Carballo J.Rodriguez
VC alzati e cammina
2016/1, p. 40
Mentre sta per concludersi l’Anno della Vita consacrata offriamo questa relazione tenuta da mons. Carballo alla riunione nazionale dei giovani Religiosi di Francia (maggio 2015). Il discorso apre ampie prospettive sul futuro della VC, al di là dei mutamenti istituzionali.
Per un presente di passione e un futuro di speranza
VC ALZATI
E CAMMINA
Mentre sta per concludersi l’Anno della Vita consacrata offriamo questa relazione tenuta da mons. Carballo alla riunione nazionale dei giovani Religiosi di Francia (maggio 2015). Il discorso apre ampie prospettive sul futuro della VC, al di là dei mutamenti istituzionali.
Molti sono coloro che si chiedono: qual è lo stato attuale di salute della vita consacrata? E molte sono anche le risposte a questa domanda. Tutto dipende da chi pone l’interrogativo e da chi risponde. Molto dipende anche dal modo con cui si guarda alla vita consacrata e dai giudizi e pregiudizi da cui si parte.
Per quanto mi riguarda, non pretendo dare una risposta oggettiva e convincente al cento per cento. E ancor meno pretendo offrire una risposta innovatrice. Peccherei di presunzione. La mia sola intenzione, e forse la mia pretesa, è di proporre una riposta che possa, con molte altre, avvicinarsi a questa forma di vita cristiana che sta al cuore stesso della vita della Chiesa e che cerca, non senza fatica, di camminare in una società sempre più secolarizzata e in una Chiesa che non l’accoglie sempre per quello che è realmente ma piuttosto per la manodopera che rappresenta.
Tre immagini forti e suggestive
Molti di coloro che tentano di fare una diagnosi della vita consacrata nel momento attuale si servono di alcune immagini. Esse hanno un valore positivo e uno negativo.
Una prima immagine utilizzata per parlare della situazione attuale della vita consacrata è quella di declino. A causa della mancanza di vocazioni, molte opere finora gestite dalle persone consacrate, finiscono per essere chiuse e molte presenze scompaiono. Questo fatto induce spesso a pensare che la vita consacrata vada male. Alcuni non esitano a pronosticare delle gravi previsioni, affermando che la vita consacrata attiva femminile, specialmente come è apparsa e si è sviluppata negli ultimi tre secoli, incentrata su ministeri concreti come l’educazione o la sanità, come braccio diaconale della Chiesa, ha i giorni contati. A loro parere, molti di questi istituti sono nati come risposta puntuale a determinati bisogni di un momento, di cui oggi se ne fa carico la società. Questi istituti avrebbero pertanto esaurito la loro missione e non avrebbero più ragione di esistere. Questa è l’opinione di coloro che pensano che la vita consacrata stia vivendo il suo declino, per indicare qualcosa che sta arrivando alla fine.
Questa accezione del termine declino è certamente corretta. Così, quando parliamo di “declino del giorno” o di “declino della vita”, noi pensiamo al giorno che termina o a una vita che si avvicina alla fine. Questa immagine può tuttavia aprirci anche alla speranza. Il canto del gallo annuncia il declino della notte e il sorgere del giorno. Il declino ci parla di qualcosa che muore, ma anche di qualcosa di nuovo che si avvicina: il declino lascia sempre posto all’alba. Non potremmo vedere questo fenomeno anche nella vita consacrata attuale? Certamente molte cose sono cambiate rispetto al passato Ma essa è ancora grande, la sua vita si sviluppa altrettanto bene sia nelle cosiddette “forme nuove” di vita consacrata sia nei carismi storici. Basti vedere con gli occhi della fede che “i campi già biondeggiano per la mietitura” (cf. Gv 4,35).
Altri per sottolineare la gravità della situazione in cui si trova attualmente la vita consacrata si servono di due altre immagini: il caos e la notte oscura.
