Gratitudine, passione, speranza
2016/1, p. 21
Il Convegno si è ispirato all’invito del papa ai religiosi,
Svegliate il mondo e agli obiettivi e attese della sua Lettera
per l’Anno della vita consacrata. Circa 400 i partecipanti e
11 le relazioni di specialisti di varie nazionalità e docenti
presso diverse Facoltà romane.
41° Convegno del Claretianum
GRATITUDINE,
PASSIONE, SPERANZA
Il Convegno si è ispirato all’invito del papa ai religiosi, Svegliate il mondo e agli obiettivi e attese della sua Lettera per l’Anno della vita consacrata. Circa 400 i partecipanti e 11 le relazioni di specialisti di varie nazionalità e docenti presso diverse Facoltà romane.
«La Chiesa deve essere attrattiva. Svegliate il mondo! Siate testimoni di un modo diverso di fare, di agire, di vivere! I religiosi devono essere uomini e donne capaci di svegliare il nostro mondo intorpidito». Così aveva detto papa Francesco nel colloquio libero e spontaneo con l'Unione dei Superiori Generali (USG) il 29 novembre 2013, secondo la trascrizione di Antonio Spadaro, direttore della rivista La Civiltà Cattolica.
Con il titolo: “Svegliate il mondo”. Gratitudine, passione, speranza – e quindi mescolando insieme quel dialogo e gli obiettivi tracciati da papa Francesco nella sua Lettera ai consacrati (21 novembre 2014) – si è svolto a Roma il 41° Convegno del Claretianum (15-18 dicembre), presso l’università Urbaniana. Anche quest’anno l’aula magna si è riempita di religiose e religiosi (circa 400) su un argomento che interpella i consacrati. Le undici relazioni – proposte da specialisti di varie nazionalità e docenti presso diverse Facoltà romane – hanno cercato di condurre i partecipanti a riflettere su una tematica programmata nella modalità interdisciplinare.
Stimolati dalla Lettera del Papa ai consacrati, l’obiettivo era quello di uno sguardo al passato del proprio istituto, come segno di benedizione e cammino di identità; uno sguardo al presente da vivere con passione e rinnovato slancio; uno sguardo al futuro con le sue incertezze e insidie, ma anche ricco di grazia e di benedizione in Cristo Gesù. Su questi aspetti tentiamo una sintesi degli interventi proposti, ovviamente rimandando ad una lettura integrale degli Atti del convegno, prevista a fine primavera 2016.
Lezione
dalla storia
Sulla lettura del passato, il convegno ha offerto due relazioni: Guardare il passato con gratitudine. A cinquant’anni dal “Perfectae Caritatis” (28.10.1965)», Prof. Bruno Secondin; Fragilità e vitalità della Vita Consacrata negli ultimi 50 anni, Prospettiva di governo, Mario Aldegani, Superiore generale dei Giuseppini del Murialdo.
Il contributo del carmelitano Secondin, testimone del periodo conciliare, ha ripercorso gli ultimi anni seguiti al Vaticano II – una “ventata” di Spirito Santo per tutta la Chiesa – descrivendo lo stile e i documenti del Concilio, la visione ecclesiologica del cap. VI della Lumen Gentium dedicato ai religiosi, la teoria e la prassi del decreto Perfectae caritatis. Molto interessante rilevare nei 50 anni di rinnovamento conciliare le otto fasi del vissuto “conciliare”, tra cui la liberazione della persona dalla rigidità sacralizzata con la valorizzazione della dignità personale.
In questi decenni si registrano anche grandi orizzonti:
– il principio dell'incarnazione, cioè della presenza e fermento nella storia, nella scia di Cristo, del quale siamo alla sequela;
– il principio del battesimo, come dignità basilare per tutti i credenti e come radice anche della speciale consacrazione;
–il principio della comunione e della vita fraterna come elemento identitario per tutti i cristiani: comporta un impegno di Chiesa comunione alimentata in maniera non sporadica, ma anche di fraternità universale da promuovere con audacia profetica;
– il principio dell'impulso carismatico presente alla genesi e nello sviluppo degli istituti religiosi;
– la centralità della missione, intrinseca alla consacrazione;
– la caratteristica del fare cultura: la vita consacrata non è solo risposta a situazioni culturali, in dialogo con le nuove culture, ma si pone anche come modello culturale alternativo.
