Ferrari Gabriele
Sia povera e amica dei poveri
2016/1, p. 19
Nel discorso al convegno di Firenze il papa ha tracciato le linee del nuovo volto della Chiesa italiana. Dovrà essere una Chiesa umile, disinteressata e sinodale, che abbia il dono della povertà e sia aliena da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro.

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Il papa Francesco e la Chiesa italiana
SIA POVERA
E AMICA DEI POV ERI
Nel discorso al convegno di Firenze il papa ha tracciato le linee del nuovo volto della Chiesa italiana. Dovrà essere una Chiesa umile, disinteressata e sinodale, che abbia il dono della povertà e sia aliena da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro.
Il Papa, contemplando l’affresco della cupola del Duomo di Firenze, ha invitato la Chiesa italiana a contemplare il volto dell’Ecce Homo, il Cristo crocifisso e risorto che sarà il giudice della fine dei tempi: in lui vediamo “il volto di un Dio “svuotato”, fattosi servo dell’uomo, il volto della misericordia divina. Gesù è il paradigma dell’umanesimo cristiano. Lì la Chiesa italiana scopre di dover essere:
– una chiesa umile, che persegue la gloria di Dio e non la propria;
– una chiesa disinteressata che cerca il bene e la felicità di chi le sta accanto e non si rinchiude nelle proprie strutture e nelle norme che danno una falsa protezione e che la trasformano in un giudice implacabile (Evangelii gaudium 49), ma esce a lavorare per rendere migliore il mondo e essere “secondo il Vangelo di Gesù”;
– una chiesa gioiosa che “ha in sé la gioia del Vangelo”, che viene dalla grandezza umile dei poveri; una chiesa delle beatitudini dal cuore aperto; e di conseguenza
– una chiesa sinodale che cammina insieme, non ossessionata dal potere.
Una chiesa così “sa riconoscere l’azione del Signore nel mondo, nella cultura, nella vita quotidiana della gente”. Il Papa afferma la sua preferenza per ‟una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze … preoccupata di essere il centro [che] finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti» (Evangelii gaudium, 49)”.
Attenti
a due tentazioni
Francesco mette in guardia la Chiesa in Italia da due tentazioni (non 15!):
– la tentazione pelagiana di una Chiesa che per essere organizzata e programmata assume “uno stile di controllo, di durezza, di normatività”. In realtà la norma dà al pelagiano “la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso” e porta a cercare la soluzione ai suoi problemi “nel conservatorismo e nel fondamentalismo e nella restaurazione di condotte e forme superate”. Se invece la Chiesa vince la tentazione pelagiana e si lascia guidare dallo Spirito, diventa “libera e aperta alle sfide del presente, mai in difensiva per timore di perdere qualcosa” e fa suo il principio di san Paolo: «Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno» (1Cor 9,22).
– La seconda tentazione è quella dello gnosticismo che porta la fede a confidare nella sicurezza del ragionamento logico e chiaro, ma le fa perdere “la tenerezza della carne del fratello”, rinchiudendola in un sottile orgoglio e in una forma di soggettivismo «dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti» (Evangelii gaudium, 94). La Chiesa italiana deve invece restare vicina alla propria gente (com’era … don Camillo!) assumendo un “umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto”.
I suggerimenti
a tutta la Chiesa
Per raggiungere queste mete il papa suggerisce:
A tutti: di alzare il capo e contemplare ancora l’Ecce homo, il giudice universale che alla fine chiamerà i “benedetti” e li inviterà alla sua destra nella gloria del Padre o manderà lontani da sé i “maledetti”, quelli che avranno o rispettivamente non avranno messo in pratica il comandamento di amare e di accogliere i poveri.
Ai vescovi il Papa chiede di essere pastori “niente di più: pastori”, vicini al loro popolo, sostenuti dal popolo, “non predicatori di complesse dottrine, ma annunciatori di Cristo, morto e risorto per noi”, predicatori dell’essenziale, del kerygma. Predicatori insieme al popolo.
