Mastrofini Fabrizio
Riorganizzazione delle Province
2016/12, p. 5
È un’opportunità da collocare dentro l’orizzonte ecclesiale, per guardare avanti con speranza, proponendo luoghi vitali sani, strutture più leggere, sistemi aperti capaci di generare fiducia e vita tra i membri e di raggiungere meglio l’umanità dove si trova. Tre gli interrogativi posti.
56° Assemblea generale della CISM
RIORGANIZZAZIONE
DELLE PROVINCE
È un’opportunità da collocare dentro l’orizzonte ecclesiale, per guardare avanti con speranza, proponendo luoghi vitali sani, strutture più leggere, sistemi aperti capaci di generare fiducia e vita tra i membri e di raggiungere meglio l’umanità dove si trova. Tre gli interrogativi posti.
È l’invecchiamento il «motivo scatenante che ha generato il desiderio di mettersi in stato di conversione pastorale e riformularsi». Così don Leonardo Mancini, superiore provinciale dei salesiani dell’Italia centrale, ha spiegato la riorganizzazione nazionale dei salesiani intervenendo, a Rimini, alla 56ª assemblea generale della Cism (Conferenza italiana superiori maggiori), riunita dal 13 al 18 novembre. Dal 2006 al 2008 sono state accorpate gradualmente 7 regioni dell’Italia centrale. In questo senso, ha spiegato il religioso, sono stati messi insieme «540 confratelli con 53 presenze e un organismo centrale a servizio di tutti è operazione consistente e impegnativa»; «abbiamo condiviso buone prassi e messo insieme energie per riformulare l’azione pastorale e le modalità di vita comunitaria». Chiuse anche 17 comunità in 8 anni, un taglio «doloroso ma inevitabile se orientato a dare respiro ai confratelli, che rischiavano di essere consumati dalle opere». Ad Olbia ad esempio si sta percorrendo una strada di sinergie: i salesiani, infatti, hanno appena attivato un oratorio insieme agli oratori diocesani, particolarmente attento ai disagi giovanili, in rete con le attività promosse in parrocchia.
Anche Frati minori conventuali e Maristi hanno portato la loro esperienza sul tema della riorganizzazione. Quello dei Frati minori conventuali è un «percorso partito negli anni ‘90 che ha coinvolto tre Province, oltre 40 comunità divenute ora 34», ha spiegato fra Federico Santolin, segretario della provincia di s. Antonio di Padova. «Tra i punti di forza – si legge in una nota – la ricostituzione della Provincia storica, la possibilità per le tre Province originarie di avere strutture di governo funzionali, maggior vivacità apostolica, comunità più vivibili, dal numero all’età dei partecipanti». «Dall’unificazione – prosegue la nota – non solo chiusure» ma attività «collaborazione con alcune sorelle consacrate, ripensando spazi e tempi della vita quotidiana», attività di «pastorale giovanile e universitaria in aree in cui non era presente il carisma» e la «presenza condivisa in un convento con una famiglia a servizio delle coppie ferite».
Per i Fratelli maristi, la riorganizzazione, attivata dopo il 2005, ha ridotto le Province da 54 a 25. «Un progetto – ha chiarito fratel Onorino Rota, delegato per l’Italia della Provincia mediterranea – maturato nel consiglio generale che ha investivo tutto l’Istituto» nel mondo. Si è avviata una prima sperimentazione che ha portato a rompere gli schemi: «non adeguamento ma cambio e innovazione», ha proseguito Rota, attuando una «riorganizzazione – specifica la nota – proposta in maniera intelligente, in sinergia con le diverse realtà con effetti benefici anche sulle opere». Il tutto fatto «in comunione con i laici con cui diversi sono gli esempi di condivisione delle comunità stesse, per una vera “rivoluzione del cuore”». Come a Siracusa, con la nuova esperienza a favore di minori non accompagnati, accolti in comunità formate da religiosi e laici, o a Giugliano con una coppia, parte della comunità dei fratelli.