La lettura dei 50 anni della vita consacrata dal Concilio ad oggi, secondo la prospettiva di governo, l’ha presentata sotto forma di esperienza personale il superiore generale dei Giuseppini del Murialdo, Mario Aldegani. La chiave interpretativa è stata quella del cambiamento. Nelle sue diverse espressioni, la vita consacrata ha manifestato molti segni di vitalità, ma anche di fragilità.
Oggi, dice p. Aldegani, si è aperto un tempo di nuova primavera. I gesti e il magistero di papa Francesco ci invitano ad una “conversione” nel nostro servizio ai fratelli. Ci chiama tutti ad una triplice conversione: 1. Conversione degli atteggiamenti personali; 2. Conversione delle relazioni; 3. Conversione delle prospettive e dello stile della missione.
È molto significativo, conclude p. Aldegani, il celebrare i 50 anni del Concilio nel cuore dell’Anno della Vita Consacrata: la gratitudine per il passato, la passione per il presente, la fiducia per il futuro di cui ci parla il Papa si riferiscono soprattutto a questo segmento della nostra vita e della nostra storia.
La passione
dei testimoni nel presente
Un’ampia rilettura sapienziale di come vivere il presente con passione è stata delineata nei pomeriggi del 16 e 17 dicembre. Le tematiche delle sei relazioni le possiamo raccogliere in tre chiavi di lettura: a) spunti biblici (Geremia: testimonianza e passione di un corpo profetico, prof. M. Sessa, Vivere il presente con passione. Attuare il Vangelo, prof.ssa M. Farina); b) il martirio (Ma i martiri hanno paura?, prof. G. Crea), Consacrate e consacrati sulla mappa del martirio, F. A Kidher); c) la compassione «Consacrate e consacrati sulla mappa della compassione, prof. G. Campese).
Spunti biblici
Il biblista Maurizio Sessa ha offerto un excursus assai convincente sulla chiamata profetica nell’Antico Testamento, soffermandosi su Geremia, una delle figure più emblematiche del carisma profetico-cristologico, che può aiutarci a rileggere in profondità alcune dimensioni essenziali della vita consacrata. La profezia in Geremia appare come una Parola appassionata scritta sulla carne (e quindi negli accadimenti concreti del chiamato) a vantaggio di tutto il Popolo di Dio. L’evento vocazionale (Ger 1) è un atto originario con cui Dio ri-conosce (come figlio) e riserva a sé (consacra) il profeta ancora prima di formarlo nel grembo materno. Nell’oggi ogni persona può riconoscere ciò che era da sempre: parola di Dio per le Nazioni. Allora la sua bocca, inabile a parlare secondo verità e con autorità, viene toccata dalla mano di Dio e il suo corpo diventa una fortezza inespugnabile. Un corpo da allenare alla profezia, un corpo che istruisce il profeta stesso. Rispondere alla chiamata profetica significa per ognuno di noi accettare di essere gettati allo sbaraglio, nell’arena della storia e subire il processo del mondo. Geremia ha attraversato questa storia drammatica predicando, minacciando, predicendo la rovina. Ma questa sofferenza ha purificato la sua anima e l’ha aperta al contatto con il divino.
La teologa Marcella Farina inizia il suo intervento con le parole della Lettera di papa Francesco: «La domanda che siamo chiamati a rivolgerci in questo Anno è se e come anche noi ci lasciamo interpellare dal Vangelo; se esso è davvero il “vademecum” per la vita di ogni giorno e per le scelte che siamo chiamati ad operare. Esso è esigente e domanda di essere vissuto con radicalità e sincerità. Non basta leggerlo (eppure lettura e studio rimangono di estrema importanza), non basta meditarlo (e lo facciamo con gioia ogni giorno). Gesù ci chiede di attuarlo, di vivere le sue parole» (p. 9).