Il caos è un’immagine molto forte, ma altrettanto suggestiva per le sue risonanze bibliche. Nella Bibbia, questa immagine ha delle connotazioni negative ma ci introduce anche in una prospettiva altamente positiva. Il caos ci parla certamente di confusione, ma anche dell’opera meravigliosa della creazione. È la situazione in cui si trova l’universo (cf. Gen 1,1) prima che appaia tutto ciò che costituisce la sua ricchezza e la sua bellezza, prima che compaia l’ordine della creazione, opera del Creatore che con la sua parola mette tutto al suo posto (cf. Sal 148,5).
L’immagine del caos ci parla di paura, di disorientamento ma anche di trionfo della misericordia del Signore e della nascita del popolo di Dio. Paura e disorientamento per la terra “grande e spaventosa” del deserto (cf. Dt 1,19), prima di entrare nella terra promessa dove scorrono latte e miele. Il deserto, luogo della prova ma anche della nascita del popolo di Dio, luogo di infedeltà e di “mormorazione” (cf. Es 14,11) e quindi, di invito alla conversione (cf. Dt 8,2ss, 15-16), ma anche luogo del trionfo della misericordia divina ( cf. Nm 20,13). Luogo voluto dal Signore per educare e guidare il suo popolo. Paura e disorientamento sono anche i sentimenti che pervadono il cuore dei discepoli di Gesù dopo la sua morte (cf. Lc 24,11ss), ma che vediamo ampiamente superati dalla gioia dell’incontro con il Risorto (cf. Lc 24,41).
L’immagine del caos indica quindi situazioni critiche, ma ci parla anche di opportunità e di preludio a qualcosa di nuovo.
Il tema della notte oscura è molto diffuso nella letteratura spirituale cristiana, specialmente nella tradizione mistica. Si possono trovare degli antecedenti biblici ricordando Mosè che si avvicina alla “nube oscura dove era Dio” (Es 20,21). Per i mistici, specialmente per San Giovanni della Croce, a cui si deve se questa espressione è diventata popolare per indicare il cammino dell’uomo verso Dio, la notte oscura rimanda ai momenti di crisi profonda, ai momenti di prova, di potatura e di purificazione dei sensi e dello spirito, in cui non si può camminare se non nella fede. L’esperienza dei mistici ci apre quindi al significato positivo della notte oscura. Per essi, la notte è portatrice di luce, di amore, nel senso che prepara l’anima all’unione con Dio nell’amore mediante la contemplazione. Possiamo perciò dire che la crisi che si vive durante la notte oscura è una crisi di crescita.
Come abbiamo già detto, le immagini di declino del giorno, di caos e di notte oscura non hanno un unico significato, positivo o negativo. Il loro significato dipende piuttosto dal contesto in cui sono poste. Indicano situazioni segnate dalla crisi del passaggio dalla morte alla vita, in diversi ambienti, nelle situazioni delicate e difficili da cui si può ricavare vita solo rimanendo fondati nella fede. In situazioni che non sono facili, che non possono cambiarsi in un kairos se non attraverso il sacrificio e la morte. Sacrificio che esige di camminare nella notte dell’incertezza, cercando incessantemente il significato pieno della nostra vita di consacrati – e noi non sappiamo per quanto tempo, e se sarà breve. Una morte che esige di morire a molte sicurezze accumulate dalla vita consacrata nel corso della sua storia, per aggrapparci, con una fede adulta e una profonda purificazione delle false immagini di Dio, al Dio della storia, il quale, anche se sembra dormire, naviga con noi in una barca sballottata dalla tempesta (cf. Mc 4,35ss).
Tempi duri, delicati e di malessere
Attendere una nuova creazione in un momento in cui ci sembra che regni il caos, scrutare l’orizzonte della notte oscura e restare “sentinelle del mattino”, in pieno declino del giorno, non è facile e non bisogna darlo per scontato, come mostrano le risposte date in questa situazione. L’invito che Benedetto XVI ci ha rivolto nel suo ultimo intervento sulla vita consacrata, pochi giorni prima della sua rinuncia alla Sede di Pietro, è significativo: «Non unitevi ai profeti di sventura che proclamano la fine o il nonsenso della vita consacrata nella Chiesa dei nostri giorni». Abbondano forse anche tra i consacrati i profeti di sventura?
