Morales Victor M.Martinez
Il nome di Dio è misericordia
2016/11, p. 39
Mentre termina il Giubileo della misericordia è necessario ora tradurre nella vita l’esperienza vissuta: la misericordia che il Signore ci ha donato deve sempre accompagnarci e diventare misericordia verso i nostri fratelli, sullo stile di Gesù, affinché diventi quello di ogni suo vero discepolo.
Per continuare lo spirito del Giubileo
UN AMORE
CHE SI FA MISERICORDIA
Mentre termina il Giubileo della misericordia è necessario ora tradurre nella vita l’esperienza vissuta: la misericordia che il Signore ci ha donato deve sempre accompagnarci e diventare misericordia verso i nostri fratelli, sullo stile di Gesù, affinché diventi quello di ogni suo vero discepolo.
Il 20 novembre, solennità di Cristo Re dell’universo termina il Giubileo. Ma non finisce il tempo della misericordia, quella che Dio ci dona e quella che la Chiesa continuerà a proclamare e a testimoniare al mondo e che anche noi dobbiamo donare agli altri. La misericordia, infatti, scriveva il papa nella Bolla di indizione Misericordiae vultus è «l’architrave che sorregge la vita della Chiesa. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole».
Come continuare a vivere questo grande dono che abbiamo ricevuto con tanta abbondanza e come donarlo agli altri? Come essere in concreto, soprattutto noi religiosi, “missionari della misericordia” nel mondo d’oggi? Ci viene in aiuto lo “Speciale” che qui pubblichiamo, tutto dedicato alla risposta a queste domande. È una riflessione del padre gesuita Victor M. Martinez Morales, pubblicata nella rivista Vinculum dei superiori maggiori della Colombia, in un quaderno intitolato “Uscire profeticamente verso il cuore della vita che soffre”. Dopo un accenno alla situazione spesso drammatica di alcuni paesi latinoamericani, Martinez Morales entra nel vivo del tema e offre indicazioni quanto mai appropriate per vivere noi oggi la misericordia che abbiamo ricevuto e che dobbiamo donare agli altri. Apre la riflessione una citazione del card. K. Kasper: «Bisogna che sia chiaro che una Chiesa senza carità e senza misericordia non è la Chiesa di Gesù Cristo”.
Il papa Francesco l’11 aprile 2015 annunciava al mondo la convocazione del giubileo straordinario della misericordia con la Bolla Misericordiae Vultus. Che cosa significa per l’umanità e per la Chiesa questo giubileo? Che significato ha questo tempo di misericordia per noi, come vita religiosa, e per i nostri popoli? In che consiste questa iniziativa del papa Francesco a soli tre anni del suo pontificato?
In una realtà come la nostra, dell’America latina e Caraibi, caratterizzata dalla violenza, corruzione, traffico di droghe, violazione costante dei diritti umani, disprezzo della dignità delle persone e di aumentata indifferenza di fronte alla precarietà e alla miseria, dove mettiamo la misericordia?
Più ancora, in una Colombia bagnata di sangue per tanti decenni di guerra, in cui a lungo andare è aumentato un orgoglio che ha indurito i cuori dell’una e dell’altra parte, provocando profonde rotture e accrescendo profondi odi e rancori, la misericordia avrà una parola da dire e da offrire?
È necessario, inoltre, rispondere come comprendere oggi la misericordia a partire da Dio allorché per alcuni è un argomento di una carica ideologica tale da portare alla rassegnazione, per altri è sentimentalismo che paralizza e ostacola ogni sviluppo e non possiamo negare che per coloro che, in pieno secolo XXI, si allontanano dai criteri del vangelo non cessa di essere qualcosa di ingenuo, assurdo e del tutto strampalato.
Secondo altri autori, la misericordia sta nel nucleo di fondo di ogni religione: è un patrimonio dell’umanità. «Il fatto che la compassione e la misericordia siano virtù umane universali ci può incoraggiare a stabilire un dialogo con le altre culture e religioni e a lavorare insieme per la concordia e la pace nel mondo. Ma questa comune tradizione dell’umanità deve farci anche pensare. Afferma infatti che ovunque si smarriscono la compassione, la clemenza, l’altruismo reciproco e il perdono vicendevole lì si trovano a proprio agio l’egoismo e l’indifferenza verso il prossimo e le relazioni personali si limitano a dei processi di interscambio economico, mettendo a grave rischio l’umanesimo della cultura e delle società interessate”
Essere umanità vuol dire essere misericordia
La prossimità dell’uomo a Dio, a partire delle sue esperienze e dagli avvenimenti, ha il sapore della misericordia. Così l’avverte il popolo d’Israele e in maniera molto chiara è percepita da coloro che furono i discepoli di Gesù, i cui racconti sono contenuti nei vangeli.
