Lacroix Marie Christine
Consumarmi per Dio in pura perdita
2016/1, p. 30
Sono molte le intuizioni che ha avuto e vissuto in maniera radicale una volta scelta la vita religiosa. Ha così anticipato gli orientamenti che la vita consacrata pone oggi al centro del suo rinnovamento e che costituiscono una garanzia sicura del suo futuro.
Charles de Foucauld e l’Anno della VC
CONSUMARMI PER DIO
IN PURA PERDITA
Sono molte le intuizioni che ha avuto e vissuto in maniera radicale una volta scelta la vita religiosa. Ha così anticipato gli orientamenti che la vita consacrata pone oggi al centro del suo rinnovamento e che costituiscono una garanzia sicura del suo futuro.
Oggi lo definiremmo un “neoconvertito” e sappiamo con quale ardore i neoconvertiti si offrono a Dio.
Di fatto la fede cristiana gli è capitata addosso quasi all’improvviso e ciò ha scatenato in lui, in risposta, un irresistibile desiderio di donarsi totalmente: “Appena ho creduto che c’era un Dio, ho capito che non potevo far altro che vivere per Lui” .
Fare una scelta di vita consacrata è stata la conseguenza logica del suo ritorno alla fede. Infatti Charles de Foucauld, nato in una famiglia cristiana, dopo aver abbandonato la fede a sedici anni, la ritrova a ventotto.
Quando il 14 agosto 1901 fratel Charles, scrivendo al suo amico Henri de Castries, fa una rilettura molto profonda del suo cammino spirituale, cita questa frase di Bossuet, che l’aveva molto colpito: “Consumarmi davanti a Dio in pura perdita”. Che cosa significa questo slancio che l’ha portato, un certo giorno di fine ottobre 1886, a imprimere una svolta imprevista alla sua vita?
Il suo percorso nella vita religiosa è stato piuttosto tortuoso. Non ha trovato subito la sua “casa”, il suo stile. È stato un lungo itinerario: prima ha cercato alla trappa una vita sempre più radicale, è passato da quella di Notre Dame des Neiges in Francia a Akbès in Siria «una trappa molto più povera», dirà lui. Poi continuando nella sua ricerca si è trovato “fuori pista”, all’ascolto di una volontà di Dio per niente facile da decifrare, al punto da lasciare sconcertato anche il suo direttore spirituale, don Huvelin.
La sua profonda
originalità
Ci sono molti scritti su questa tappa della sua vita; vorrei solo sottolineare, in questo anno della vita consacrata proposto da papa Francesco, la sua originalità profonda riguardo alla vita religiosa.
Prima di tutto ha denunciato, durante tutta la vita, un rischio ricorrente che mina le congregazioni religiose. I poveri che vivevano vicino al monastero di Akbès, in Siria, gli hanno aperto gli occhi sul rischio di imborghesirsi. «Mi hanno mandato a pregare un po’ a casa di un povero operaio indigeno cattolico: che differenza fra quella casa e le nostre abitazioni!». «Non voglio attraversare la vita in prima classe, quando Colui che amo l’ha attraversata in ultima classe», ha scritto a Henry Duveyrier il 24 aprile 1890.
Ha sognato
piccole strutture
Ha visto il rischio che rappresentavano le grandi strutture monastiche «che prendono per forza di cose molta importanza materiale, nemica dell’umiltà e del nascondimento». Sogna delle piccole strutture, cosa poco in voga nella sua epoca, che, invece, si sono diffuse più tardi, soprattutto dopo il Concilio. Scriverà a sua cugina, il 4 ottobre 1893, che desidera «formare solo dei piccoli gruppi, delle piccole colombaie».
Insiste molto sull’abiezione, termine che non è certo di moda ai nostri giorni, in cui si parla piuttosto di realizzazione personale. Con questa parola vuole esprimere il suo desiderio molto forte di imitare il modello unico: Gesù di Nazaret, rifiutato, umiliato, il Dio “bassissimo”, il Dio della kénosi (Fil 2). Da ciò la sua ossessione di trovare una forma di vita conforme all’abbassamento dell’Amato. E se questa struttura non esiste, bisogna crearla: «Cercare delle anime con le quali si possa formare una piccola congregazione di questo tipo». Così si potranno raggiungere i poveri, i prediletti di Gesù, condividendo la loro vita.
Una vita religiosa
senza distinzioni
Un’altra grande novità, per l’epoca, è la concezione di una vita religiosa dove non ci sia più distinzione fra padri, frati e conversi. Il superiore sarà chiamato “fratello servitore” e “tutti saranno uguali e saranno chiamati fratelli”. Era già stato il sogno di Francesco d’Assisi!