Certamente, in questa situazione della vita consacrata, la traversata del deserto del caos, della notte oscura e del declino del giorno non è facile. Bisogna essere “consapevoli del momento che viviamo” (cf Rm 13,11), stare in guardia giorno e notte, in piedi e scrutare con gli occhi del cuore l’orizzonte come la sentinella per non farci sorprendere dal nemico (cf. Is 21,6ss), essere “desti e vigilanti” , con le lampade accese (cf. Lc 12,35ss) per non cadere, vittime del sonno, in un letargo che conduce inesorabilmente alla morte, conservare una fede adulta e una speranza incrollabile, nutriti del pane della Parola e dell’Eucaristia, per non venir meno lungo il cammino iniziato e che non sappiamo quando terminerà.
La storia del popolo d’Israele ci mostra che il cammino attraverso il deserto è duro. Nelle situazioni in cui viviamo, segnate spesso dal vuoto, dal silenzio di Dio e dall’aridità spirituale, non è facile vedere che egli cammina con noi (cf. Gb 23,8-9) e agisce anche nella “crisi” e nei momenti di oscurità. In situazioni del genere bisogna essere bene equipaggiati: rivestiti di Cristo e indossando le armi della luce, come ci esorta l’apostolo Paolo (cf. Rm 13,11-14).
Momento di lucidità
Non tutto va bene nella vita consacrata, come alcuni si sentono in dovere di dire, ma non va nemmeno tutto male, come dicono i profeti di sventura. In un momento di crisi come il nostro, è necessario accogliere una prima sfida con cui la vita consacrata è confrontata e che alcuni considerano propedeutica, nel senso che apre la porta a numerose altre sfide: quella di essere sinceri, di fare la verità sulla situazione della vita consacrata in questi momenti, assumendola con la responsabilità propria di un adulto.
Che cosa significa assumere la sfida di fare la verità, con serenità e responsabilità?
Assumere serenamente e in maniera responsabile la sfida di fare la verità richiede di superare il discorso estetico sulla vita consacrata e la semplice formulazione di ciò che rappresenta il suo ideale, per compiere un’analisi rigorosa della situazione attuale che attraversa, accettando, con sano realismo, il fatto di trovarci a vivere una situazione critica, un momento di crisi che, come dice l’etimologia del termine, ci chiede di essere lucidi e di prendere decisioni coraggiose, anche se non sempre popolari.
Assumere serenamente e in maniera responsabile la sfida di fare la verità implica un andare oltre la ricerca di certe spiegazioni sulle cause che ci hanno condotto a questa situazione critica: bisogna reagire, compiere dei passi concreti per uscire da questa situazione. Le analisi e le diagnosi sono necessarie, ma non bastano. Giunge il momento in cui bisogna agire, anche senza essere sicuri al cento per cento che quanto facciamo sia la cosa più adatta nel momento che viviamo. Ciò che afferma Antonio Machado è altrettanto vero qui: «Pellegrino, non c’è una strada; la strada si fa camminando».
Assumere serenamente e in maniera responsabile la sfida di fare la verità richiede di vincere la tentazione di trovare delle scuse o di eludere le proprie responsabilità. Una tentazione pericolosa, assai frequente, che paralizza il presente e compromette il futuro, è di cercare dei colpevoli, di creare dei capri espiatori, o semplicemente di autogiustificarsi. La situazione attuale della vita consacrata è talmente complessa al punto che in essa convergono numerosi fattori e agenti. Il processo di verità deve tenerne conto e, occorre ricordarlo, non sarà autentico se non conduce all’autocritica, a una verifica profonda, a riparare gli sbagli commessi dal passato e a prevenire quelli per il futuro.