La misericordia viene da Dio, questa è stata l’esperienza del popolo d’Israele il quale, leggendo il suo cammino storico, scopre in esso la presenza di Dio che lo salva. Leggere la storia come storia di salvezza vuol dire scoprire l’azione misericordiosa di Dio negli avvenimenti personali e collettivi. Dio è amore e il suo manifestarsi agli altri si fa misericordia. Questa è l’esperienza che si verifica nel corso della tradizione dell’umanità.
La misericordia si incarna; questa è la lettura che possiamo fare quando sottolineiamo che Gesù è frutto dell’azione misericordiosa di Dio.
Sant’Ignazio di Loyola, nel testo degli Esercizi Spirituali (ES 101 e 109), contemplando l’incarnazione invita chi fa gli esercizi a considerare le tre persone divine e ad ascoltare ciò che dicono: “Facciamo la redenzione del genere umano” come risposta del loro sguardo misericordioso su “tutta la faccia e rotondità della terra, e su tutte le genti che sono in tanta cecità e come muoiono e scendono all’inferno” (ES 106).
La risposta dello sguardo misericordioso di Dio sull’umanità lo porta a compiere l’incarnazione (ES 108). Sant’Ignazio ci rimanda a nostra Signora e all’angelo che la saluta: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Concepirai e darai alla luce un figlio, e lo chiamerai Gesù” (Lc 130-31). Sant’ Ignazio termina la contemplazione con un colloquio in cui si deve chiedere di “seguire e imitare nostro Signore, così nuovamente incarnato” (ES 109).
Dio che è amore si fa misericordia nella persona di Gesù. La misericordia si fa carne in Gesù di Nazareth. Vorrei attirare l’attenzione sull’espressione “così nuovamente incarnato” di sant’Ignazio, poiché vuol dire prendere atto che in Gesù Cristo noi ci facciamo misericordia.
Da Dio a Gesù, da Gesù a noi, ecco l’azione dell’amore misericordioso di Dio. La misericordia, come afferma papa Francesco, «è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato» (MV 2). Inoltre, che «la misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona» (ib 3).
Siamo chiamati ad amare; siamo stati creati a immagine e somiglianza del nostro Dio. Ciò significa che a somiglianza di Gesù i cui gesti e le cui parole furono rivelazione della misericordia di Dio, anche noi “in cui lo Spirito “nuovamente incarnato” agisce, siamo azione misericordiosa dell’amore di Dio.
Diventiamo testimoni di Cristo
Se vogliamo essere misericordiosi dobbiamo essere uomini e donne di preghiera, avere una relazione molto stretta con la persona di Gesù per imparare così, come lui da suo Padre, a chinarci con riverenza davanti al dolore e alla sofferenza dell’umanità.
La misericordia ci viene da Dio nella persona del Figlio. «Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre» (MV 1). Questa è la testimonianza che, consegnata nei vangeli, giunge oggi fino a noi.
In Gesù costatiamo che la misericordia diventa realtà, le sue opere e parole sono espressione dell’amore misericordioso di Dio. «Un amore che si dona gratuitamente. Le sue relazioni con le persone che lo avvicinano manifestano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie, soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, avvengono all’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione» (MV 8).
Ogni brano narrato dagli evangelisti sulla vita di Gesù lascia trasparire questo amore che diventa azione. La scelta di qualsiasi parabola per la nostra preghiera ci manifesta che questo sentimento sgorga dal più profondo della sua esistenza: sembra scaturire dalle sue viscere, dal profondo della sua intimità che salendo in superficie diventa guarigione e perdono, tenerezza e compassione, indulgenza e riconciliazione.
Questa è l’opera di Gesù, il risultato del suo sguardo misericordioso che lo portava a rispondere, in ogni situazione e circostanza, ai bisogni più sentiti di coloro che lo avvicinavano.
