Gellini Anna Maria
I poveri sua eredità per sempre
2016/10, p. 26
I poveri sono stati parte essenziale della sua vita. Per i «brandelli di umanità» ha dato tutto, fino al martirio. In silenzio ha vissuto intensamente con determinazione e mitezza, comprensione e tolleranza, coraggiosa nei momenti difficili e audace nell’amore.
Annalena Tonelli: a 13 anni dalla sua uccisione
i poveri
sua eredità per sempre
I poveri sono stati parte essenziale della sua vita. Per i «brandelli di umanità» ha dato tutto, fino al martirio. In silenzio ha vissuto intensamente con determinazione e mitezza, comprensione e tolleranza, coraggiosa nei momenti difficili e audace nell'amore.
Il 5 ottobre 2003 moriva Annalena Tonelli, uccisa a sangue freddo nella sua «amata Somalia»: due colpi di pistola sulla porta di casa, attigua all’ospedale da lei fondato, e due giovani sicari che scappano nella notte, perdendosi come ombre nella cittadina di Borama, nell'estremo nord-ovest del Somaliland, incuneato tra Etiopia e Gibuti.
Quegli occhi di un azzurro profondo in un volto incorniciato dal suo scialle inseparabile, portato – diceva lei – «per rispetto delle donne di laggiù», si chiudevano sotto gli occhi dei suoi poveri, «sua eredità per sempre».
Coraggiosa nella verità
e audace nell’amore
A distanza di 13 anni dalla sua uccisione, le EDB pubblicano la raccolta delle sue lettere, curata da Enza Laporta e Maria Teresa Battistini, da cui traspare la straordinaria grandezza di questa donna consacrata: spinta da un amore incoercibile, ha affrontato ogni genere di pericoli e minacce pur di servire i poveri in terre lontane e venire in loro soccorso. E di minacce, come si può cogliere dalle sue lettere, Annalena ne ha ricevute tante in 33 anni di attività umanitaria in terra d’Africa. Tenace e coraggiosa, per di più donna e occidentale, in un Paese musulmano dalle tradizioni forti e radicate, Annalena era spesso mal sopportata da “religiosi” e autorità locali per la sua «carità cristiana» al servizio dei musulmani ed era pure additata nei sermoni alla moschea, come un pericolo di conversione. E là, a Borama, già nell’ottobre del 2002 qualcuno attaccò a sassate l’ospedale, per protesta contro la sua campagna contro le mutilazioni genitali femminili. Ma era stata anche tante volte legata e picchiata dai banditi, quando ancora si occupava del dispensario per la tubercolosi a Marka, in Somalia, a sud di Mogadiscio, da dove se ne era dovuta andare «perché erano troppe le pressioni dei signori della guerra». Nonostante tutto, Annalena ha sempre avuto il coraggio di denunciare atrocità, ingiustizie, soprusi: «la durezza di questa gente che ha perduto ogni valore, che pensa solo a rubare, che è assolutamente indifferente davanti alla vita e alla morte, che pare senza sentimenti…, per cui non è possibile uno scambio vero, amico, pulito, puro, diritto con nessuno di loro, nessuno! Terribile!... «Qui vige il sopruso, il ricatto, l'abuso di potere sempre. Persone come me che non si piegano mai a nessun tipo di sopruso né di ricatto, non possono assolutamente sopravvivere a costo di dover pagare con la vita. Sì, ancora una volta, due volte, dieci forse di più volte, sono viva solo perché Dio l'ha permesso. Ma per quanto tempo ancora?... Sono stanca di queste situazioni, di queste persecuzioni, di questa gente che parla della mia morte come se fosse naturale, "normale" come dicono loro, perché sono persona troppo scomoda. Sono stanca di questa strana cosa che è la creatura umana, di questa barriera di incomunicabilità in cui viviamo tutti e in cui tutti moriamo, di questo mistero di invidia, gelosia, rivalità, incapacità di perdono che è l'uomo... ma mai mai stanca degli ammalati, del servizio che rimane e credo sarà sempre per me il privilegio della mia vita. Quante volte mi sono ritrovata improvvisamente come traumatizzata, stupefatta, incantata per questa vita straordinaria che il Signore mi ha donato da vivere, certo non vita facile, in molti sensi dura, durissima, eppure così bella, così dono».