Le questioni
giuridiche
Tra i temi affrontati, rispetto alle fusioni, anche le questioni giuridiche. Infatti la fusione di Province religiose si può realizzare, ma con «prudenza e discernimento», come ha precisato l’avvocato Massimo Merlini. Il panorama legislativo, canonico e civile, è il primo elemento da tenere in considerazione. Più semplici le unioni se tra Istituti e Province presenti in Italia. Meno se tra Italia ed estero. E poi il fisco. «Oggi è mutata la considerazione sociale e giuridica dell’ente ecclesiastico», ha precisato, e «si va affermando una sua visione oggettiva piuttosto che soggettiva, con attenzione alle opere effettivamente svolte e non alla natura dell’ente; specialmente sotto l’influenza di una visione europea sta rapidamente finendo un inquadramento di privilegio, specie fiscale. L’ente religioso – ha aggiunto – può fallire e si pone dunque un problema di attenzione ancora maggiore nel rispetto di esigenze di legalità, correttezza e trasparenza, valide a maggior ragione per chi è segno e parte di Chiesa». In una situazione di questo genere è urgente individuare strumenti giuridici innovativi in una progettualità di insieme dove la riflessione sul proprio carisma costituisce il primo gradino, il diritto – canonico e civile nell’ordine – il secondo e il fisco la sua parte conclusiva. Il tutto «nella ricerca di un punto di equilibrio tra carisma ed economia, dove il profit sostenga il non profit, la fusione tra enti va realizzata nel contesto di un piano e di una visione di insieme che la giustifichi e le dia la giusta prospettiva»
Confermato presidente
Luigi Gaetani
Al termine dei lavori la Cism ha confermato come suo presidente padre Luigi Gaetani, dell’Ordine dei Carmelitani Scalzi, eletto quattro anni fa ad Acireale. Padre Luigi è nato a Gallipoli il 15 agosto 1959 ed è sacerdote dal 1989. Ha frequentato le facoltà teologiche al San Luigi di Napoli e al Teresianum di Roma, conseguendo poi la Licenza in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, con una tesi su “La coscienza di Gesù davanti alla morte nella tradizione sinottica”. È stato professore ordinario di Cristologia, di Metodologia teologica e di Teologia della Vita Consacrata dal 1987 al 2003 presso lo Studio interreligioso Santa Fara, affiliato all’Antonianum di Roma. Il 13 novembre, in apertura dei lavori, davanti a oltre 110 Provinciali italiani, padre Gaetani aveva spiegato che il tema della riorganizzazione «non va considerata una ulteriore riflessione sull’ideologia di cambiamento ma una preziosa occasione da vivere nella prospettiva ecclesiologica indicata da Papa Francesco di riforma della Chiesa, per evitare il rischio di avviare processi meramente estetici e autoreferenziali». Una revisione che necessita di «un profondo respiro teologale e di comunione ecclesiale, che parta dal di dentro per poi arrivare alle strutture, per irradiazione».
Padre Gaetani ha invitato a una «lettura attenta e orante dei segni dei tempi e dei luoghi, che tenga presente le diverse anime culturali e religiose del nostro Paese». Una nuova pentecoste possibile in grado di ravvivare i carismi per una loro coessenzialità. «Comprendere», ha sintetizzato, «senza la pretesa di voler risolvere», atteggiamento che richiede «formazione e riforma delle strutture che preparano clero e laicato per una Chiesa in missione». Un’opportunità da collocare dentro l’orizzonte ecclesiale, per guardare avanti con speranza, «proponendo luoghi vitali sani, strutture più leggere, sistemi aperti capaci di generare fiducia e vita tra i membri e di raggiungere meglio l’umanità dove si trova». Un processo che richiede la revisione delle norme di ciascun Istituto, preservandone radici spirituali e culturali, rivedendo i livelli di governo e il personale necessario per le sue esigenze. Un vero e proprio cantiere in fase sperimentale, dove è bene tener presente che «la vita religiosa è un sistema olistico in cui tutto è in relazione».
Gli interrogativi
posti
Tre, infine, gli interrogativi posti: siamo di fronte a un momento storico in cui la riorganizzazione resta uno degli elementi della riforma più ampia a cui siamo chiamati? Le strutture hanno forma profetica? È possibile lavorare al presente sulla convivialità delle differenze elaborando forme di partecipazione intercongregazionali affini per spiritualità e missione?