A tutta la Chiesa Francesco chiede due priorità: a) procedere all’inclusione sociale dei poveri e b) coltivare la capacità d’incontro e dialogo per favorire l’amicizia sociale nel Paese.
a) Francesco chiede alla Chiesa italiana di essere amica dei poveri, di ascoltarli e di comprenderli. E chiede per la Chiesa il dono della povertà: “che Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro”. Infatti “la povertà evangelica è creativa, accoglie, sostiene ed è ricca di speranza” e saprà così riconoscere sempre gli “abbandonati, oppressi e affaticati”.
b) Per quello che concerne il dialogo, il Papa ricorda alla Chiesa il suo dovere di essere una Chiesa del dialogo sapendo che “dialogare non è negoziare. Negoziare è non cercare di ricavare la propria ‘fetta’ della torta comune … ma cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti”. È normale che dialogando nasca qualche conflitto. “Non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo. «Accettare di sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo» (Evangelii gaudium, 227).”
Il Papa ricorda alla Chiesa che non esiste un umanesimo autentico “che non contempli l’amore come vincolo tra gli esseri umani sia esso di natura interpersonale, intima, sociale, politica o intellettuale”, altrimenti la convivenza umana ritornerà all’homo homini lupus di Thomas Hobbes. Il Papa invita la Chiesa italiana a “non aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in ideologia”. E le ricorda che “il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà”.
La Chiesa è chiamata anche “a dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono nel dibattito pubblico”. È questo il contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune.
Ai giovani il Papa chiede di superare l’apatia e di lavorare per un’Italia migliore. Li invita a non stare alla finestra a guardare (“bruciare i divani” così hanno concluso i giovani!), ma a impegnarsi nel dialogo sociale e politico.
Oggi viviamo “un cambiamento d’epoca” con nuovi problemi che non solo si devono considerare ostacoli, ma sfide che provocano all’azione. È ora di uscire, cercare e accompagnare chi è rimasto al bordo della strada; così pure è urgente costruire “non muri o frontiere, ma piazze e ospedali da campo”.
Concludendo il Papa afferma: “Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza.” Il Papa invita a “innovare con libertà” a favore della dignità di ogni persona e abitare il creato come casa comune, nella gioia, “nell’allegria e l’umorismo anche nel mezzo di una vita tante volte molto dura”.
E lascia un’indicazione programmatica per i prossimi anni: “Cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni, specialmente sulle tre o quattro priorità che avrete individuato in questo convegno”.
Un cambiamento
di stile
Molti osservatori e giornalisti hanno notato che questo discorso segna un cambiamento di stile nella Chiesa italiana che negli ultimi decenni aveva perduto la libertà della profezia e del dialogo, presa dalla speranza - peraltro non realizzata - di affermare la presenza dei cristiani nell’ambito pubblico, quasi a prendere il posto del defunto partito dei cattolici … in vista di salvaguardare i cosiddetti “principi non negoziabili” per i quali ha condotto dispendiose e altrettanto inefficaci battaglie. Il Papa chiede alla Chiesa in Italia un altro tipo di presenza, missionaria, alla maniera del Vangelo, nella povertà e nell’umiltà, lontana da ogni forma di potere, una presenza nel cuore della massa, per offrire al mondo la misericordia e la tenerezza di Dio.
I religiosi non sono stati nominati nel discorso del Papa non perché non abbiano uno spazio e un ruolo nella Chiesa italiana disegnata dal Papa. Essi sono invece coinvolti con tutto il popolo di Dio e hanno il dono e il compito di essere testimoni di una Chiesa “serva e povera” (Congar), radicata in mezzo alla gente, segno del regno di Dio, promessa di un futuro ormai tracciato, ma non ancora raggiunto. I religiosi sono quelli che con la loro testimonianza di vita possono far brillare il volto del Signore e provocare il popolo di Dio a seguire Gesù, che è il primo missionario del Padre.
Gabriele Ferrari s.x.