Passione per il Vangelo
e per l’umanità ferita
Nata a Forlì il 2 aprile 1943, secondogenita di cinque figli, Annalena frequenta la scuola elementare «Melozzo degli Ambrogi», poi le medie «Giovanni Pascoli» e infine il liceo classico «G.B. Morgagni». Si iscrive alla facoltà di legge a Bologna poi parte con l'American Field Service per Boston. L’incontro coi poveri del ghetto di Harlem a New York, fa emergere in lei una particolare sensibilità per quelli che poi chiamerà «i brandelli di umanità». Sono gli anni del Concilio: un grande fermento scuote la Chiesa. Nel 1962 Annalena ritorna a Forlì e per sei anni si prende a cuore situazioni di povertà locali. Coinvolge le sorelle e diversi giovani del Movimento laureati cattolici e della FUCI di cui lei diventa presidente e con loro si dedica agli ultimi della città, poveri, sofferenti, abbandonati, non amati. Aiuta mamma Bettina nella creazione dell’opera Don Pippo che si occupa di «ragazze svantaggiate e rifiutate dalle loro famiglie». S'interessa dell'assistenza alle famiglie che abitano nel «Casermone›› di Via Romanello, «la bidonville della mia città», “luogo malfamato” di emarginazione, violenza, miseria… un ambiente in cui è bene andare almeno due per volta. Annalena spesso va da sola, anche di sera… e conquista a sé prima il rispetto poi l’affetto di quelle persone. Per aiutarle economicamente organizza in città perfino un concerto con Gianni Morandi. Coordina una presenza di mamme volontarie per i bambini del brefotrofio, «una istituzione per bambini non voluti, nati fuori dal matrimonio». S’interessa ai problemi del Terzo Mondo promuovendone la conoscenza anche attraverso film, cineforum e conferenze. Nelle parrocchie della Diocesi uno dei film più proiettati era “Maria del villaggio delle formiche”. Prepara la conferenza di Raoul Follerau, sui malati di lebbra, per sensibilizzare la cittadinanza. Organizza il primo campo di Chiffonniers al quale partecipa anche l’Abbé Pierre. Nel 1963 fonda il «Comitato per la lotta contro la fame nel mondo», ancora oggi attivo. S’interessa anche del carcere minorile. Frequenta il gruppo di preghiera di don Arturo Femicelli presso la chiesa del Miracolo. Nel ‘67, nella sua ricerca di radicalità evangelica, pone con mamma Chiara a Lagrimone (PR) la prima pietra per la costruzione del monastero delle clarisse francescane «Regina Mundi».
Da Forlì
all’Africa
Durante il servizio ai poveri della sua città, Annalena matura un forte desiderio di partire per l’India, ma la famiglia non glielo permette. Così nel 1969 parte per l’Africa grazie alle attività del Comitato per la lotta contro la fame del mondo. Inizialmente lavora come insegnante in una scuola a Wajir, nell'estremo nord-est del Kenya, e approfondisce le sue conoscenze mediche per curare la tubercolosi e la lebbra. Già nel 1976 Annalena è responsabile di un progetto pilota dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per la cura della tubercolosi, ma accoglie anche ciechi, sordomuti, disabili fisici e mentali. A Wajir Annalena è raggiunta da altre sei donne, tutte, sia pure in maniera e in misura diverse, appassionate di Dio e dei poveri. «Quando perdevamo o stavamo per perdere il senso del nostro servizio e la capacità di amare, potevamo ritrovare i beni perduti solo ai piedi del Signore. Per questo, avevamo costruito un eremo e là andavamo per un giorno, o più giorni o per periodi anche lunghi di silenzio… Là ritrovavamo equilibrio, quiete, lungimiranza, saggezza, speranza, forza per combattere la battaglia di ogni giorno». Nel 1984, a seguito di lotte politico-tribali, l'esercito del Kenya compie azioni repressive sulle tribù somale intorno a Wajir. Il 10 febbraio inizia il massacro di Wagalla. Annalena è coinvolta nel recupero dei corpi e nella cura dei feriti. Viene più volte richiamata dalla polizia e fatta bersaglio di diversi attentati. Riesce comunque a mandare a Nairobi, alle ambasciate straniere, fotografie di morti e feriti e con l'aiuto di amici a fermare l’eccidio che mirava allo sterminio della tribù dei Degodia.
Il 5 agosto 1985 viene espulsa dal Kenya come «persona non gradita». Lascia in silenzio il Paese; non solleva proteste per le calunnie e le denunce a suo carico nel timore di ripercussioni negative sui «figli» (i suoi poveri e ammalati) lasciati a Wajir. Quel deserto, quella fraternità, quell'eremo, quei somali dalla fede luminosa, quali mai più ritroverà altrove, saranno la struggente nostalgia per il resto dei suoi giorni. Per alcuni mesi rientra in Italia e si ritira in varie comunità monastiche: Monteveglio (BO), Cerbaiolo (AR), Montevecchio di Romagna, S.Barnaba di Gamogna sull’Appennino romagnolo. Alla fine dell’86 Annalena va in Somalia, prima a Mogadiscio, poi a Marka e infine a Borama, nel Somaliland. Nelle lettere dalla Somalia, Annalena condivide con familiari e amici le drammatiche vicende di un popolo dilaniato dalla guerra civile. Nel marzo del 1994 a Mogadiscio vengono uccisi la giornalista Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin. In luglio Annalena consegna la gestione dell'ospedale alla Caritas italiana che invia la dott.ssa Graziella Fumagalli che verrà uccisa nell’ottobre del ’95.