Da segnalare che in una intervista all’Agenzia Sir, padre Gaetani aveva notato come negli ultimi quattro anni i religiosi in Italia siano passati da 19.500 a poco più di 18mila. Alla domanda se vada avviato un ripensamento dei rapporti con le diocesi, ha risposto che «è un progetto in cantiere. Bisogna monitorare il rapporto tra la vita consacrata e le diocesi. È arrivato il momento di riorganizzarci per meglio rispondere alle esigenze della Chiesa italiana. Viviamo una stagione positiva nel rapporto con i vescovi. Dunque, la riscrittura del documento “Mutuae relationes” sarà importante per ricordare la comunione che si compie dentro una Chiesa in stato di missione e co-essenzialità tra dono carismatico e istituzionale. Le mutue relazioni, infatti, non devono essere considerate in senso duale – vescovi e religiosi – ma dentro un rapporto con il popolo di Dio. È all’interno della Chiesa che si realizzano, non tra due settori di essa».
In Assemblea, sulla scorta del concilio Vaticano II, padre Gaetani ha concluso: «Non siano i numeri e le strategie di governo a frenare il senso di una vita spesa per il Vangelo, ma la presenza dello Spirito a far nuove tutte le cose».
L’intervento
di mons. Carballo
Una risposta è arrivata dal Segretario della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Mons. José Rodriguez Carballo ha ribadito che «è la dimensione profetica che non può mancare» e «ci vogliono Provinciali svegli che sappiano accogliere le sfide, uomini di fede». «Non è la crisi dei numeri ma della fede che deve interpellarci» ha aggiunto.
Tre le tentazioni principali da evitare: la tendenza all’autoreferenzialità, la lotta per la semplice sopravvivenza «importando magari forze da altri Paesi per mantenere aperte strutture», l’attitudine a «mettere vino nuovo in otri vecchi», ovvero il carisma in strutture non più rispondenti ai reali bisogni. Il futuro dei consacrati ci sarà «se sapranno cogliere le sfide attuali», ha precisato il segretario citando Benedetto XVI. È necessario, inoltre, il coraggio di «chiamare le cose per nome», distinguendo tra trasparenza e discrezione e «sapendo chiedere perdono, quando dobbiamo». La sfida dei mass media e della pluriformità, riscoprendo dinamiche sinodali e co-essenzialità dei doni. Il futuro della vita consacrata sarà allora nel «rinvigorirsi forte di un’opzione preferenziale per i poveri, nella ristrutturazione per rivitalizzare, nel creare fraternità e generare speranza, nella riscoperta di una profonda umanità, che sappia ascoltare e permetta la libertà di coscienza, nella compassione e comunione, nel passaggio dal protagonismo allo spirito di servizio, nella condivisione del carisma con i laici, nel farsi carico della sfida che anche il mondo digitale pone».
La “sferzata”
di mons. Galantino
E proprio l’ultimo giorno, alla fine dei lavori, è arrivata la “sferzata” di mons. Galantino, segretario generale della Cei. «È giunto il momento – ha osservato – di pensarci insieme, religiosi e vescovi, chiamati a essere segno di ciò che la Chiesa è chiamata a fare oggi, tempo magnifico e drammatico: lavorare insieme oppure, ognuno al proprio posto, diventare irrilevanti o dannosi». «Troppe ancora le energie sprecate in controversie che fanno perdere tempo», ha aggiunto, a danno della trasformazione missionaria della Chiesa. Richiamando l’Evangelii gaudium di Papa Francesco, mons. Galantino ha invitato a «tornare sulla strada, abitare frontiere esistenziali e geografiche per accompagnare l’umanità ferita e stanca». Prendere iniziative e «riscoprire la mistica di vivere insieme, radicata nella fede nell’incarnazione per la rivoluzione della tenerezza». E poi non abbandonare lo specifico, l’audacia dell’improbabile: «Non autoridursi a fare qualcosa in qualche momento, ma cercare continuamente di incrociare storie concrete, essere missionari su questa terra per vivificare, sollevare, liberare». Carismi che devono risaltare con più evidenza e contribuire ad aiutare la pastorale ordinaria, indicandole «ciò che è essenziale».
Fabrizio Mastrofini