Essere testimoni della misericordia vuol dire essere discepoli missionari di Cristo, uomini e donne che lasciano agire dentro di sé il suo Spirito. Dal Padre al Figlio, dal Figlio a noi, la misericordia diventa impronta di filiazione. Siamo figli nel Figlio, con il nostro modo di agire al modo di Gesù: misericordiosamente.
È in questa maniera che la misericordia diventa ragion d’essere, criterio ultimo e ideale vitale della nostra fede. Comprendiamo la misericordia come un agire di Dio verso di noi poiché in Gesù suo Figlio, la misericordia si è incarnata nei suoi fatti e nei suoi detti, nelle sue azioni e parole. Gesù, operando l’amore misericordioso, lo rende realtà, vita concreta, possibilità verificabile nella quotidianità. La misericordia rende credibile la nostra fede. “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7).
La misericordia, l’agire di Dio in noi
La misericordia sgorga dalle profondità del nostro essere umanità. Si tratta di un sentimento intimo, viscerale, un “sentire con il cuore” affranto e umiliato di fronte alla sofferenza dell’altro.
Per questo ci sentiamo imbarazzati se pensiamo che misericordia voglia dire sentire compassione, ma la risposta mi lascia come ero prima. La mia reazione di compassione verso l’altro mi lascia tranquillo davanti a ciò che poteva turbarmi. La risposta mi mantiene nel mio habitat soddisfatto per ciò che ho fatto e nella tranquillità che avevo prima dell’incontro con quella persona colpita, ferita, sofferente o dolorante.
La misericordia commuove al di dentro, vale a dire, mi spinge a rispondere in maniera commossa. La prima cosa consiste nel fare miei la ferita, il dolore e la sofferenza dell’altro. È un sentire come proprio ciò che sente l’altro che è vittima. Fare mio il suo vuol dire prendere su di sé la sua la situazione e la realtà che ha infranto la sua esistenza. È fare propria la sua vita distrutta, infranta, spezzata.
La misericordia scaturisce così da un movimento di appropriazione naturale del dolore e della sofferenza dell’altro. Esco da me stesso per fare mio ciò che è dell’altro, in una solidarietà esistenziale di comunione.
La misericordia mi porta a rispondere in modo da alleviare, calmare, sostenere, aiutare, risolvere in certa misura e in qualche modo le rotture, le rotture e le ferite di quella persona sofferente.
La misericordia ci trasforma dal di dentro, ci induce a non accontentarci, a non rimanere indifferenti davanti alla situazione di chi è indigente, privo di difesa e vittima, di cui siamo testimoni. Né mettendo a tacere la coscienza con palliativi assistenzialisti e compassionevoli, né scaricando sugli altri la responsabilità di una risposta resa unica e non trasferibile per la nostra esistenza, ora commossa.
Si tratta di un movimento che cerca di rispondere, di risolvere e fare nostro il suo dolore e la sua sofferenza per liberare l’altro da ciò che lo riguarda e opprime. La misericordia nasce così da un movimento che induce a fasciare le ferite, a curare le miserie dell’altro. Esco da me stesso per offrire una doverosa attenzione e solidarietà esistenziale di liberazione.
È così che la misericordia si manifesta in noi in maniera concreta in forza di questa dinamica di solidarietà, a partire da un movimento centripeto di appropriazione e da un movimento centrifugo di donazione. Comunione e liberazione di fronte alle situazioni di precarietà e di sofferenza. La misericordia si traduce in gesto e parola di consolazione, in risposta alle invocazioni di aiuto, e mitiga ogni privazione della dignità.
Uscire, l’azione propria della misericordia
Ritengo che la misericordia si esprima in maniera dinamica nell’intimo dell’essere umano. Ciò significa che l’amore misericordioso di Dio operante in ciascuno di noi mediante il suo Spirito, fa sì che ogni persona intraprenda dentro di sé un’esperienza di pellegrinaggio. Uscire da noi stessi, metterci in cammino è già un segno dell’amore misericordioso di Dio che ci trasforma.
