Mainardi Adalberto
Martirio e comunione
2016/10, p. 10
I rappresentanti di tutte le Chiese ortodosse, di quelle della Riforma, della Chiesa cattolica, cristiani d’Oriente e d’Occidente, si sono raccolti insieme, nella condivisione della preghiera e dello studio, per riflettere sul significato del martirio cristiano, quale via che apre alla comunione e interrompe la catena dell’odio.
Convegno di spiritualità ortodossa a Bose
MARTIRIO
E COMUNIONE
I rappresentanti di tutte le Chiese ortodosse, di quelle della Riforma, della Chiesa cattolica, cristiani d’Oriente e d’Occidente, si sono raccolti insieme, nella condivisione della preghiera e dello studio, per riflettere sul significato del martirio cristiano, quale via che apre alla comunione e interrompe la catena dell’odio.
“L’ora che tu vivi, il compito che adempi, l’uomo che incontri in questo momento sono i più importanti della tua vita”, scriveva Paul Evdokimov nelle Età della vita spirituale. Il desiderio di offrire un tempo opportuno per l’incontro, uno spazio di ascolto reciproco, è l’intuizione che sta all’origine dei Convegni ecumenici internazionali di spiritualità ortodossa, che la Comunità monastica di Bose organizza dal 1993 in collaborazione con le Chiese ortodosse.
Tre beatitudini evangeliche hanno scandito il tema degli ultimi convegni: “Beati gli operatori di pace” (2014), “Beati i misericordiosi” (2015); e infine “Beati voi, quando vi perseguiteranno per causa mia” è la parola risuonata quest’anno durante la ventiquattresima edizione del convegno di spiritualità ortodossa, Martirio e comunione (Bose 7-10 settembre 2016). In un tempo segnato da sanguinosi conflitti, in cui la via della pace è contraddetta e la dignità umana annullata, in cui i cristiani sono ancora emarginati e perseguitati per la loro fede in molti paesi, i rappresentanti di tutte le Chiese ortodosse, delle Chiese della Riforma, della Chiesa cattolica, cristiani d’Oriente e d’Occidente, hanno voluto raccogliersi insieme, nella condivisione della preghiera e dello studio, per riflettere sul significato del martirio cristiano, quale via che apre alla comunione e interrompe la catena dell’odio.
Intima connessione
tra martirio e comunione
I messaggi inviati al convegno dai capi delle Chiese hanno messo in luce l’intima connessione tra martirio e comunione, nel suo fondamento cristologico: solo l’amore fino all’estremo vissuto da Gesù sulla croce è la ragione del dono della vita da parte del martire. Il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli ha ricordato che “la chiesa ortodossa è stata profondamente segnata dal senso del martirio e della sofferenza, particolarmente in Asia Minore, in Russia e più recentemente in Medio Oriente e in Nord Africa”, ma che da questa prova nasce un’umile volontà di comunione, perché “la comunione è la giustificazione e la ragione del martirio”.
Il metropolita Ilarion di Volokolamsk, presidente del dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato di Mosca, nel suo messaggio inviato a nome del patriarca Kirill di Mosca, ha notato come la persecuzione e il martirio stiano nell’orizzonte della sequela cristiana (cf. Gv 15, 18.20; 16, 2.3; 15,27). Ma questa sofferenza è anche un pressante appello alla riconciliazione e all’unità dei cristiani: “… questi martiri del nostro tempo, appartenenti a varie Chiese, ma uniti da una comune sofferenza, sono un pegno dell’unità dei cristiani” (Dichiarazione comune di Papa Francesco e del Patriarca Kirill di Mosca e di tutta la Russia n. 12). A queste voci si è unita quella di papa Francesco, che nel suo messaggio pervenuto per il tramite del cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, auspica che “la riflessione sul martirio, quale preziosa eredità evangelica che accomuna tutte le Chiese, ci disponga a considerare la via privilegiata dell’ecumenismo del sangue che precede ogni contrasto e rafforza il cammino verso l’unità”.
Chi è il martire?
