Prezzi Lorenzo
Dopo Nicolàs Arturo Sosa Abascal
2016/11, p. 5
Dopo l’elezione del nuovo preposito generale dei Gesuiti, p. Arturo Sosa Abascal, la Congregazione generale affronta lo stato della Compagnia e le sfide dell’apostolato. Una intervista a p. Lombardi (2 ottobre) evidenzia l’eredità di p. Nicolás.
Congregazione generale dei Gesuiti
DOPO NICOLÁS
arturo SOSA ABASCAL
Dopo l’elezione del nuovo preposito generale dei Gesuiti, p. Arturo Sosa Abascal, la Congregazione generale affronta lo stato della Compagnia e le sfide dell’apostolato. Una intervista a p. Lombardi (2 ottobre) evidenzia l’eredità di p. Nicolás.
Il 14 ottobre i 212 padri della 36ma Congregazione generale hanno eletto il venezuelano p. Arturo Sosa Abascal, come trentesimo successore di sant’Ignazio. È il primo generale non europeo, anche se i tre suoi predecessori (Arrupe, Kolvenbach e Nicolás) avevano passato la loro vita in Oriente. Uno spostamento geografico e culturale in sintonia con il papato di Francesco e con i mutamenti profondi della Compagnia (16.740 membri) e della Chiesa cattolica. Nato nel 1948 in una importante famiglia di Caracas (suo padre, che portava lo stesso nome, Arturo Sosa, è stato ministro del tesoro e dell’economia all’inizio degli anni ’80), compie i suoi studi di filosofia e teologia all’università cattolica e poi si laurea in scienze politiche all’università statale. La sua formazione ignaziana fra la filosofia e la teologia lo vede presente in una comunità «inserita» a contatto diretto con i poveri. È stato introdotto al cristianesimo conciliare e alla teologia dei poveri emersa dall’assemblea continentale della Chiesa a Medellin (1968), senza peraltro nessuno scontro con la famiglia di origine. Come ci ha scritto un dehoniano venezuelano, p. Manuel Teieira: «Con i suoi compagni si è recato a Roma per l’ultimo anno di teologia per ripensarla a partire dall’inserimento solidale coi poveri nel proprio paese, con un metodo rigoroso». Nominato direttore del Centro Gumilla, direttore della rivista SIC e coordinatore dell’apostolato sociale della Compagnia nel paese, avvia una lunga stagione di insegnamento in diverse università del paese per poi diventare rettore all’Università cattolica di Tachira. Una ventina le sue pubblicazioni e centinaia i suoi articoli. È stato professore anche al Centro studi per l’America Latina dell’università statunitense Georgetown University. Come direttore del Centro Gumilla «ha sviluppato il riferimento a una comunità popolare e a numerosi incontri con comunità di base con una rigorosa analisi storico-politica del paese, culminata nel suo lavoro di dottorato. Contemporaneamente accompagnava un gruppo di universitari per introdurli nell’ambito del servizio culturale e politico». Profondo conoscitore della storia del suo paese e dell’America Latina ha inizialmente guardato con benevolenza il tentativo politico di Chavez, per poi prenderne le distanze.
Fra il 1996 e il 2004 è stato provinciale dei gesuiti in Venezuela. Nel 2008 p. Nicolás lo nomina consigliere generale e assume il ruolo di delegato per le case interprovinciali della Compagnia a Roma. Dal 2014 fa parte della curia generalizia. Nella sua prima omelia (15 ottobre) ha parlato dell’audacia dell’improbabile e dell’impossibile, sulla base della fede. «Conservare e sviluppare il corpo della Compagnia è strettamente legato alla profondità della vita spirituale di ciascuno dei suoi membri e delle comunità nelle quali condividiamo la vita e la missione con i compagni. Allo stesso tempo ci vuole una straordinaria profondità intellettuale per pensare creativamente i modi attraverso i quali il nostro servizio alla missione del Cristo Gesù può essere più efficace». E i gesuiti lo possono fare se collaborano con tutte le altre forze ecclesiali, «nella consapevolezza, proveniente dall’esperienza di Dio, di essere chiamati alla missione del Cristo Gesù, che non ci appartiene in esclusiva, ma che condividiamo con tanti uomini e donne consacrati al servizio degli altri». Membri di un corpo multiculturale non dobbiamo «smettere di proporre le domande pertinenti alla teologia e approfondire la comprensione della fede che chiediamo al Signore di aumentare in noi».