Il primo movimento avviene nel nostro intimo. Uscire dai propri ragionamenti, affetti e dalle proprie inclinazioni. Si tratta di prendere coscienza del modo con cui l’amore misericordioso di Dio in noi fa sì che possiamo lasciare i nostri pregiudizi, abbandonare i nostri voleri e lasciare le nostre giustificazioni. Sperimentare la misericordia in noi è un atto che libera dalle nostre paure e dai nostri vincoli, dai nostri stessi giudizi e atteggiamenti, dai nostri fantasmi e progetti fallaci.
Dentro il cuore, la misericordia ci fa uscire da noi stessi, vale a dire è un decentrarsi, un uscire dalla nostra autoreferenzialità e dalla autosufficienza che ci chiude nel nostro ego, giungendo a soffocare nell’egoismo ed egocentrismo. Questo movimento interiore di uscita da noi stessi avviene nel silenzio, nell’intimità della coscienza e nel cuore di chi si sente toccato da Dio e fa sì che il centro della sua vita sia Gesù Cristo.
Uscire dalla nostra realtà di peccato è opera della misericordia, ci aiuta a riconoscere il nostro peccato, ci spinge ad uscire da situazioni che ci soffocano e asfissiano, fa in modo che si metta allo scoperto ciò che intorbida e intorpidisce la nostra autenticità e dedizione.
Il secondo movimento si verifica all’esterno di noi. L’azione dell’amore misericordioso di Dio ci invia all’incontro con gli altri, a cogliere il loro dolore e la loro sofferenza, ci rende sensibili in una maniera compassionevole tale da suscitare solidarietà e giustizia, soprattutto con coloro che sono nel bisogno.
All’esterno del cuore, la misericordia ci spinge ad uscire da noi stessi per andare incontro agli altri. L’azione dell’amore misericordioso di Dio ci mette in uno stato di esodo, in un desiderio di metterci in cammino per incontrare gli altri. Questo movimento esterno si realizza nel servizio, nella relazione con gli altri, nella socializzazione e condivisione di ciò che siamo e abbiamo.
Allo stesso modo, la misericordia ci induce ad uscire all’incontro dell’altro, del nostro ambito, dell’ambiente e della natura che ci circonda, di quella casa comune che costituisce il nostro habitat. L’incontro con la creazione e le creature è opera dell’amore misericordioso di Dio nell’uomo, e lo porta all’ammirazione, contemplando l’opera di Dio e ad inchinarsi davanti alla sua protezione e custodia.
Dal basso, il dinamismo proprio della misericordia
L’esperienza della misericordia ci induce ad uscire da noi stessi per andare incontro agli altri con uno sguardo che induce a fare nostra la loro esperienza concreta e la loro situazione.
La misericordia ci rende sensibili in maniera particolare davanti al dolore e alla sofferenza dei nostri simili. Si tratta di una sensibilità che va oltre al saper cogliere la loro condizione di persone indifese, il loro stato di vulnerabilità e di vittime. L’azione della misericordia ci porta a sentire e a fare nostro il loro dolore.
Si tratta di sentire interiormente la loro situazione, di fare propria la loro fame, miseria, nudità e infermità. La misericordia ci spinge a rispondere, ad abbracciare l’altro, nella sua realtà ferita, percossa e umiliata, perché le sue ferite, le sue percosse e le sue umiliazioni le abbiamo fatte anche nostre. Ce le prendiamo sulle spalle non come qualcosa di esterno, ma per far nostra la sua realtà vitale.
È per questo che la nostra risposta sgorga da un cuore affranto e umiliato, capace di abbassarsi per comprendere, perché abbiamo fatto nostra l’afflizione e l’umiliazione del fratello. Solo quando giungiamo a guardare con il cuore, con un cuore misericordioso, possiamo cogliere ciò che la vita ci sta dicendo.
Se consideriamo questa realtà in maniera più dettagliata, riusciremo a capire cosa avviene in noi quando ci lasciamo portare dalla misericordia. Anzitutto, l’amore misericordioso di Dio che agisce dentro di noi fa sì che non possiamo girare al largo di fronte al dolore e alla sofferenza dell’altro. Vale a dire, l’indifferenza, l’intolleranza, l’abulia e l’apatia non sono atteggiamenti della persona in cui opera la misericordia.
In secondo luogo, la dinamica della misericordia ci porta a fare nostra quella situazione di noncuranza. Si tratta di sentire interiormente, nel profondo di noi stessi ciò che l’altro sta soffrendo. E, in terzo luogo, la misericordia, tradotta in azione, ci induce a rispondere cercando di lenire il dolore e la sofferenza dell’altro.
