Una missione in piena fioritura
2016/10, p. 19
Nel Nordest dell’India, in soli 150 anni si è sviluppata una
missione fiorente, grazie al contributo dei laici, catechisti,
volontari e in particolare delle donne. Dove non c’era
niente, oggi sorgono 15 diocesi e tutta una serie di
istituzioni, tra cui anche una università cattolica.
Nel Nordest dell’India
UNA MISSIONE
IN PIENA FIORITURA
Nel Nordest dell’India, in soli 150 anni si è sviluppata una missione fiorente, grazie al contributo dei laici, catechisti, volontari e in particolare delle donne. Dove non c’era niente, oggi sorgono 15 diocesi e tutta una serie di istituzioni, tra cui anche una università cattolica.
Quando si parla della Chiesa cattolica in India, in genere si pensa alle comunità del Kerala, le cui lontane origini risalgono all’Apostolo s. Tommaso, o alle altre evangelizzate da san Francesco Saverio. È meno conosciuta invece la missione che si è sviluppata più di recente nel Nordest dell’India, nella regione dell’Assam ai confini con il Bhutan, il Tibet e il Myanmar e che ha, a dir poco, del prodigioso e merita di essere raccontata. È interessante rilevare il dinamismo con cui è cresciuta e che ricorda il fervore della comunità degli Atti degli Apostoli. È una missione infatti che si è evoluta con la partecipazione attiva di tanta gente, non solo dei missionari, ma dei laici in particolare, delle donne, degli studenti, dei catechisti e dei volontari. Come racconta l’arc. mons. Thomas Menamparampil, salesiano, nominato dal papa Francesco nel febbraio 2014 amministratore apostolico della diocesi di Jowai – al cui centro sorge la cattedrale di Santa Teresa del Bambino Gesù – dopo essere stato vescovo di Dibrugarh per 11 anni e arcivescovo di Guwahati per 20 anni, fino al suo ritiro avvenuto il 18 gennaio 2102.
Alcuni
cenni storici
I primi a portare il messaggio del Vangelo in questa regione furono due coraggiosi missionari gesuiti, Cabral e Cancella, che attraversarono l’Assam nel 1626, mentre erano in viaggio verso il Tibet e il Nepal. Ma di essi rimasero poche tracce. La vera storia della missione nel nordest inizia molto più tardi con i padri Salvatoriani tedeschi, i quali, guidati dal p. Otto Hoppenmuller, intrapresero la loro opera nel 1890 a Shillong, nel distretto orientale dei monti Khasi, subito dopo che gli inglesi avevano scelto questo centro come capitale della nuova provincia dell’Assam. In questa regione, i presbiteriani anglicani avevano già stabilito una forte comunità cristiana, e non fu facile per i padri Salvatoriani porre le basi della futura chiesa cattolica nel Nordest. Ma, scrive mons. Thomas, vi si dedicarono con generoso impegno e con immensa sapienza pastorale. Crearono delle parrocchie, eressero delle strutture pastorali e diffusero anche varie pubblicazioni.
Oltre ai progressi registrati nei monti Khasi, la loro opera conobbe un grande incremento anche tra gli Adivasi delle pianure dell’Assam, emigrati da queste parti dalle regioni dello Jharkhand, Chhattisgarh e Orissa, e venuti per la coltivazione del tè nella valle del Brahmaputra. Tra questi arrivati c’erano anche dei cattolici evangelizzati dal p. Constant Lievens sj e dai suoi colleghi. Il salvatoriano p. Rudolf Fontaine allacciò con loro dei contatti ed essi a loro volta divennero preziosi strumenti per la diffusione della fede tra la loro gente sparsa nella vallata.
La prima
guerra mondiale
L’opera dei Salvatoriani, scrive mons. Thomas, conobbe un progresso impressionante e tutto sembrava favorevole, quando scoppiò la prima guerra mondiale che interruppe tutte le loro iniziative. L’India, essendo una colonia inglese, chiese ai missionari salvatoriani tedeschi di lasciare il paese e di tornare a casa loro. Roma non ebbe allora altra alternativa che chiedere ai gesuiti belgi che lavoravano nella vicina provincia del Bengala di farsi carico per un certo tempo di quella missione. E nonostante fossero del tutto insufficienti, compirono un grande lavoro e la comunità cristiana continuò a crescere.