Assumere serenamente e in maniera responsabile la sfida di fare la verità significa non fermarsi a degli esercizi di sopravvivenza, siano essi istituzionali o individuali, come scrivere e riscrivere la storia gloriosa del passato, redigere dei bei documenti, buttarsi ciecamente in un attivismo sfrenato, optare per la fuga mistica o la pseudospiritualità... Tutto ciò potrebbe distrarci dal dovere urgente di fondarci sull’essenziale o di confondere i desideri e gli ideali con la realtà.
La sfida di fare la verità con serenità e responsabilità ci chiede tutto questo. Una sfida a cui non è facile rispondere, ma a cui è urgente dare una risposta, perché è profondamente evangelica. A cinquant’anni dal Concilio, è giunto il momento. Bisogna fare la verità sulla situazione in cui ci troviamo e prendere delle decisioni che riteniamo più opportune affinché il momento di crisi si trasformi in kairos e in un momento di grazia.
Tutto ciò produrrà certamente una crisi dell’immagine che ci siamo costruiti nei riguardi della vita consacrata. Mi sembra molto suggestiva l’immagine dell’argilla nelle mani del vasaio (cf. Ger 18, 1-6). La vita consacrata è chiamata sempre, ma specialmente oggi, a lasciarsi modellare dalle mani amorose del Dio vasaio. Questo ci chiede a volte di infrangere il bel vaso che abbiamo ereditato, contemplato, amato, ricreato per vivere una nuova tappa in questa meravigliosa avventura di cui il Signore ci ha voluto attori: la rifondazione della vita consacrata.
È doloroso ma necessario ed è l’inizio della conversione: infrangere l’io, il noi ideale che ci eravamo creati che, a volte, ci metterà del tempo per corrispondere all’io e al noi reale. Senza questa crisi, la verità non si farà, non ci sarà alcuna rinascita della vita consacrata né della vita nuova iniziata con il battesimo (cf. Rm 6,4). Ci vorrà anche una profonda onestà riguardo alla realtà, e la fedeltà alla realtà, perché solo così la vita consacrata potrà dire “sì” a Dio che chiama nella storia e nella vita di ogni giorno.
Momenti di discernimento
Ciò che abbiamo detto esige discernimento. Il termine “discernimento” deriva dal latino discernere, e corrisponde al greco diácrisis. Ambedue possono essere tradotti con esaminare, separare, distinguere una cosa dall’altra. In definitiva, per noi, si tratta di distinguere la voce di Dio dalle altre voci, ciò che viene da Dio da ciò che gli è contrario.
Secondo san Francesco d’Assisi, il discernimento consiste nel percorrere un cammino di fede in grado di condurre il credente ad “avere lo Spirito del Signore e lasciarlo agire in lui”, così che possa “fare ciò che sappiamo che tu vuoi (Signore), e di volere sempre ciò che ti piace”. Per Sant’Ignazio di Loyola, discernere vuol dire cercare in ogni cosa ciò che piace di più al Padre. Nel discernimento di cui parliamo, non si tratta dunque di scegliere tra il bene e il male – per questo basta la legge morale – ma di scegliere tra il bene e il meglio, tra bene e bene, come chiede san Benedetto nella sua Regola.
Noi non siamo la fonte ultima del discernimento, è lo Spirito che purifica, illumina e infiamma. È lui che dona un amore e una conoscenza tale da trasformare il cristiano in una “persona spirituale” (cf. Rm 5, 1-5; 1Cor 1,12), permettendogli di “giudicare (anakrinei) tutte le cose, grazie alla misteriosa sapienza divina, tenuta nascosta ai sapienti del mondo, e rivelata agli umili e ai piccoli (cf. Mt 11,25ss) che si mettono “in ascolto” per conoscere tutto ciò che Dio ci ha dato (cf. 1 Cor 1,7.12).