Il comune denominatore di questo modo di agire è di abbassarsi per metterci sullo stesso livello di chi soffre. Non possiamo comportarci in maniera misericordiosa se rimaniamo nella nostra situazione di comodità o di soddisfazione, quando non ci lasciamo commuovere, quando sentiamo senza ascoltare o guardiamo senza vedere, quando ci lasciamo portare dalla compassione e vogliamo rispondere per risolvere quello che ci disturba e ci ha fatto perdere, per un momento, la tranquillità del nostro benessere.
La misericordia si fa incontro, abbraccio, riconciliazione
Uno dei modi con cui opera in noi l’azione dell’amore misericordioso di Dio è l’accoglienza. Vale a dire, l’amore di Dio si esprime in noi attraverso azioni concrete e una di queste è l’accoglienza. Saper accogliere gli altri e l’altro è una conseguenza della misericordia che agisce in noi. L’abbandono fiducioso nelle mani di Dio ci rende capaci di agire in maniera misericordiosa nel rapporto con gli altri. Possiamo definire questa accoglienza un incontro di abbraccio e di riconciliazione.
Accogliere è incontrare. Uscire all’incontro è frutto dell’azione dello Spirito in noi. Cosa avviene nel nostro intimo per farci accorrere con prontezza e premura davanti al dolore e alla sofferenza del prossimo? Metterci in cammino verso gli altri, soprattutto verso coloro che soffrono, è frutto dell’azione dello Spirito. Avviene in modo naturale, spontaneo e generoso, scaturisce dal cuore uscire per andare incontro, mettersi in cammino, andare in strada, e in alcune occasioni lasciarci incontrare.
Accogliere è abbracciare. Si tratta di condividere la mia vita con l’altro, nella sua realtà e situazione. Il gesto di abbracciare implica fare mia, farmi carico della vita dell’altro. “Sono con te” “conta su di me”, “abbandonati a me”. L’affetto diventa concreto nella risposta solidale di voler fare nostri il suo dolore e la sua sofferenza. L’abbraccio viene dalla prossimità, non è frutto della consanguineità, del genere, della lingua o religione, ma di un cuore la cui sensibilità porta a fare propria la vita dell’altro, in alcune occasioni fino a donarla.
Accogliere è riconciliare. Ciò che è diviso si unisce, ciò che è spezzato e infranto torna al suo stato, la ferita è risanata. Da qui deriva l’impegno ad unire e a evitare ogni schema dualista che ci ha indotto a fare della realtà un artificio di buoni e cattivi, colpevoli e vittime, stigmatizzando, minimizzando o massimizzando situazioni, avvenimenti e persone.
Il cuore si riconcilia nella verità e nella memoria, nella responsabilità e giustizia. Nell’assumere i crocifissi e le vittime, che sono un prodotto del peccato. La riconciliazione ci porta alla conversione facendoci passare dal peccato alla grazia.
Per questa ragione, la conversione del cuore, il cambiamento di vita e l’impegno per la giustizia sono l’effetto di un cuore che è stato toccato dall’amore misericordioso di Dio, di un cuore che affidato alla volontà di Dio è condotto a fare del suo essere e operare una trasparenza di questo agire misericordioso.
La giustizia si fa perdono in forza della misericordia
La misericordia diventa realtà in forza del perdono che possiamo interpretare semplicemente come dimenticanza dell’offesa, non castigo per il reato commesso o non imposizione della pena di fronte all’errore compiuto. Il perdono deriva dalla misericordia che porta all’apertura del cuore e induce ad uscire da noi stessi e ci pone in un atteggiamento di servizio.
La misericordia ricostruisce dal di dentro, fa sì che il cuore del peccatore che ha vissuto facendo del male, giunga a compiere il bene in maniera reale, contribuendo al tessuto fraterno. Possiamo perciò affermare che l’azione dell’amore misericordioso di Dio ci riedifica pienamente, perché conduce colui che ha vissuto facendo del male a fare del bene agli altri e nel suo ambiente.