Nel 1922 le missioni dell’Assam, Manipur e Bhutan furono affidate ai salesiani di don Bosco, sotto la guida di mons. Louis Mathias. La comunità cattolica, che allora contava circa 5.000 fedeli, conobbe un altro periodo di espansione con la creazione di parrocchie a Dibrugarh, Tezpur, Tura e nella zona di Shillong, divenute poi diocesi. Nel 1934 il vescovo Mathias fu trasferito a Madras, e al suo posto fu designato come vescovo di Shillong p. Stephen Ferrando. Sotto la sua guida si moltiplicarono le istituzioni educative, furono aperte case di formazione e l’attività conobbe un altro grande progresso fino a quando lo scoppio della seconda guerra mondiale provocò un rallentamento delle iniziative apostoliche.
Un nuovo periodo
di espansione
La crescita della Chiesa dopo la fine della seconda guerra mondiale e la proclamazione dell’indipendenza dell’India, scrive mons. Thomas, fu fenomenale. L’aspetto più interessante fu l’aumento dei soggetti pastorali attivi, compreso il clero venuto da altre parti dell’India, o dalla regione stessa, e l’arrivo di membri di varie congregazioni religiose maschili e femminili. Col passare degli anni non solo i cristiani aumentarono, ma fiorirono anche numerose vocazioni, mentre invece diminuivano in altre parti del paese. Giunsero anche nuove congregazioni alla ricerca di vocazioni, accrescendo così la forza del contingente missionario.
Molto presto furono create nuove diocesi. Oggi ne esistono 15 nel Nordest dell’India con una popolazione cattolica che raggiunge quasi i due milioni di fedeli. Oltre all’università cattolica, furono aperti numerosi colleges, seminari, case di formazione, centri professionali e di consulenza, case per disabili, e si svilupparono varie attività sociali per venire in aiuto alle persone socialmente diseredate, alle donne analfabete, ai bambini di strada ecc.
Mons. Thomas commenta: «Una regione considerata in altri tempi marginale rispetto alle altre comunità cristiane dell’India, oggi emerge come un centro di formazione, di qualificazione, di studi, di pubblicazioni, di ricerca e riflessione teologica. E ci sono già giovani missionari del Nordest dell’India che operano in terre lontane come il Perù, lo Swaziland, la Tunisia e la Mongolia.
Il grande
impegno dei laici
Ma l’aspetto più impressionante fu il grande impegno dei laici. Per esempio, fino al 1933 il distretto dei monti Garo era precluso alla Chiesa cattolica. In ognuna di queste aree la comunità poté crescere dall’esterno attraverso studenti che la evangelizzarono e l’impegno di alcuni leader laici pieni di creatività apostolica. La crescita iniziale della Chiesa in queste zone è quindi dovuta agli sforzi dei laici, mentre il clero cooperava solo da lontano.
Esemplare è nei tempi più recenti la storia di Arunachal, una zona confinante col Bhutan e il Tibet. Mentre negli anni 1970 c’erano a mala penna alcune dozzine di cattolici, oggi sono sorte due diocesi con circa 300 mila fedeli. Il miracolo, come lo definisce mons. Thomas, è opera di giovani studenti che si erano formati nelle istituzioni cattoliche dove avevano esperimentato prima in se stessi la forza del vangelo. Le prime memorie di questa giovane Chiesa furono tuttavia dolorose. Negli anni 1970/80 si verificarono delle violenze: Bibbie bruciate, chiese distrutte, fedeli percossi. Poi poco alla volta la situazione cambiò e avvenne che dei persecutori si convertirono divenendo essi stessi promotori della fede.
Il ruolo
delle donne
Non possiamo inoltre dimenticare, scrive mons. Thomas, l’importante ruolo delle donne nella diffusione del vangelo. Una delle comunità del Nordest dell’India, la tribù Khasi, ha una tradizione matriarcale. Secondo le loro usanze, la parte maggiore dell’eredità della famiglia spetta alla figlia più giovane e non al figlio maggiore come in altre comunità. Le donne di questa comunità sono note per la loro intraprendenza nel campo amministrativo e la loro versatilità anche in altri campi: in questo caso, nell’annuncio missionario. Lo zelo si diffuse così da una comunità all’altra e, in breve tempo, le donne anche di altre tribù divennero delle evangelizzatrici come insegnanti nelle scuole, animatrici in parrocchia e educatrici di fede in famiglia.
Le missioni del Nordest dell’India, sottolinea mons. Thomas, hanno avuto la fortuna di avere dei missionari di alto profilo e delle guide di eccezionale competenza. Tra questi il vescovo Oreste Marengo, missionario salesiano italiano, scomparso a 94 anni, fondatore di tre diocesi: Dibrugar, Tezpur e Tura. Parlava correntemente 16 lingue e sapeva come inserirsi con grande facilità in tutte le comunità indigene.