Il discernimento non è quindi principalmente un problema di analisi ma di trasformazione interiore, di sviluppo della vita spirituale che dà al credente “gli occhi dello Spirito”, per vedere-conoscere-credere” e seguire in tutto la volontà del Signore. A questo tendono il discernimento cristiano e il discernimento nella vita consacrata: all’apertura incondizionata alla volontà del Padre e a un atteggiamento fondamentale di disponibilità incondizionata a seguire in tutto questa volontà.
Se il discernimento è determinante nella vita cristiana ed essenziale in quanto ricerca e compimento della volontà di Dio, a maggior ragione lo è nella vita consacrata, soprattutto in questi tempi che, senza cessare di essere “delicati e difficili”, a volte, proprio per questo, sono propizi a un discernimento alla luce della fede: “noi infatti camminiamo nella fede, non nella visione” (2Cor 5,7). I consacrati, sul piano personale non possono eludere la domanda che si poneva Francesco d’Assisi: “Signore, che vuoi che io faccia?”. Allo stesso modo, sul piano comunitario, non possono non chiedersi: “Fratelli, che cosa dobbiamo fare?” (At 2,37). Sempre a partire dalla fede. Essa sola conduce a un’esperienza reale di Dio che cammina con noi (cf. Gen 28,16) e ci circonda da ogni parte (cf. Sal 139), un’esperienza che ci introduce in una vita guidata dallo Spirito, vero artefice del discernimento.
Sul piano personale, il discernimento, per san Francesco d’Assisi, suppone apertura alla volontà di Dio, sintonia con lo Spirito, indifferenza spirituale, identificazione con Cristo,uno sguardo di grazia alla verità e un atteggiamento fondamentale di disponibilità incondizionata. Esige anche spogliamento, “vivere senza nulla di proprio”, amore gratuito, umiltà e obbedienza di carità. Per santa Teresa, comporta l’amore intenso e gratuito, la piena liberazione e il servizio incondizionato.
Sul piano comunitario, suppone delle comunità/fraternità che abbiano una giusta conoscenza della loro identità umana, cristiana e religiosa, e una visione realista delle loro possibilità e dei loro limiti. Comunità/fraternità da cui emergono i tratti della maturità e integrazione affettiva che permettono di affrontare i conflitti con la riflessione e il dialogo. Comunità/fraternità aperte alla lettura evangelica dei segni dei tempi, senza cadere nell’autocompiacimento. Comunità/fraternità che vivono in tensione escatologica, in un incontro progressivo con i valori definitivi sulla cui base sono disposte a esaminare ogni cosa, ad astenersi dal male e tenere ciò che è buono (cf. 1Ts 5,21-22).
Il discernimento deve essere fatto alla luce del Vangelo, del proprio carisma e dei segni dei tempi.
Se la vita consacrata è radicata nel Vangelo ed è chiamata ad esserne “esegesi vivente”, la sua prima fedeltà è quella al Vangelo, a Gesù, Vangelo del Padre all’umanità. Per questo deve lasciarsi «continuamente interpellare dalla Parola rivelata», ed «esaminarsi continuamente alla luce della Parola di Dio, in particolare del Vangelo «cuore della Parola di Dio». La vita consacrata non può fare astrazione dal Vangelo nel momento di fare la verità su se stessa e di discernere come passare da ciò che è bene a ciò che è meglio. Dal Vangelo, trarrà «la luce per il discernimento personale e comunitario», luce che aiuta «a cercare le vie del Signore nei segni dei tempi». Il Vangelo è il primo criterio di discernimento: tutto ciò che si può giustificare in base ad esso sarà giustificabile per la vita consacrata. Al contrario, ciò che non si può giustificare secondo il Vangelo non sarà giustificabile per la vita consacrata.
D’altra parte, nel discernimento, noi consacrati dobbiamo sempre tenere conto del carisma che ci siamo impegnati, con la nostra professione, a vivere, custodire, approfondire e sviluppare costantemente con “fedeltà creativa”, in sintonia con il corpo di Cristo in perpetua crescita, cosa che suppone una profonda identificazione con esso.