Il perdono che deriva dalla misericordia passa attraverso la giustizia. Una giustizia umana, mentre camminiamo con la sete e il desiderio di raggiungere la giustizia che ci viene da Dio. Ciò significa che dobbiamo superare la giustizia distributiva, commutativa e punitiva, legale o restauratrice. Resta in noi la convinzione che colui che ha commesso un reato deve pagarlo, in proporzione al danno perpetrato. Ma se il cuore vuole arrivare alla giustizia divina, deve passare attraverso il perdono che non possiamo ridurre al non castigo o alla non imposizione della pena a chi ha provocato il danno agli altri.
Il perdono mira alla trasformazione del cuore a partire dal cuore stesso. Ciò significa che esso agisce a partire dal nostro intimo nella ricerca di apertura e nell’atto di uscire da sé, da noi stessi. Si tratta della docilità al modo di agire amorevole di Dio che ci fa uscire da noi stessi e ci invia al servizio degli altri.
Il perdono ci rigenera dal di dentro, nel profondo della nostra esistenza. L’azione del perdono avviene nell’intimo di noi sul piano del cambiamento, della conversione e di una trasformazione radicale che ci spinge ad uscire da noi stessi e ad abbandonare ogni affetto disordinato, ogni inclinazione al male, ogni tendenza a tornare su noi stessi, a chiuderci, isolarci e rifugiarci nelle nostre bramosie e nei nostri interessi. In questo modo il perdono ci apre all’azione amorevole di Dio che ci fa uscire, ci induce a metterci in cammino e a peregrinare al servizio degli altri.
L’amore misericordioso di Dio ci rigenera in maniera piena e definitiva in Gesù Cristo. È il miracolo della misericordia di Dio in noi. Il perdono che ci porta a vivere l’amore che si fa bontà, bellezza, verità, servizio e comunione con coloro che nella loro vita erano dediti al male, all’egoismo, alla menzogna, alla disonestà e alla disunione.
Chiamati a evangelizzare mediante la misericordia
Dopo il cammino compiuto, possiamo affermare qual è il nostro modo di agire, in quanto cristiani e cristiane, religiosi e religiose, e come compierlo alla maniera di Gesù. Ciò significa che dobbiamo operare in maniera misericordiosa. Chinarci davanti ai malati, feriti, miserabili; davanti a coloro che sono privati della loro dignità. Agire verso di loro in maniera misericordiosa vuol dire fare nostri il loro dolore e la loro sofferenza, la loro miseria e infermità, il loro grido di aiuto.
Diventa impegno di misericordia testimoniare oggi la fede, rendere ragione del Dio in cui crediamo. Si tratta di una Chiesa che assume la responsabilità di impregnare il mondo di misericordia, di essere discepoli missionari di misericordia, tutti inviati a proclamare la tenerezza di Dio: siamo una Chiesa samaritana, una vita religiosa samaritana.
Essere Chiesa samaritana significa metterci in cammino verso le frontiere, giungere alle periferie geografiche ed esistenziali che richiedono la nostra presenza. Essere una Chiesa che deve annunciare il vangelo in maniera nuova, a partire dalla misericordia che agisce alleviando e curando, consolando e fasciando le ferite di tante persone, uomini e donne, crudelmente maltrattati dalle realtà ingiuste di sistemi e strutture disumanizzanti.
Essere una vita religiosa samaritana ci porta ad agire con l’amore misericordioso e compassionevole di chi ascolta le invocazioni di un popolo che cerca aiuto. Una Chiesa la cui azione pastorale sia anzitutto manifestazione della tenerezza di Dio che diventa realtà nella protezione e difesa della vita, nell’appoggio e sostegno di ogni impegno per rendere reale la verità e la giustizia, la pace e l’unità, la liberazione e il perdono.
Essere una vita religiosa samaritana ci rende testimoni di indulgenza e di perdono. L’azione dell’amore misericordioso di Dio diventa nella Chiesa liberazione da ogni genere di schiavitù, allontana da ogni chiusura del cuore, da ogni forma di violenza e discriminazione, da ogni indifferenza. Essere ed agire in maniera samaritana ci mette in grado di riconoscere la verità, il pentimento e la dignità delle vittime. La Chiesa è portatrice del perdono che ci viene da Dio senza alcuna esclusione, un perdono che ci induce ad abbandonarci docilmente e in maniera fiduciosa alla sua volontà.
Victor M.Martinez Morales, sj