Alcune istanze e motivi ispiratori all’Anno della misericordia possono rispondere a questa esigenza. L’essere innanzitutto «in ascolto della Parola». Il Papa sollecita a passare dalla lettura alla meditazione, all’esperienza: «per me vivere è Cristo!». In Gesù il regno di Dio è in mezzo a noi e nel consacrato si realizza nell’ascolto della sua Parola. L’evangelista Luca al riguardo offre suggestivi segnali, criteri di discernimento, icone di ascolto operoso, testimonianze coraggiose di ardenti missionari. Il risvolto dinamico della Parola è l’esperienza dello Spirito: è all’opera in tutta la vicenda di Gesù. I discepoli nella preghiera lo ricevono in dono (Lc 11,13) e dallo Spirito sono ammaestrati sul messaggio da proclamare (12,12). L’ascolto della Parola e l’esperienza dello Spirito potrebbero risultare sterili e scoraggianti se non c’è fedeltà alla preghiera. Quale luogo di rivelazione di Gesù, il suo mistero affiora e si coglie in momenti di preghiera e la preghiera assicura la continuità tra Lui e la Chiesa. La preghiera assidua e incessante nella vita del discepolo, ne riempie il tempo e lo colloca sotto l’influsso vivificante dello Spirito. Più che un semplice esercizio religioso, è l’immergersi nella forza di Dio, affidarsi con illimitata e filiale fiducia alla sua misericordia e bontà.
Altri aspetti sono: la richiesta del dono della conversione cui si associa il distacco dai propri beni, l’esaltante gioia della salvezza, la misericordia e la tenerezza. Il consacrato, come ogni credente, davanti a Dio dovrà interrogarsi sull’ascolto della parola, sulla preghiera incessante, sull’esperienza dello Spirito, sulla gioia evangelica.
Il martirio
Due relazioni affrontano il tema del martirio. La testimonianza di Firas A. Kidher, studente dell’Iraq la rimandiamo agli Atti. Ci soffermiamo invece sull’intervento del prof G. Crea che risponde alla domanda: Ma i martiri hanno paura?. Sappiamo che il martirio accompagna la storia della Chiesa. Il semplice nome di cristiano era un crimine ai tempi delle prime comunità. Le tombe dei martiri, le catacombe dal IV secolo sono diventate meta di pellegrinaggi. «C’è un’immensa schiera di uomini e donne che hanno sacrificato la vita per rimanere fedeli a Cristo e al suo Vangelo» (Papa Francesco). Non è improprio parlare di “martirio traumatico”, la persecuzione violenta, la condizione che mette a soqquadro la personalità dell’individuo, anche di chi opera per una causa sublime qual è il dono totale di sé. Troppo spesso le condizioni ambientali in cui la Chiesa opera sono condizioni difficili, con tensioni e persecuzioni. La paura intesa come reazione di allarme è un’emozione protettiva che aiuta la persona ad evitare condizioni di rischio e ad orientarsi verso la “vita”. Anche per i martiri la paura si annida nel cervello e nella psiche: in quest’ultima diventa come un virus silenzioso che si rinnova ogniqualvolta la persona si ritrova a vivere circostanze simili.
La compassione
Il prof. Gioacchino Campese ha svolto il suo intervento sull’atteggiamento della compassione. Precisato che compassione, misericordia e simpatia sono tre dinamiche intimamente legate nel processo dell’evangelizzazione, il relatore ha evidenziato i due aspetti da evitare: 1. Una “compassione paternalistica” che esprime superiorità nei confronti dei poveri e cerca di emergere per fare notizia. 2. Una “compassione tragica” che esprime comunanza di sentimenti solo e unicamente nei momenti di difficoltà e sofferenza. Occorre avere “passione con” anche nei momenti di allegria e gioia (cf. Rom 12,15-16). Rispondendo alla domanda sui soggetti della compassione, ha risposto che sono: 1. Dio, 2. Gesù, 3. Chiunque si fa samaritano. I luoghi infine della compassione li ha così individuati: i deserti, le periferie e le frontiere. A conclusione del discorso ha richiamato alcune testimonianze di consacrate, consacrati e laici.