La vita consacrata è varia e in questa varietà sta la sua ricchezza. Questa varietà deriva dai diversi carismi che sorgono in risposta a determinate esigenze della vita cristiana e da un «desiderio profondo dell’anima di conformarsi a Cristo per testimoniare qualche aspetto del suo mistero». Carismi che sono frutti dello «Spirito Santo che agisce sempre nella Chiesa», doni dello Spirito al popolo di Dio che la Chiesa è chiamata ad accogliere, far fiorire, esaminare, autentificare, proteggere, difendere e aiutare a maturare con gratitudine e riconoscenza.
Infine, nel discernimento, bisogna fare attenzione ai segni dei tempi, agli avvenimenti che caratterizzano una determinata epoca della storia, attraverso i quali il cristiano si sente interpellato da Dio e chiamato ad offrire una risposta evangelica. I segni dei tempi sono perciò dei raggi di luce nella notte oscura della nostra vita e del nostro popolo, dei fari che suscitano speranza, perché permettono di ascoltare la voce del Signore e di scoprire la sua presenza negli avvenimenti della storia.
Se la capacità di interpretarli è un’esigenza di tutti i cristiani (cf. Lc 12,56), a maggiore ragione i consacrati devono prestare ad essi una grande attenzione. Essi dovrebbero essere nella Chiesa degli esperti nello scrutare questi segni e interpretarli alla luce del Vangelo. La loro lettura e la risposta da dare, alla luce del Vangelo, impediranno ai consacrati di installarsi e ripetersi. Permetteranno loro, al contrario, di «ritrovare coraggiosamente lo spirito di intraprendenza, l'inventiva e la santità dei fondatori e delle fondatrici»
Momento per coltivare le radici
Alcuni si servono dell’immagine dell’inverno per parlare di una nuova opportunità per la vita consacrata.
L’immagine dell’inverno è ambivalente. In apparenza, l’inverno è un tempo di morte. Numerose sono le piante che hanno perso le foglie, non ci sono fiori e i frutti mancano. La natura appare come sterile, s’addormenta e sembra che sia arrivato il momento di morire.
Ma sotto questa morte apparente e questa sterilità che ci sembra definitiva si nasconde una grande rinascita. L’inverno è il tempo nel quale la vegetazione lavora in profondità e le radici sono molto attive, garantendo così, con il loro lavoro umile e silenzioso, la continuità della vita.
Avviene lo stesso per la vita consacrata. Le vocazioni diminuiscono, gli abbandoni sono numerosi, la piramide delle età si è capovolta perché le persone anziane sono più numerose delle giovani. La fedeltà è messa alla prova, come anche la speranza e la pazienza, come furono messe alla prova la fede, la speranza e la pazienza del popolo d’Israele durante il suo lungo peregrinare nel deserto.
In queste circostanze, la vita consacrata, tenuta per mano e condotta dalla Chiesa, è chiamata a lavorare sull’essenziale, su ciò che le conferisce realmente il suo significato profondo al di là del numero e dell’efficienza. L’inverno è il tempo della radicalità nascosta e, benché doloroso, è il passaggio a una vita nuova, a un modo nuovo di garantire il sapore evangelico che non può mai mancare nella vita consacrata, e renderla ancora più “visibile”, ricordando che esso va di pari passo con la kénosis, l’abbassamento, la morte (cf. Gv 12,24) e con la minorità, e che tutto ciò esige una fede solida, irremovibile, una fede sicura e, contro ogni speranza, una speranza militante, una pazienza costante, a tutta prova (cf. Gc 5,7-8). Questa è la “visibilità” e la “fecondità” dell’opera redentrice di Cristo (cf. Fil 2,5-8).
“Visibilità” e “fecondità” che non possono mai mancare nella vita consacrata e che le garantiranno un futuro pieno di speranza (cf. Fil 2,5-8)..
mons. J. Rodriguez Carballo