Missionarie per sempre
2016/10, p. 32
Erano innamorate di Gesù e avevano nel cuore la
passione per l’Africa. Hanno saputo armonizzare insieme i
loro impegni missionari con una profonda vita spirituale,
fatta di preghiera e di fedeltà alla loro consacrazione.
Diverse per provenienza e temperamento, il Signore le ha
unite nel medesimo martirio.
Le tre suore saveriane uccise in Burundi
MISSIONARIE
PER SEMPRE
Erano innamorate di Gesù e avevano nel cuore la passione per l’Africa. Hanno saputo armonizzare insieme i loro impegni missionari con una profonda vita spirituale, fatta di preghiera e di fedeltà alla loro consacrazione. Diverse per provenienza e temperamento, il Signore le ha unite nel medesimo martirio.
Il 7 settembre scorso si sono compiuti due anni dalla tragica uccisione delle tre suore saveriane in Burundi: Olga Raschetti, Lucia Pulici, Bernardetta Boggian. Era domenica, una giornata che doveva essere doppiamente gioiosa: perché giorno del Signore e perché era presente in comunità sr. Mercedes Murgia, responsabile delle Missionarie saveriane del Congo e del Burundi, venuta ad accogliere nel pomeriggio due suore, Marie Dukuze e Anna Maria Oppo, di ritorno dal Capitolo generale, con una giovane italiana che veniva per continuare la sua formazione missionaria in Congo. Invece è stato un giorno tragico, di lutto, di dolore e costernazione.
La casa editrice EMI ha pubblicato ora un libro a cura della saveriana Teresina Caffi, intitolato Va’, dona la vita!, che raccoglie le vicende di queste tre missionarie, innamorate dell’Africa, e racconta sulla base di numerose testimonianze e soprattutto dei loro appunti, trovati dopo l’assassinio, il sorgere della loro vocazione missionaria in età giovanile, le loro attività in terra di missione, la loro vita spirituale, il desiderio di donare tutta la loro esistenza a Dio. Descrive, inoltre, i tratti della loro personalità, diverse l’una dall’altra, ma cementate dallo stesso ardore missionario, vissuto fiduciosamente nella quotidianità, in mezzo spesso a tanti pericoli.
Leggendo queste pagine è venuto spontaneo pensare a ciò che il Papa aveva detto all’Angelus il 14 agosto scorso, memoria liturgica di p. Massimilano Kolbe, morto nel lager nazista di Auschwitz nel 1941: «In questo momento, penso e con ammirazione soprattutto ai numerosi sacerdoti, religiosi e fedeli laici che, in tutto il mondo, si dedicano all’annuncio del Vangelo con grande amore e fedeltà, non di rado anche a costo della vita. La loro esemplare testimonianza ci ricorda che la Chiesa non ha bisogno di burocrati e di diligenti funzionari, ma di missionari appassionati, divorati dall’ardore di portare a tutti la consolante parola di Gesù e la sua grazia. Questo è il fuoco dello Spirito Santo».
Le tre suore saveriane non erano certo delle burocrati, ma persone appassionate e divorate dall’ardore missionario. Portavano nel cuore un fuoco d’amore, la cui scintilla era scoccata quando ancora erano molto giovani, in famiglia. Per raccontare le loro vicende bisogna ripartire proprio da qui. Sia Olga, sia Lucia e Bernardetta sono cresciute in famiglie numerose, laboriose, profondamente cristiane. Erano ragazze serie, allegre e impegnate. Un giorno è stato chiesto a Olga: “Che cosa ti ha fatto felice nella vita?”. «La mia famiglia», ha risposto. La sua era composta di dodici fratelli, otto maschi e quattro femmine. In casa c’era sempre posto per la carità. Non c’era povero che passasse senza ricevere un po’ di farina o di patate, di latte o altro cibo.
Anche Lucia proveniva da una famiglia numerosa. Trascorse, dicono le testimonianze, una giovinezza allegra. Frequentava l’oratorio e partecipava alla iniziative della parrocchia.
Lo stesso si può dire di Bernardetta. Già da bambina era buona e faceva la carità a tutti, a tutti dava una carezza, testimonia di lei una sua compaesana diventata poi anche lei suora.
In un clima così sereno e laborioso sbocciò presto in ciascuna di esse il desiderio di diventare missionarie. Olga si sentì attratta dall’istituto delle saveriane. Fu accolta il 2 luglio 1960. Sei anni dopo, nel 1966, nella domanda di essere ammessa alla professione perpetua, scrisse così alla Madre Celestina Bottego, fondatrice, nel 1945, delle Missionarie saveriane: «Spero di essere accolta, affinché tutta la mia vita sia a disposizione di Dio e delle missioni nelle mani dei superiori».