A una parola abusata, preda della propaganda e della retorica, diventata paradossalmente sinonimo di morte e terrore, il “martire”, il convegno di Bose ha voluto accostare il termine di “comunione”: il martirio è una testimonianza di amore in vista della comunione, anche a prezzo del dono della vita.
Certo, la storia del secondo millennio del cristianesimo è anche una storia d’incoerenza, di contraddizione all’unità voluta dal Signore per i credenti in Lui: i cristiani, infatti, si sono divisi, si sono anche combattuti, sono arrivati a farsi delle guerre. L’ecumenismo è il cammino inverso, che cerca di ritrovare quell’unità che vuole il Signore. C’è un ecumenismo della teologia, ma c’è un ecumenismo più diretto: è quello dei martiri. Il sangue da loro versato per causa di Cristo si è mischiato: hanno già dato una testimonianza unita nella fede. È avvenuto molte volte nel secolo scorso, nella Russia del Gulag, nei campi di sterminio nazisti, ma anche nei nostri giorni, come i ventuno martiri copti, sgozzati dallo Stato Islamico, quali agnelli afoni sulle rive del mare, insieme con altri lavoratori, anch’essi uccisi perché cristiani.
Su questo misterioso legame tra martirio e il desiderio dello Spirito santo che spinge le chiese verso la comunione visibile, hanno voluto riflettere i relatori riuniti a Bose, tra i quali erano presenti l’arcivescovo Job (Getcha) di Telmessos, rappresentante del Patriarcato di Costantinopoli presso il Consiglio ecumenico delle chiese (“La testimonianza e il servizio di comunione del Patriarcato ecumenico”), e il cardinale Kurt Koch, Presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani (“Testimonianza comune, speranza di unità”).
Chi è il martire? La parola greca martys indica il testimone che depone dinanzi al giudice. “Il Nuovo Testamento – ha ricordato Enzo Bianchi nel discorso introduttivo – chiama Gesù martys, il ‘testimone’ di Dio per eccellenza, fedele fino alla morte”. Egli testimonia l’amore del Padre, e la sua testimonianza definitiva è quella resa sulla croce, quando perdona i suoi torturatori. Il martirio di Gesù, il Cristo, il suo sangue versato per tutti sulla croce (cf. Ef. 2,13-14), più eloquente di quello di Abele (cf. Eb 12,24), testimone del suo amore infinitamente misericordioso (cf. Gv 13,1), sigillato dal dono dello Spirito santo (cf. Gv 14,15-17.26), dona la pace e la comunione del Regno dei cieli.
È stata soprattutto la prolusione di Sua Beatitudine Youhanna X, patriarca di Antiochia e di tutto l’Oriente, a far risuonare la voce delle comunità cristiane perseguitate oggi in Medio Oriente: “Insultati, benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo… (1Cor 4,9-13). Forse in queste parole dell’Apostolo Paolo si trova l’espressione migliore dell’attuale situazione della Chiesa di Antiochia e la sua continua lotta per rendere testimonianza al suo Signore”. Dopo il dialogo della carità, che ha contraddistinto le due grandi stagioni del cammino di ritrovata fraternità tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa, dal Vaticano II all’inizio del dialogo teologico bilaterale, il patriarca Youhanna ha invitato a “un ecumenismo della conversione”, quello indicato dai martiri, tra i quali ha ricordato anche “padre Jacques Hamel morto in Francia, ucciso tra l’altare e il santuario (Mt 35,23) come dice la Scrittura”. Il patriarca ha concluso con un vibrante appello: “Sì, fratelli. Noi ad Antiochia, nonostante l’insopportabile dolore che viviamo, nonostante le grandi persecuzioni, nonostante i rapimenti, lo sradicamento, la privazione degli elementi basilari per una vita decente, amiamo ancora i fratelli e quando li incontriamo … scorgiamo un volto di speranza e la testimonianza resa a Colui che ha vinto la sofferenza e la morte e che ci ha donato la luce della sua risurrezione”.
Testimoniare
la verità
“Beati voi, quando mentendo, diranno ogni male di voi a causa mia” (Mt 5,11).