Una vita religiosa dove l’obbedienza al superiore è vissuta nel dialogo, nell’apertura fiduciosa, che espone «i propri dubbi, le ripugnanze e poi fa quello che le viene ordinato» . Nell’art. 25 delle costituzioni dei Piccoli Fratelli del Sacro Cuore, raccomanda una “obbedienza reciproca”; con un linguaggio alquanto insolito per quel tempo dice che «obbediranno al desiderio gli uni degli altri».
Una scelta
di semplicità
Luogo di questa vita religiosa sono, preferibilmente, le “periferie esistenziali”, come direbbe papa Francesco. Fratel Charles infatti sceglie di stabilirsi a Tamanrasset perché «è un luogo trascurato»: «scelgo questo luogo, lontano da tutti i centri importanti, senza guarnigioni, né telefono, né europei» È una vita religiosa in stretto contatto con la popolazione e non una vita protetta, prudentemente in disparte. È una vita religiosa senza decoro, dove la semplicità è di casa e neanche l’abito viene sacralizzato. A partire dal 1913 fratel Charles non porta più sulla sua lunga tunica il simbolo del cuore con la croce, come se la realtà, che questo segno voleva esprimere, si fosse interiorizzata.
Quando firma, allora, riprende la sua identità secolare: Charles de Foucauld, abbandonando la firma precedente, Frère Charles de Jésus. Sogna una vita religiosa semplice, che assomigli «alle comunità spoglie dei primi tempi del vangelo» .
Una vita religiosa dove la regola è al servizio della vita e non un fine in se stesso, è il punto di arrivo di una evoluzione personale: «La tua regola è seguirmi” fa dire a Gesù, «è l’unica regola, ma è una regola assoluta». Eppure durante i suoi primi sette anni di vita religiosa si era aggrappato fortemente alla regola del monastero.
Un lavoro
in rete
Una vita religiosa dove si lavora in rete con altri per l’evangelizzazione. Charles de Foucauld si aspetta molto da una feconda collaborazione con le religiose. Ammira, in particolare, le suore di san Vincenzo de Paoli: «Nessuno, come le religiose, è capace di farsi amare, di ispirare fiducia, di raggiungere le donne musulmane (metà della popolazione), di prendere contatto con i musulmani».
Punta anche sull’aiuto prezioso dei laici, persone sposate, professionisti esemplari che mostreranno, nei paesi colonizzati, un volto nuovo di europei integri. A questi è affidato «un apostolato che i preti non possono fare: far penetrare la luce cristiana negli ambienti dove il prete non entra o entra molto poco» .
La persona consacrata non si appropria dello Spirito Santo, che è all’origine dell’opera di Dio nel mondo. Lo Spirito è un dono che tutti ricevono nel giorno del battesimo (Nm 11). Ricordiamo cosa dice Mosè al cap. 11 del Libro dei Numeri.
Charles de Foucauld conduce una vita religiosa radicale e fedele al vangelo; anche quando questo comporta di andare contro corrente «dichiariamo decisamente che non siamo di questo mondo!».
Una vita religiosa che non è affatto in competizione con la scelta di una vita matrimoniale, che fratel Charles tiene in grande considerazione: «Che grandezza, che ammirabile vocazione! Uno stato nel quale si può e ci si deve santificare» .
Quanto si discosta questo linguaggio dalle declamazioni dell’epoca che presentavano la vita religiosa come la scelta più perfetta e più santa!
Un privilegio
di amore
Vorrei segnalare un ultimo punto, alquanto moderno, che conviene sottolineare per presentare la vita religiosa: essa non è tanto una condizione di vita, in cui ci si installa in sicurezza, ma è piuttosto una ricerca permanente della volontà di Dio, uno stato di ricerca continua e instancabile per conoscerla. La vita religiosa diventa allora un privilegio di amore . Fratel Charles confidava in una lettera del 15 ottobre 1898, a don Huvelin: «La vita che conduco mi va bene, canto con tanta dolcezza il bel canto della povertà di Gesù».
È una vita in cui le implicazioni spirituali sono molto forti, dove l’essere prevale sul fare, sulle opere, e l’intimità con Dio è fonte di intensa gioia e di avventure meravigliose:«C’è più mistero nel piccolo tabernacolo che nel fondo dei mari. Nel profondo del suo eremo il solitario fa dei bellissimi viaggi».
Il sogno di questa nuova forma di vita religiosa è rimasto un progetto incompiuto durante la sua vita; solo dopo la sua morte prenderà forma.
Sì, “consumarsi per Dio in pura perdita di sé”, riserverà molte sorprese a chi si lancerà nell’avventura spirituale.
sr. Marie Christine Lacroix,
Piccole Sorelle del Vangelo,
di Charles de Foucauld