P. Lombardi: il lascito di Nicolás
– Dopo la seconda «dimissione» (Kolvenbach e Nicolás) del preposito generale si modificheranno le Costituzioni? Il preposito generale non sarà più a vita?
«La elezione del generale nella Compagnia, secondo le Costituzioni, rimane a vita, cioè senza scadenza temporale; ma da diverso tempo è stata prevista una procedura affinché, se con l’avanzare dell’età o per altre cause le forze del generale diventassero meno adeguate all’esercizio della grande responsabilità del governo, sia possibile procedere serenamente a una rinuncia. Questa procedura prevede che il generale, quando valuti che la rinuncia sia opportuna, faccia certi passi di consultazione fra i suoi più stretti collaboratori e fra i provinciali, e poi comunichi il suo proposito all’intero Ordine, in modo che si prepari la Congregazione generale per l’accettazione della rinuncia e l’elezione del successore. Naturalmente il generale provvede anche ad informare opportunamente il Papa del suo proposito. Sia il p. Nicolás, sia il p. Kolvenbach, hanno avviato la procedura per la rinuncia in modo tale che l’avvicendamento potesse avvenire intorno al loro 80° anno di età, e tutto si è svolto molto serenamente. Perciò attualmente non appare necessario mettere in discussione il punto delle Costituzioni di sant’Ignazio che prevede l’elezione ad vitam. Sia i gesuiti stessi, sia i papi, hanno preferito che finora non sia modificato un documento fondazionale importante come le nostre Costituzioni in un loro punto caratteristico, ma non c’è alcuna difficoltà a prevedere disposizioni e procedure adatte per far fronte alle nuove situazioni».
Quali sono gli elementi maggiori di generalato di p. Nicolás?
«Il p. Nicolás ha avuto un generalato non lungo (otto anni e mezzo circa), ma intenso, che lascia certamente un’eredità ricca e stimolante. È difficile sintetizzarla in breve. Due parole che ci ha ripetuto molto spesso e che ci sono entrate nel cuore sono “universalità” e “profondità”. Egli ha cercato veramente di farci sentire un corpo apostolico “universale”, sia nel senso che è costituito da religiosi di moltissime diverse nazioni e culture ma con una comune vocazione religiosa, sia ancor più nel senso che è un corpo nato per ricevere missioni per tutta la Chiesa, per ogni necessità dei nostri fratelli e sorelle su tutte le frontiere. Perciò ci ha spinto continuamente a superare provincialismi, nazionalismi, individualismi, per desiderare di essere a disposizione con totale generosità per quanto il Papa o la Chiesa ci chiedano. E poi ci ha raccomandato sempre “profondità”, cioè superare superficialità e “distrazione”, per coltivare una vita interiore intensa, nutrita di spiritualità, di discernimento, di riflessione e di studio, che ci renda capaci di cercare e trovare i segni della presenza di Dio e della sua volontà per noi e per tutti coloro che incontriamo nel nostro servizio per l’annuncio del Vangelo, per il dialogo e la ricerca di una maggiore giustizia».
Sequela e coscienza ecclesiale
– P. Nicolás in una intervista recente ha richiamato quanti nella Chiesa hanno rilevanti responsabilità pastorali e dottrinali a rispettare le indicazioni di riforma di Francesco…
«Penso che si riferisca alle diverse forme di resistenza o di diffidenza che si possono riscontrare verso la guida di papa Francesco. Certamente il dibattito sinodale è stato intenso e ha manifestato che il cammino verso il consenso su temi pastorali importanti e attuali non è facile da raggiungere. Mi pare che a volte si tratti di una difficoltà ad assumere una impostazione e un approccio che sono molto impegnativi. Che cosa vuol dire vivere davvero un accompagnamento spirituale di persone in situazioni difficili, ed esercitare con loro il “discernimento” per “cercare e trovare” la volontà di Dio? Fare riferimento a una serie di regole chiare che dividano il bianco dal nero può sembrare più facile, ma non è così che si prende in carico la realtà concreta vissuta dalle persone. Perciò il Papa dice ai gesuiti di aiutare la Chiesa a entrare in questa diversa prospettiva e per questo chiede loro di essere – come dovrebbero essere – guide per apprendere ed esercitare il “discernimento”. A volte invece le resistenze sono di genere più “rozzo”, come la difficoltà a uscire da un atteggiamento “clericale”, a vivere fino in fondo l’umiltà del servizio, della collaborazione con gli altri, della semplicità di vita. Le tentazioni del potere e dell’avere hanno spesso forme sottili che si insinuano anche nella vita della Chiesa e suscitano reazioni a una presentazione molto schietta e diretta delle esigenze evangeliche nella vita quotidiana».