La stessa gioia fu quella di Lucia. Entrò anche lei tra le saveriane nello stesso anno. Ripensando a quel momento, più tardi, nell’ottobre 2013, ultimo della sua vita, scriverà: «Fin dall’inizio della mia vocazione, il mio “sì” è stato a Dio, a Gesù. Dopo aver sentito il suo amore personale per me, giunto fino alla croce, mi è sembrato che la risposta più adatta fosse la consacrazione e che il luogo per viverla fosse la vita missionaria».
Anche Bernardetta si sentì animata dallo stesso desiderio di diventare missionaria. In una lettera al suo parroco, don Camillo Zaramella, confidava: «Il pensiero che nel mondo due miliardi e mezzo di miei fratelli non potevano amare Gesù perché non lo conoscevano e quindi erano in pericolo di perdersi, ritornava nella mia mente, dandomi un’inquietudine, un tormento». Nel 1961 entrò tra le saveriane. Quando nel 1965 emise i primi voti, nell’immaginetta ricordo scrisse: «Gesù, mi hai chiamato, ecco, vengo. Sono tua», e sul retro: «Nella semplicità del mio cuore ho offerto lietamente tutto».
Diverse come carattere e temperamento, una volta giunte in Africa, le loro vite si intrecciano pur vivendo a volte in comunità separate ed esercitando un apostolato anch’esso diverso: Olga avrà come campo apostolico soprattutto la catechesi; Lucia opererà come ostetrica, mentre Bernardetta sarà chiamata ad assumere vari incarichi a nome dell’Istituto e dovrà spesso viaggiare. Si ritroveranno poi insieme in Burundi dove la comune passione per le missioni e l’amore per l’Africa si compiranno con il versamento del loro sangue.
Olga
Il sogno che Olga aveva fin da bambina di partire un giorno per l’Africa si realizzò nel 1968. Il Congo fu il suo primo amore. «L’impatto con questo paese – scrisse – fu per me emozionante... Provai una grandissima gioia nell’incontro con tantissimi bambini, radiosi, con donne dal portamento signorile, con uomini rispettosi. Mi dissi: sono arrivata nel più bel paese del mondo». Erano anni difficili. Il paese era in preda a convulsioni politiche, sfociate poi in una guerra. Olga vive la sua missione passando da una comunità all’altra, ma dovrà anche fare i conti con problemi di salute che ogni tanto l’obbligheranno a tornare in Italia per curarsi. Ma il suo cuore era sempre laggiù, tanto che la gente diceva: “Olga ha il mal d’Africa”.
Nel 1992 la troviamo a Uvira, sulle sponde del lago Tanganika, dove svolge attività catechistica. «A Uvira – si legge in una testimonianza – Olga era la mamma di tutti i bambini della catechesi, seguiva tutti i percorsi di preparazione ai sacramenti. La si vedeva sempre in motorino, anche sotto il sole cocente, sempre sorridente. Si fermava spesso per strada per chiedere. “come va”? Al suo ritorno in comunità, raccontava degli innumerevoli incontri e del suo lavoro con i catechisti». «La ricordo, dice un’altra testimonianza, che andava col suo motorino dai catechisti nei luoghi di catechesi: al pomeriggio andava a trovare le famiglie dei bambini che avevano abbandonato il catechismo».
Era una vera catechista. Ma aveva una grande cura anche per la sua formazione spirituale. Si era tracciata un programma di vita che fosse conforme al disegno di Dio e al suo amore: fedeltà a questo amore, imparare ad ascoltare, rispetto per tutti soprattutto per i poveri e i vecchi, dominio di me stessa, non giudicare, saper tacere; povera per farmi libera, distacco, libera dentro, non lasciarmi condizionare dagli altri, accettarmi così come sono... vigilare, pregare...
L’obbedienza la condurrà poi in Burundi. Tra i suoi numerosi pensieri spirituali troviamo scritto: «O Signore, Dio di bontà, ricevi i miei limiti e trasformali in umiltà. Ricevi le mie paure e trasformale in fiducia. Ricevi la mia sofferenza e trasformala in crescita ». Aveva anche trascritto alcuni stralci del testamento di Madre Teresa di Calcutta: «Tutto quello che ti chiedo è che ti abbandoni a me completamente. Io farò il resto...». Le piacevano tanto le parole del canto “Ecce venio ad te che dice: “Ecco, vengo a te, dolcissimo Signore, che ho amato, che ho cercato, che ho sempre scelto, dolcissimo Signore”.
