gesù abbracciò durante la sua vita terrena. Con l'icona della vita di Nazareth, fratel Carlo descrive la sua vocazione, non perché ritenga le altre forme di vita non conformi all'esempio di Gesù, ma perché in essa ha ritrovato la sua particolare modalità di rispondere all'amore di Dio. Egli, infatti, riconosce tre vie, tre modalità di imitare il Maestro.
Nostro Signore ci ha dato l'esempio di tre vie che ha praticato lui stesso e che sono di conseguenza tutte e tre perfette, tutte e tre divine: la via di Nazareth, quella del deserto, quella dell'opera evangelica.
In questi tre momenti della vita di Gesù, vede la vita puramente contemplativa (via del deserto), separata dal mondo per dedicarsi alla preghiera, alla penitenza; la vita apostolica (l'opera di evangelizzazione), che esprime lo zelo e l'amore misericordioso di Dio per ogni uomo attraverso tutte le opere di evangelizzazione proprie dei sacerdoti e dei religiosi; la vita di Nazareth, vicina alla vita quotidiana di tutti gli uomini, fatta di lavoro, di relazioni familiari, caratterizzate dall'amore di Gesù amico di tutti. Questo lo induce ad una fedeltà creativa fino ad essere limitativa della Regola benedettina professata e vissuta in Trappa.
Penso alla Regola di san Benedetto, e perciò in molti punti secondo la lettera della sua Regola, ma non in tutti. […] “Voi sarete veramente monaci quando vivrete del lavoro delle vostre mani, come i nostri padri e gli apostoli” dice la Regola di san Benedetto; ci vedo un grande snellimento delle cerimonie esterne, come presso i monaci antichi, per dare molto alla preghiera e alla vita interiore e nello stesso tempo per praticare la carità verso il prossimo in tutte le occasioni che il buon Dio fornisce.
Contemplazione
e prossimità agli uomini
Questa forma di vita è la sintesi di due elementi; la ricerca dell'intimità con Dio, propria della vita contemplativa, e la prossimità agli uomini, propria della vita apostolica senza identificarsi formalmente né con l’una né, tantomeno, con l’altra. La “vita di Nazareth” non comporta l'esercizio di un ministero apostolico propriamente detto, ma una vita nascosta fatta di preghiera, di lavoro, di umiltà, di povertà, per santificare dall'interno la vita quotidiana dei più poveri, e degli infedeli che diverranno sempre di più i suoi amici. È curioso notare l'attaccamento personale alla clausura che è previsto come voto per i suoi piccoli fratelli, ma a cui egli si lega a condizione che a nessuno manchi l'assistenza indispensabile alla salvezza per cui scrive: «Ormai uscirò da questa piccola clausura soltanto per gli ammalati che avranno bisogno di assistenza religiosa».
Il cammino interiore di fratel Carlo si è orientato durante il tempo di vita monastica claustrale prima a Notre-Dame des Neiges e poi ad Akbès, in Siria. Proprio nell’austera e appassionata cornice monastica, fratel Carlo ha compiuto il suo esodo interiore di purificazione e di concentrazione sull’essenziale. La solitudine assistita della vita monastica lo ha reso capace di vivere la solitudine esposta del deserto inteso come rinuncia ad ogni protezione in vista di una radicale esposizione al rischio della condivisione. Le famiglie sorte dal “carisma ispirativo” di fratel Carlo rischiano di conoscere poco la fase monastica che ha preparato l’esperienza propriamente “defoucauldiana” nella veste propria del “piccolo fratello”.
La grande scuola di fratel Carlo è stata la lettura del Vangelo secondo la tradizione monastica della lectio divina. Nella solitudine contemplativa della Trappa, questo cercatore di Dio comprende la necessità, dopo essersi separato dal “mondo”, di sedersi alla mensa degli altri senza disdegnare nessuna umana compagnia. Così avvenne per Teresa del Bambin Gesù, un'altra santa che fu rivoluzionata interiormente da un contatto più forte con le Scritture e, in particolare, con il Vangelo. Quale fondamento e nutrimento per la sua vita spirituale, fratel Carlo legge il Vangelo e adora l'Eucaristia. La novità e la particolarità non è tanto l’adorazione eucaristica praticata persino in modo esagerato alla sua epoca, ma la lettura personale delle Scritture e in particolare del Vangelo commentato per scritto ogni mattina.
Quando gli usi liturgici del tempo lo costringeranno a privarsi dell'Eucaristia, fratel Carlo preferisce rimanere al suo posto di deserto solidale nutrito del Vangelo. Gli usi liturgici del tempo proibivano di celebrare la Messa senza assistente e lui, in pieno deserto, non ne aveva che rarissimamente. In tal senso chiese una dispensa e dovette aspettare la risposta a lungo per avere il permesso di poter celebrare la Messa in assoluta solitudine. Fratel Carlo accettò – obbediente – dicendosi che era meglio rinunciare all'eucaristia ma non rinunciare alla logica dell'eucaristia. Questa consapevolezza, sacramentale ed esistenziale, lo spinse a restare in mezzo ai fratelli più lontani e abbandonati per celebrare esistenzialmente il sacramento della fraternità universale.
Una grande scommessa
anche per l’oggi
Fratel Carlo rappresenta ancora oggi, quando non mancano forme nostalgiche di devozioni un po’ talebane, una grande scommessa soprattutto per i consacrati: l'Eucaristia e il Vangelo, l’Eucaristia come Vangelo e il Vangelo come Eucaristia. Non l'Eucaristia e il Vangelo intesi quale codice religioso di identificazione che diventa facilmente una questione di identità, ma come disposizione generosa ad una reale trasformazione in Cristo, in obbedienza ai segni della storia e agli incitamenti che vengono dallo Spirito Santo.
In un tempo di Chiesa come quello che, grazie a Dio, stiamo vivendo, il centenario della morte di fratel Carlo che cade dopo cinquant’anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II e a ridosso della chiusura del Giubileo della Misericordia è un’occasione da non perdere. Dopo decenni in cui, in forme diverse che non cessano ancora di nascere e di stupire, possiamo dire che il carisma di fratel Carlo è un carisma effuso nella vita della Chiesa stessa e, in particolare, nelle sfide poste alla vita consacrata dei nostri giorni. Ciò che le forme specifiche di vita che si rifanno al carisma di fratel Carlo hanno vissuto e continuano a vivere sono solo una piccola espressione e una minima eredità di ciò che l’esperienza del padre De Foucauld rappresenta per il cammino della Chiesa dei nostri giorni.
Se la Chiesa è l’invenzione della compassione di Cristo per l’umanità, di certo fratel Carlo ha intuito gradualmente questa verità fondamentale per una vita autenticamente discepolare. Questo esploratore e profeta della fraternità universale è stato capace di incarnare i tratti del discepolo in uno stile di cui ancora molto ci resta da scoprire e, soprattutto, da vivere.
Fratel MichaelDavide, osb
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