– Che significa la “migrazione” dei gesuiti verso l’Asia e l’Africa?
«Lo spostamento dei numeri dei gesuiti, in percentuale e in assoluto, verso Asia e Africa può essere visto anche come un bel segno, perché rende la Compagnia di Gesù più capace di orientare il suo impegno verso il continente dove vive la maggior parte dell’umanità (l’Asia) o dove la crescita del numero dei cristiani è più grande e rapida (l’Africa), e la costringe a diventare sempre meno eurocentrica. In fondo l’elezione del primo Papa non europeo dei tempi moderni corrisponde pure al tramonto dell’eurocentrismo. Ciò non vuole dire naturalmente che non ci sia più motivo di impegnarci in Europa o nell’America del Nord. Anzi, il servizio della fede nel mondo secolarizzato, caratterizzato dal dominio del potere economico, della tecnica e della cultura moderna della comunicazione, per continuare a riconoscere i segni della presenza e dell’opera di Dio in un contesto che sembra dimenticarlo o diventare del tutto indifferente verso di lui, e in cui la persona umana sembra libera, ma soffre di grandi malattie spirituali, di solitudine e di nuove schiavitù…tutto ciò è una grandissima sfida, che riguarda non solo l’Europa, ma anche molte altre regioni del mondo globalizzato. E anche partecipare alla trasformazione culturale e spirituale dell’Europa sotto la spinta delle migrazioni e della globalizzazione, tenendo viva la dinamica dei valori evangelici e dell’eredità cristiana, richiede un impegno di riflessione e di impegno intellettuale e culturale di prim’ordine a cui i gesuiti europei non possono rinunciare».
Un corpo mondiale e multiculturale
– La decrescita in Occidente obbliga a chiusure dolorose di opere anche importanti. Con quale atteggiamento procedere?
«Il p. Nicolás ha invitato frequentemente i provinciali e le “Conferenze dei provinciali” (che riuniscono i provinciali di un continente o di una grande area geografica e sono attualmente sei) a riflettere continuamente sull’insieme della opere e attività apostoliche nelle aree di loro competenza, in vista di ridurre un fronte spesso troppo ampio, con il rischio di portare al superlavoro dei confratelli o alla dispersione delle forze…Ciò soprattutto dove la riduzione del numero dei gesuiti è più sensibile. Altrove, come in Vietnam, dove la crescita è rapidissima, il fronte si potrà allargare… ma in molti casi bisogna tener conto della realtà e saper “chiudere”, nel senso di rinunciare ad essere presenti in tutti i luoghi in cui lo eravamo. Ma attenzione, il fatto che un’attività non possa più essere condotta da gesuiti non vuol dire necessariamente che debba scomparire. In diversi casi, se è vitale e se è ben inserita nel contesto ecclesiale, se è stata vissuta in spirito di collaborazione con altri, può passare in altre mani o trasformarsi. E poi è molto importante che ciò che si è fatto non sia stato considerato come un nostro possesso. Se è stato così, lasciarlo è necessariamente una morte. Ma se è stato vissuto come un servizio per aiutare le persone e la comunità ecclesiale a crescere nel loro rapporto con Dio e nella loro maturità umana e cristiana, nulla di ciò che è stato fatto andrà perduto, anche se noi non ci saremo più. Come ogni credente deve imparare a morire personalmente nella speranza, così anche ogni opera umana per quanto bella e grande. Avremo fatto quello che dovevamo fare e affidiamo al Signore con fiducia il futuro delle persone che ci sono state care e per cui ci siamo impegnati. La libertà di spirito e la disponibilità a partire e ad andare altrove sono la premessa del rinnovamento continuo nella Chiesa. La promessa della durata nella storia, il Signore l’ha fatta alla Chiesa e non a ognuna delle nostre comunità e neppure alla Compagnia di Gesù. Noi siamo stati chiamati per una missione per la Chiesa e nella Chiesa, che è più grande di noi e che continua anche dopo di noi accompagnata dal Signore».
Lorenzo Prezzi