Dall’eremo di Castagnolo
a Wajir per sempre
«Bisogna fare silenzio se si vuole diventare operatori di pace, non violenti, miti, mansueti, capaci di misericordia, di compassione, di infinita benevolenza…»
Tornando in Italia nel luglio ’95, Annalena si ritira nei diversi eremi che le offrono un’ospitalità anonima, discreta e di radicale isolamento: Cerbaiolo, Campello sul Clitunno, Castagnolo di Civitella. «Se Dio vorrà, rimarrò in eremo almeno un anno. Intanto la Somalia è là come là sono i poveri del mondo, mia eredità per sempre. A loro tornerò se Dio vorrà anche fisicamente. Perché loro sono parte essenziale del mio essere. Anche ora sono tutti con me ed io li chiamo per nome ad uno ad uno ed insieme abitiamo la stessa casa e la cosa meravigliosa dell'eremo è che le pareti si dilatano all'infinito e quello che era impossibile a Marka, diventa possibile qui perché tutti, proprio tutti, possono entrare e c'è sempre posto per altri e per altri ancora…»
Dopo l’uccisione della dott.ssa Fumagalli, Annalena interrompe la vita eremitica per partire di nuovo. Dopo brevi viaggi in India, Etiopia e Sudan per verificare una nuova possibilità di missione, decide di stabilirsi a Borama, nel Somaliland dove avvia un programma di cura per la Tbc e per gli ammalati di AIDS. La sua intensa attività è appesantita da numerose minacce, polemiche e timori di contagio per la popolazione. Nel marzo del 2003, in una solenne manifestazione pubblica, le tradizionali «circumcisers» (le donne che praticano l’infibulazione e la circoncisione) rinunciano pubblicamente al loro lavoro con una dichiarazione di «rinuncia per amore di Allah» e Annalena dà loro un impiego o una somma in denaro per iniziare un’altra attività.
Il 25 giugno a Ginevra, l`UNHCR le consegna il prestigioso premio Nansen (istituito nel 1954) per la sua dedizione alle comunità somale. Annalena utilizzerà i 100mila dollari del premio per la sua gente e per la sua équipe: «… 75 persone che lavorano con me, tutti somali e loro, come i pazienti, hanno tanto bisogno di aiuto. È una vita dura, ma bellissima, veramente bellissima». In luglio si verificano nuove manifestazioni di ostilità, minacce, persecuzioni e calunnie contro Annalena che definirà come «un movimento folle di rifiuto della verità, della giustizia, della compassione». Alla fine di settembre 2003 accoglie con gratitudine Ahmed e Dahaba Noor da Wajir, ultimo incontro con i volti amati del suo deserto.
Ma là Annalena tornerà pochi giorni dopo, quando le sue ceneri verranno sparse, come lei aveva espressamente chiesto, nell’eremo di Wajir «sulla sabbia del deserto più amato del mondo».
Eredità umana
e spirituale
Quello che colpiva in Annalena era l’apparente semplicità con cui affrontava i problemi e il suo affidarsi alla Provvidenza per risolvere situazioni quasi sempre disperate: la serenità di chi ha la consapevolezza delle sue scarse risorse, ma la sicurezza di poter contare su quel Dio amico che per primo ha pagato il prezzo più alto per amore degli uomini. Annalena traeva la forza per le sue iniziative da un lungo sostare davanti al Signore. Già negli anni della sua giovinezza, a Forlì, trovava il tempo per la meditazione e la contemplazione presso alcuni monasteri di clausura della città. Il bisogno di silenzio e di preghiera sarà sempre una nota ricorrente nella sua vita. Così come una nota particolare della sua figura sarà spesso uno sguardo triste di chi ha visto tante sofferenze, ma anche quell’indimenticabile sorriso dolce che pure nei momenti difficili dava sicurezza e coraggio a chi le era vicino.
Annalena ha operato libera da condizionamenti di enti e organizzazioni, facendosi carico anche della sofferenza di non potere rispondere a tutti i bisogni dei suoi poveri. Ha vissuto libera dalla schiavitù dei diffusi modelli sociali. Libera da pregiudizi, ha rifiutato ogni forma di violenza e ricercato costantemente il dialogo anche con l’Islam.
Quando qualcuno la chiamava ‘missionaria laica’, disapprovava: «io non sono né missionaria né laica, io sono semplicemente una cristiana, interamente consacrata a Dio e ai poveri». «Io impazzisco per i brandelli di umanità ferita, più sono feriti, più sono maltrattati, più di nessun conto agli occhi del mondo, più io li amo. Questo non è un merito, è una esigenza della mia natura»… «Spero che questo mio seme una volta morto, marcirà e darà frutto, il solo frutto che conta: amore, tenerezza, comprensione, tolleranza, assenza di paura, audacia nell'amore».
Anna Maria Gellini