Tutte le testimonianze concordano nell’affermare che Olga era una persona di profonda vita di preghiera. C’era un canto che amava cantare spesso negli ultimi tempi, perché sentiva che corrispondeva ai suoi sentimenti più profondi: “Ho udito il Signore che diceva: “Chi manderò?”. Ho detto al Signore con gioia: “ Se vuoi, manda me”. “Va’, parla al mio popolo; va’, pasci il mio gregge; va’, dona la vita». E Olga ha donato veramente fino in fondo la sua vita.
Lucia
Lucia entra tra le saveriane nel 1964. È infermiera professionale. La sua prima destinazione è il Brasile dove esercita l’attività in un ospedale-maternità. Madre Celestina Bottego le scrive per dirle: «Godo nel sentire che ti sei innamorata delle mamme e dei neonati».
Verso la fine del 1982 la troviamo in Africa, a Uvira, nella provincia congolese del Kivu e quindi nella comunità di Nakaliza, dove vive un momento di particolare sofferenza. Alcune persone l’accusarono presso le autorità di lasciar morire i bambini della loro tribù. Subisce anche un interrogatorio ingiustificato.
In un appunto scrive: «Ho sempre esercitato il lavoro di ostetrica con tanta passione. La nascita di un bimbo mi ha sempre riempito di grande ammirazione e di stupore di fronte alla vita».
Intanto il Signore la sta perfezionando interiormente. Durante un corso di esercizi spirituali a Bukavu, medita sulla triplice domanda di Gesù a Pietro, “mi ami tu?”, la sente come rivolta a sé e scrive in uno delle sue note: «Mi viene voglia di dire a Gesù: “Ma Gesù, sono già 32 anni che sono nella vita religiosa (...). A te mi sono donata con tutta me stessa. (...) Vorrei che tu mi spiegassi un poco di più, e invece non aggiungi altro e continui a dirmi: “Lucia, voglio entrare nella tua vita”. Vorrei dirti con tutto il cuore, con tutta la mia anima e con tutte le mie forze: Vieni,vieni, vieni Signore...».
Lucia ebbe a soffrire anche per la sua salute, per problemi cardiaci che l’obbligarono a rientrare in Italia per curarsi, così da poter tornare di nuovo in Africa. In un appunto scrive: «Io vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me». E in un altro: «Tocchiamo con mano che veramente la nostra vita è nelle Sue mani».
Nel 2007 è destinata alla comunità di Kamenge, in Burundi. La salute è sempre più precaria. «Non ho più le energie – osserva – per fare tutto ciò che prima facevo, in un’attività che mi appassionava tanto». Prosegue intanto il suo cammino spirituale. Scrive: «Il Signore mi sta vicino e mi sostiene con la sua grazia, misericordia e amore. Sono serena e vivo con serenità il mio quotidiano».
Dopo una delle sue pause in Italia per motivi di salute, ritorna in Africa. Prima di partire, annota: «Negli avvenimenti gioiosi e tristi, ho sempre cercato di restare fedele alla missione per restar fedele alla mia consacrazione. Adesso sto tornando in Burundi, con un fisico debole e limitato, credo però di poter dire che lo slancio e il desiderio di essere fedele all’amore di Gesù per me concretizzandolo nella missione è sempre vivo. La missione mi aiuta a dirgli nella debolezza: “Gesù, guarda, è il gesto d’amore per te”».
Lucia era affascinata dalla bellezza, era un donna di preghiera, appassionata di Dio, innamorata di Gesù e aperta al dono dello Spirito Santo che chiamava “il dolce ospite delle nostre anime!». «La missione – leggiamo nel libro dell’EMI – non era qualcosa di aggiunto a questa ricchezza interiore, ma ne era il frutto. Lucia cercava di conformarsi a Gesù, chiedeva luce e forza per servire ogni giorno i suoi fratelli e sorelle più piccoli, e la grazia di diffondere la misericordia di cui si sentiva avvolta».
Bernardetta
Anche Bernardetta aveva la missione nel cuore. Entra tra le saveriane nel 1961 e terminati gli anni della formazione, nel 1970 giunge alla meta tanto attesa: il Congo, ad Uvira. Trova una situazione politica difficile. Capita anche a lei di essere chiamata in tribunale per tutta una serie di false accuse. In una situazione del genere era stata tentata persino di partire, ma per fortuna ebbe il sostegno delle sue sorelle. «In questo tempo – fa sapere– siamo state spaventate dai ribelli i quali sono passati nei villaggi vicino a noi bruciando, uccidendo, rubando. (...) anche noi abbiamo sempre pronto il nostro fagottino per scappare se disgraziatamente arrivassero».