Abbracciare
il futuro con speranza
Il convegno ha dedicato il pomeriggio del giorno 18 a tre relazioni: Abbracciare il futuro con speranza (prof. A. Cencini); Pastorale vocazionale, una vita che parla (prof. Juan Carlos Martos); Ecumenismo della vita consacrata (prof. José M. Hernàndez). Mentre rimando agli Atti le ultime due relazioni, per motivo di spazio, presentiamo la sintesi del sacerdote canossiano, psicologo e psicoterapeuta, prof. Amedeo Cencini.
Da tempo la Chiesa invita la vita consacrata (VC) a “guardare al futuro”, almeno dall’ultimo Sinodo ad essa dedicato, come possiamo leggere nell’esortazione post-sinodale Vita Consecrata (n. 110). Lì l’invito era preceduto da una frase che poi risulterà la più citata dell’intero testo, ove si rammenta che non abbiamo “solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire”. Ed è significativo che anche papa Francesco la riprenda nella sua lettera ai consacrati. Non so se “una grande storia” ci attenda, né come vada intesa l’espressione, precisa il prof. Cencini. L’importante è che ci lasciamo condurre dallo Spirito.
La relazione era articolata nelle tre parti indicate dal titolo. Per capire bene come andare incontro al futuro, nel tempo della Chiesa di papa Francesco, ricchi della storia che ci ha generati.
a) Abbracciare… società post-cristiana o pre-cristiana?
Anzitutto chi abbracciare? Il testo direbbe il futuro. Ovviamente si tratta d’una metafora. Non si abbraccia un’entità astratta. L’oggetto dell’abbraccio devono essere persone, uomini e donne che vivono in questo mondo, in questa società dove ci è dato per grazia di vivere. Se vogliamo poi che il gesto sia sincero, occorre che corrisponda a quell’affetto che viene dalla stima dell’altro, come ci dice la psicologia, e che solo allora è vero, altrimenti è finzione o solo compassione. Ma noi stimiamo questa nostra società? Che idea ne abbiamo?, si chiede il relatore.
Certo l’apparenza non è esaltante: il male sembra regnare ovunque. In particolare, c’è un modo di valutare questi tempi in qualcosa che si è andato progressivamente esaurendo, giungendo come a un punto ormai finale, che non sembra dar luogo a qualcosa di nuovo. Sarebbe il dogma del “post”, per cui questa società (e cultura) sarebbe post-industriale, post-capitalista o post-marxista, post-moderna o post-secolare, post-metafisica o post-ideologica, post-conciliare e persino post-umana, come si fosse estinta la specie uomo, e, sul piano credente, post-cristiana, come se il cristianesimo avesse già fatto il suo corso e non avesse più nulla da dire a questa società. Così pure la vita consacrata.
Ma siamo sicuri che le cose stiano proprio così? Credo invece, continua Cencini, che si possa vedere questo nostro tempo da un’angolatura esattamente opposta, quella pre-cristiana. Ovvero in attesa di qualcosa, di qualcuno, di salvezza, di liberazione dal terrore del non senso, della morte, della sofferenza, della guerra…, in attesa di felicità, di vita piena, di verità, per sempre. Gli uomini e le donne di oggi possono anche non esser consapevoli del tutto di quest’attesa, di non riferirla a Dio, ignorando quell’unico desiderio presente nel cuore d’ogni uomo/donna.
Ma proprio questo è il compito di noi consacrati. Proprio per questo è nata la VC: per dire che nel cuore umano c’è quest’insopprimibile desiderio: vedere il suo volto, ascoltare la sua parola, l’unica che parla di vita eterna, sperimentare il suo amore. Questa è l’essenza della VC: svelare all’uomo questo desiderio, riconoscerlo e farlo emergere anche quando è ignorato, dimenticato, smarrito, soffocato, contraddetto, negato, irriso… Il concetto di società post-cristiana è semplicemente un non senso. Ogni epoca sarà sempre pre-cristiana, sempre in attesa, in cammino verso Dio.
b) L’abbraccio come simbolo della Nuova Evangelizzazione
Abbracciare il futuro in relazione con questa storia e le persone concrete che la vivono vuol dire: non subire il futuro, non andare avanti passivamente, senza prepararlo, e in qualche modo “crearlo” o anticiparlo con chiaroveggenza profetica. E ancora, non preoccuparsi troppo della nostra sopravvivenza. Semmai capire come muoversi in questo tempo, senza rimpiangerne altri, senza paura del tempo e della cultura in cui viviamo. Evitando di leggervi solo il male, solo un processo di depravazione, come se la storia andasse verso un punto di smarrimento progressivo.
