Figli nel Figlio
2016/11, p. 46
In ambiente laico, e in buona parte
anche cristiano, la morale cristiana è
considerata un insieme di norme e di
precetti, per lo più al negativo e ridotta
alla questione del lecito/illecito,
permesso/proibito. Il trattato di
teologia morale fondamentale delinea
alla pastorale una triplice prospettiva
importante, anzi determinante,
per un nuovo annuncio convincente
e desiderabile della morale
cristiana.
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figli nel figlio
«La strutturazione di una disciplina scientifica, in questo caso la teologia morale, non può mai dirsi compiuta e definitiva. Nel corso della storia, infatti, intervengono inevitabilmente profondi cambiamenti culturali ed empirici che domandano, da un lato, una puntuale conoscenza della nuova condizione socioculturale e, dall'altro, una coerente risposta a livello teologico e teologico-morale. La plausibilità di tentare la stesura di un nuovo trattato è motivata da tre fattori: i profondi mutamenti culturali e sociali che sono intervenuti; la considerazione dell'esposizione sistematica postconciliare e delle varie fasi del rinnovamento della teologia morale fino ad oggi; la lacunosa e insufficiente recezione del vero volto della morale cristiana che pone la questione della distanza tra la teologia morale e la pastorale». (cf presentazione di p. Lorenzetti)
Triplice prospettiva
In ambiente laico, e in buona parte anche cristiano, la morale cristiana è considerata un insieme di norme e di precetti, per lo più al negativo e ridotta alla questione del lecito/illecito, permesso/proibito. Il trattato di teologia morale fondamentale delinea alla pastorale una triplice prospettiva importante, anzi determinante, per un nuovo annuncio convincente e desiderabile della morale cristiana.
La prima prospettiva riguarda l'immagine di Dio che, in Gesù Cristo e nel suo mistero di morte e di risurrezione, si rivela come Padre, amore, misericordia, rivelazione determinante per configurare la morale cristiana non come morale del timore ma dell'amore. «Abbiamo conosciuto l'amore e vi abbiamo creduto»: è questo il fondamento dell'agire cristiano.
La seconda prospettiva riguarda l'identità dell'essere umano. In risposta, l'antropologia mette radici profonde nel mistero di Cristo, «vera luce» che illumina la verità dell'essere umano che solo in Gesù Cristo conosce «la sua altissima vocazione»: essere e agire da figli/figlie di Dio.
La terza prospettiva tocca le relazioni interpersonali, dalla più piccola alla più grande fino all'umanità intera, e si caratterizza come fraternità: figli di Dio e, quindi, fratelli/sorelle; fratelli/sorelle perché figli/figlie dello stesso Padre.
Centralità dell’amore/agape
Per trasmettere il vero volto della morale cristiana, occorre recuperare la centralità dell'amore/agape: primo principio teologico che definisce e identifica Dio e anche primo principio antropologico che identifica la persona, «creata a immagine e somiglianza di Dio». L'amore/agape diventa così anche il primo principio etico, capitolo fondante e strutturante l'intero discorso morale.
Nella consapevolezza che la divina rivelazione raggiunge la sua pienezza nel mistero pasquale, nel quale siamo stati costituiti nuove creature e siamo divenuti figli nel Figlio, occorrerà cercare nella Scrittura quegli insegnamenti e quei gesti che orientano e armonizzano morale e fede.
Riflessione morale contemporanea
Il Concilio, intendendo rinnovare la teologia morale, a essa attribuisce un'esposizione scientifica che attinga le sue argomentazioni innanzitutto dalla Scrittura. L’esposizione morale ha il compito di mettere in luce due fattori: la vocazione dei fedeli in Cristo e il conseguente impegno/responsabilità di crescere nella carità. Il punto di partenza per riflettere sul rapporto tra l’uomo e Cristo, necessario per una vita morale di tipo filiale, è il Cristo stesso nel suo mistero pasquale. C'è una circolarità tra l'opera di Dio e la partecipazione dei credenti. Più si raffina la vita morale dei figli, più i figli camminano risolutamente incontro al «segno del Figlio dell'uomo» (cf. Mt 24,30; Ap 1,7). San Paolo così descrive il primo movimento di questa circolarità: «Rivestite l'uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità vera. Perciò, bando alla menzogna... » (Ef 4,24s). «Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri» (Col 3,12-13). Il secondo movimento di questa circolarità si potrebbe ritrovare nella tradizione giovannea, quando Gesù si rivolge ai suoi discepoli paragonandosi al ceppo: «Ogni tralcio che in me porta frutto, il vignaiolo, il Padre lo pota perché porti più frutto» (cf Gv 15,2). Essere “potati” dal Padre implica un'esperienza tipica della sua sollecitudine paterna (cf. Eb 12,5; Ap 3,19; Pr 3,12). In diversi modi Dio ha manifestato la sua bontà, prendendosi cura dell'uomo rispondendo alle sue domande fondamentali. La risposta che Dio inizialmente ha dato nella legge naturale raggiunge il vertice nel Figlio, il quale rifulge pienamente dello splendore del Padre (cf. 2 Co1 4,6), schiude ai fedeli le Scritture, insegna la verità sull'agire morale ed effonde lo Spirito.
Anna Maria Gellini