Nella storia il martirio è stato una forza contro la menzogna e l’oblio: menzogna nei regimi totalitari (Konstantin Sigov, Lidija Golovkova, Kirill Kaleda hanno esaminato il delicato lavoro di recuperare la memoria dei martiri nello spazio post-sovietico); menzogna oggi sulle vere cause della guerra che devasta il Medio Oriente.
Ciò che si oppone all’oblio e alla dimenticanza è il far memoria e il rendere grazie: l’offerta della vita del martire ha una dimensione eucaristica. “Sono frumento di Dio, macinato dai denti delle fiere, per diventare pane puro di Cristo”, scriveva ai Romani Ignazio di Antiochia. “Non c’è vita cristiana senza amore sacrificale”, commenta nel suo intervento il teologo greco Athanasios Papathanasiou: “Come l’evangelista Giovanni, per descrivere la relazione di Cristo con i credenti, ha utilizzato l’immagine della vite e dei tralci (cf. Gv 15,1-5), Ignazio utilizza l’immagine dei rami che spuntano dalla croce”.
Il martire testimonia la verità dell’amore di Dio, perché è Dio stesso che ha dato testimonianza di sé nella storia: e questa auto-testimonianza divina nella storia “trova il suo culmine insuperabile nell’incarnazione di Gesù Cristo”. Della dimensione trinitaria e pneumatica, nello Spirito, del martirio cristiano, ha parlato l’archimandrita Panteleimon Manoussakis (College of the Holy Cross di Worcester). “L’auto-testimonianza di Cristo non si riduce a una vuota tautologia auto-referenziale (cf. Gv 5,31), ma segue una struttura ‘pericoretica’: egli rivela se stesso solo nella misura in cui rivela il Padre: Padre ho rivelato il tuo nome a coloro che mi hai dato (Gv 17,6). Da parte sua, il Padre rende testimonianza al Figlio (Gv 5,37), e chi crede nel Figlio di Dio, ha in sé questa testimonianza [martyría] (1Gv 5,10). È infine lo Spirito santo che rende testimonianza alla testimonianza di Cristo: lo Spirito della verità … darà testimonianza [martyrései] di me (Gv 15,26). La testimonianza di Cristo alla verità è la testimonianza … sul Dio che esiste come comunione di Persone”.
Se questo è il fondamento teologico del martirio, il teologo ortodosso americano Aristotle Papanikolaou, del Fordham’s Orthodox Christian Studies Center, ha insistito sulla dimensione politica del martirio cristiano, mettendo in guardia dalle mistificazioni: “L’autoaffermazione non è martirio, soprattutto quando porta avanti una politica di divisione. La politica del ‘noi’ contro di ‘loro’, la politica che crea frontiere e muri, la politica della demonizzazione … non è la politica del martirio; è la politica dell’anti-comunione”. C’è un grande dono che i martiri fanno al mondo, ha concluso Papanikolaou, ed è “che non ci può essere alcuna comunione senza martirio. Gli attentati suicidi provocano solo ulteriori divisioni e conflitti, perché un attentato suicida in nome della fede è autoaffermazione e, quindi, non è martirio”; il mondo ha invece bisogno “di una politica del martirio; di una morte (si spera più spirituale che fisica) che sia il risultato di un dire la verità di fronte all’altro”, perché “solo attraverso il martirio l’amore vincerà la paura”.
Il convegno ha così fatto emergere le potenzialità di comunione e gli orizzonti ecumenici del martirio cristiano, sollevando anche domande importanti: che cosa dicono oggi i martiri alle chiese e al mondo? Quando sarà possibile un martirologio comune? Il martirio dei discepoli di Cristo, dai tempi apostolici fino ai nostri giorni, non testimonia forse che lo Spirito santo, nonostante le divisioni della Chiesa, non abbandona coloro che confessano Gesù come il Signore della storia, del mondo e della loro vita? Il grido dei martiri si fa ancora sentire (Ap 6,10), e si unisce a quello dello Spirito e della Sposa: “Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20). Il sangue dei martiri testimonia già dell’Una Sancta.
Adalberto Mainardi,
monaco di Bose