Vuol dire inoltre: amare questo mondo, gli uomini e le donne di oggi; avere la capacità, spirituale prima e poi psicologica, di scoprire il desiderio d’infinito e d’eterno dell’essere umano, che rende questa cultura in ogni caso pre-cristiana, protesa verso Cristo, alfa e omega; avere la convinzione che anche in questa cultura vi sono potenzialità positive e intuizioni feconde. E dunque la necessità d’impegno da parte nostra a capire bene i valori di questa cultura, i “segni dei tempi”, a volte poco chiari e deboli in intensità che solo le persone spirituali sanno percepire.
Tutto questo, infine, ha a che vedere con la qualità della nostra vita spirituale, nel senso che il vero uomo/donna spirituale sa o dovrebbe sapere, per esperienza, che la ricerca di Dio passa anche attraverso il dubbio, l’incertezza, la lotta, persino il rifiuto e la negazione… E dunque dovrebbe essere esperto nel riconoscere quella sottile sete e nostalgia di Dio che si nasconde a volte dietro atteggiamenti apparentemente negativi nei suoi confronti.
c) Abbracciare… con speranza
La Lettera del Papa ci indica l’atteggiamento con cui abbracciare il mondo e costruire futuro: la speranza. Queste le sue parole: «La speranza di cui parliamo non si fonda sui numeri o sulle opere, ma su Colui nel quale abbiamo posto la nostra fiducia (cf. 2Tm 1,12) e per il quale «nulla è impossibile» (Lc 1,37). È questa la speranza che non delude e che permetterà alla vita consacrata di continuare a scrivere una grande storia nel futuro, al quale dobbiamo tenere rivolto lo sguardo, coscienti che è verso di esso che ci spinge lo Spirito Santo per continuare a fare con noi grandi cose. Non cedete alla tentazione dei numeri e dell’efficienza, meno ancora a quella di confidare nelle proprie forze».
Della speranza abbiamo forse un‘idea debole, velleitaria, un po’ passiva, quasi paurosa. Se la speranza è debole lo sono anche la fede e la carità, le sue sorelle “virtuose”, mentre – in positivo – una speranza forte non solo dice l’ottimo stato di salute delle altre due, ma in qualche modo dà loro e al tipo speranzoso un certo colore e calore, che di solito è anche contagioso. La virtù della speranza, la virtù “piccola”, come la chiamava C. Peguy, è ciò che sorprende Dio ancora oggi. Virtù che decide di noi se siamo missionari o dimissionari. Potremmo anche non sapere se la VC avrà un futuro o, meglio, se noi consacrati/e di oggi avremo un futuro, ma una cosa è certa: se sapremo riconoscere e accogliere la disperazione che oggi serpeggia nel mondo attuale, cercando di rispondervi con cuore compassionevole perché certi della forza che viene dall’alto, saremo costruttori di speranza e avremo risposto in pieno alla nostra vocazione. Diversamente saremo anche noi contaminati da questo terribile virus: la sfiducia, e – quel che è peggio – lo diffonderemo attorno a noi.
Da ultimo, un sincero e caloroso ringraziamento al «Claretianum» che da 41 anni organizza questi incontri annuali di indiscutibile alto livello scientifico. Il Convegno appena concluso ha offerto molto materiale per una attenta e seria riflessione su un argomento vitale. A noi far diventare diuturna realtà la sollecitazione di papa Francesco: «Svegliate il mondo!».
suor Maria Marcellina Pedico
delle Serve di Maria Riparatrici