Un’altra figura eminente fu l’arc. Hubert D’Rosario. Come vescovo di Dibrugarh lavorò con grande impegno alla erezione delle due diocesi di Imphal e Kohima, e come arcivescovo di Shillong lanciò le diocesi di Tura, Diphu e Guwahati. Sotto la sua guida le missioni del Nordest si arricchirono di teologi, colleges, centri pastorali e sociali di diversa natura e di pubblicazioni di vario genere.
Visite ai villaggi
e alle famiglie
Una forma di apostolato molto efficace è anche oggi la visita alle famiglie. Oltre ai preti e catechisti che dedicano molto loro tempo a recarsi nei villaggi, c’è anche un gruppo di suore dedite in forma permanente a questo tipo di apostolato. Si può dire, sottolinea mons. Thomas, che gran parte del successo missionario nella regione è dovuto a questo genere di ministero.
Ma anche i catechisti e i volontari hanno avuto un ruolo centrale. «Non mi riferisco solamente, sottolinea mons. Thomas, a coloro che sono sponsorizzati dalla Chiesa, ma anche agli innumerevoli volontari che dedicano parte del loro tempo all’annuncio del Vangelo e al rafforzamento della fede. Sono persone che non chiedono alcuna ricompensa, contenti solo di poter lavorare per il Regno di Dio. Esercitano il loro apostolato nelle case, nei mercati, nelle strade dei villaggi, negli uffici postali, viaggiando attraverso i monti. E se queste iniziative sono promosse da persone in possesso di un’adeguata formazione e hanno frequentato delle scuole cattoliche, allora l’impatto è ancora maggiore. E avvengono dei veri miracoli».
L’inculturazione tra i diversi gruppi etnici del nordest promossa dai missionari ha cooperato notevolmente a rendere intelligibile e accettabile la fede alle varie comunità. Prima ancora che il concetto di “inculturazione” fosse ampiamente accettato, i missionari attribuirono ad essa una grande importanza. Ed essa non significò solamente un adattamento di alcuni elementi esteriori della cultura locale alla vita della Chiesa e alla liturgia, ma anche accettare e promuovere vedute, atteggiamenti, sistemi di valori, stili di relazioni e modelli di organizzazione, fatta eccezione degli elementi chiaramente in contrasto con il Vangelo. La gente cominciò così a vedere nel messaggio di Gesù una fonte di progresso, di miglioramento personale e collettivo, anziché un sistema dottrinale estraneo e una fredda struttura legalistica.
«Il Gesù che annunciamo nella evangelizzazione, afferma mons. Thomas, non è venuto a demolire e a distruggere il bene che c’è in una persona o nella sua cultura e nelle sue tradizioni. Gesù è venuto a perfezionare tutto ciò che c’è di buono in ciascuna persona o comunità e a portare a compimento ogni aspirazione presente in una cultura o civiltà».
La situazione oggi
nell’Assam
Rispondendo a una domanda, mons. Thomas ha affermato che la situazione in Assam è sostanzialmente tranquilla. Non esiste un clima di persecuzione salvo qualche tensione isolata. Ciò non significa che non ci siano delle forze anticristiane, che hanno la loro base il più delle volte in altre regioni, e che cercano di diffondere il malcontento contro la crescita cristiana.... Ma – ha precisato – mi sento a disagio nel parlare di allarmismo nelle nostre comunità cristiane, e creare un clima di tensione e mettendole sulla difensiva. Sarebbe solo controproducente. I nostri oppositori cercano proprio questo: polarizzare le comunità in modo che ad ogni piccola provocazione i più forti possano impartire una memorabile lezione ai più deboli. È più saggio invece tessere delle relazioni con la gente che la pensa diversamente. Recentemente alcuni radicali di destra hanno criticato Madre Teresa usando un linguaggio pesante, e sono stati proprio i nostri amici indù a difenderla in maniera più decisa di quanto avrebbe fatto ogni suo ammiratore cristiano. Cose del genere sono avvenute più volte in India. Noi dobbiamo accogliere la buona volontà che esiste nella comunità di maggioranza, e non compiere cose che potrebbero solo infastidire le autorità con forme esagerate di lamentele... ma cercare di coltivare un atteggiamento di simpatia verso tutti e di gettare dei ponti.
A.D.