A Bernardetta furono affidati vari incarichi, tra cui quello di consigliera generale, di formatrice e di superiora di comunità, per cui fu costretta a viaggiare spesso, anche fuori dell’Africa, ma il suo cuore era sempre lì vicino alla sua gente. In una nota del 1997, dall’Italia dove si trovava per seguire alcuni corsi di aggiornamento teologico, mentre in Congo infuriava la bufera, spiega a coloro che le chiedevano perché volesse tornare laggiù: «Torno tra la mia gente. In quest’ultimo tempo il popolo ha tanto sofferto e soffre ancora. Desidero essere lì per farmi vicina a chi è ferito nel corpo e nello spirito...». Nonostante le tante difficoltà, sottolinea: «non ci scoraggiamo»... E aggiunge: «L’aiuto vero lo attingiamo soprattutto dalla preghiera. Al mattino l’invocazione che inizia la preghiera di Lode: “O Dio vieni a salvarmi, Signore vieni presto in mio aiuto!”. Questa supplica ti viene veramente dal profondo del cuore e ti ritorna spontanea durante il giorno...».
A guidarla nella sua vita missionaria sono due valori, come lei stessa confesserà: «la fede e l’attaccamento a Cristo con una vita di preghiera; la stima e il rispetto verso questo popolo e ogni gruppo umano: avere uno sguardo di ottimismo verso questo popolo, saper discernere in esso i segni del Regno. Quando vivo questi valori, essi mi aiutano a vivere la missione con gioia e discernimento».
Nel 2000 la guerra infuria ancora nel paese. «Per grazia del Signore che é qui con noi, scrive a una sua amica, ci si riprende abbastanza in fretta. Tocchiamo con mano che il Signore ogni giorno ci prepara il coraggio e la serenità sufficienti per accogliere e vivere ciò che il giorno dopo la Provvidenza ci prepara».
Nel 2007 si trova in Burundi, a Kamenge, dove sarà nominata direttrice della comunità. La situazione delle gente è di estrema povertà, aggravata dalla disoccupazione, l’Aids, l’alcolismo, la sparizione di persone non gradite. A Bujumbura si nota una massiccia presenza di bambini e adolescenti di strada... ma – sottolinea – «noi missionari dobbiamo essere segno, testimonianza dell’ Amore che Dio ha verso ogni popolo, in qualsiasi attività che mi viene affidata. Attraverso le relazioni quotidiane (un saluto, un interessamento per la loro famiglia) devo porre dei gesti che esprimono l’amore di Dio». Nel 2013, un anno prima di essere assassinata, annota: «La Provvidenza mi ha fatto dono di incontrarmi con diversi popoli e culture, di vedere panorami stupendi. Ho conosciuto persone meravigliose, cristiani e credenti di altre religioni: volti che sfilano davanti a me come una sequenza, facendomi rivivere lo stupore di avere incontrato i semi del Vangelo già presenti».
Bernardetta era piena di umanità e di semplicità e possedeva una grande capacità di ascolto. Era una persona misericordiosa, di riconciliazione e soprattutto di preghiera. Cercava sempre il lato positivo in ogni situazione. Possedeva anche una spiccata vena umoristica. Diceva scherzando: «Non bisogna prendere troppo sul serio la vita». Avvertiva una grande passione per i poveri e per le persone in difficoltà. Diceva: «Io mi sento privilegiata a essere qui accanto a questi fratelli sofferenti e poveri in tutti i sensi, ma nello stesso tempo ricchi di fede, di umanità e pur nella loro indigenza mi insegnano molte cose... Mi accorgo che sono stati i poveri a suscitare in me questa voglia di amare». «Ecco, sono tua», aveva detto un giorno al Signore, consegnandogli senza riserve tutta la sua esistenza, fino alla fine.
«Olga, Lucia, Bernardetta» – conclude il libro dell’EMI: «Tre storie diverse, per radici, formazione, carattere, vicende personali, accomunate da uno stesso fuoco che le ha portate a lasciare le loro case e i loro paesi per cominciare una vita diversa da come avevano inizialmente sognato, ma che avevano scoperto come loro modalità per dire “sì “alla chiamata del Signore».
Ora riposano insieme per sempre in quella terra che avevano tanto amato. Sono come tre semi caduti in terra che l’Africa ha accolto nel suo grembo fecondo dove continuerà a nascere nuova vita. Com’era nel loro desiderio, essere missionarie per sempre.
A. Dall’Osto