Prezzi Lorenzo
La terza Lettera
2016/1, p. 13
Dopo l’invito alla gioia (Rallegratevi), al discernimento (Scrutate) la Congregazione per la vita consacrata licenzia una lettera circolare sulla contemplazione (Contemplate). Le tre tappe (cercare, dimorare, formare) e un doppio registro (Cantico dei Cantici e mistici).
Anno della vita consacrata
LA TERZA
LETTERA
Dopo l’invito alla gioia (Rallegratevi), al discernimento (Scrutate) la Congregazione per la vita consacrata licenzia una lettera circolare sulla contemplazione (Contemplate). Le tre tappe (cercare, dimorare, formare) e un doppio registro (Cantico dei Cantici e mistici).
Porta il titolo Contemplate, la terza delle lettere circolari che la Congregazione dei religiosi ha inviato ai consacrati in quest’anno della Vita consacrata. Dopo Rallegratevi (cf. Testimoni 6/2014 p. 16) e Scrutate (cf. Testimoni 11/2014 p. 5), la terza è uscita a dicembre 2015 con una settantina di pagine e 74 numeri. Il tema e l’esperienza della contemplazione vengono svolti in tre tappe (cercare – dimorare – formare), secondo un doppio registro di riferimento (Cantico dei Cantici e l’esperienza mistica, in particolare di santa Teresa d’Avila e Giovanni della Croce) ed entro una forma unitaria rispetto alla consueta distinzione fra vita attiva e contemplativa (anche se non mancano alcune pagine specifiche sul monachesimo).
La tesi di fondo non nasce da una teoria spirituale, ma dall’incrocio fra le attuali esigenze di rinnovamento, il tema fondamentale dell’amore di Dio e la gratitudine per il dono di grazia ricevuto. La contemplazione non è il territorio finale ed esclusivo di percorsi riservati a pochi. È compito di ogni sequela che trova particolare urgenza e riconoscibilità nella vita religiosa. L’impegno è di «custodire la contemplazione, questa dimensione contemplativa verso il Signore e anche nei confronti del mondo, contemplare la realtà, come contemplare le bellezze del mondo, e anche i grossi peccati della società, le deviazioni, tutte queste cose, e sempre in tensione spirituale … Per questo la vostra vocazione è affascinante, perché è una vocazione che è proprio lì, dove si gioca la salvezza non solo delle persone, ma delle istituzioni» (papa Francesco agli istituti secolari, maggio 2014). La relazione dell’amore per Dio che la contemplazione custodisce e alimenta è «risonanza e frutto della stessa natura di Dio. La creatura che ama si umanizza, ma al tempo stesso sperimenta anche l’inizio di un processo di divinizzazione perché Dio è amore» (n. 2).
Scrittura
e mistica
Il doppio registro del Cantico dei cantici e degli scritti mistici di Teresa d’Avila e Giovanni della Croce si incrocia praticamente in ogni pagina. Se il riferimento biblico è fondamentale, la testimonianza mistica ne è il commento e l’attuazione. Scegliere il Cantico come cantus firmus (melodia) di una riflessione spirituale sulla vita consacrata non è senza coraggio. Il libro biblico è la celebrazione della forza dell’amore umano fra un uomo e la sua donna e allegoricamente rimanda al rapporto di Dio con Israele e di Cristo con la Chiesa. Il linguaggio dell’amore porta all’evidenza il fatto «che la vita non procede per imposizione di comandi o costrizioni, non procede per regole ma in forza di un’estasi, di un incanto, di un rapimento che porta fuori di sé, mette in cammino e legge la storia in chiave relazionale, comunionale, agapica» (n. 2). Consacrarsi a Dio significa questo e il Cantico diventa l’itinerario del cuore verso Dio. Alla luce del Cantico la vita consacrata appare una vocazione all’amore che ha sete del Dio vivente, che accende nel mondo la ricerca del Dio nascosto e che lo incontra nel volto dei fratelli.
Un esempio fra i molti del doppio registro (Scrittura e mistica) è nel n. 32, dove si dice: «L’intelligenza abbandona le proprie elucubrazioni e si unisce al cuore che invoca: “Mettimi come sigillo sul tuo cuore; come sigillo sul tuo braccio, perché forte come la morte è l’amore, tenace come il regno dei morti è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma divina!” (Ct 8,6). L’essere tutto intero entra nella vita di Dio, è guarito, integrato all’azione dello Spirito: l’Amore gli restituisce bellezza. La contemplazione diventa ferita dell’Amato che ci ricrea, presenza che ci abita: “O fiamma d’amore viva,/ che amorosamente ferisci/ della mia anima il più profondo centro!/ Poiché non sei più dolorosa,/ se vuoi, ormai finisci, / squarcia il velo di questo dolce incontro” (Giovanni della Croce, Cantico spirituale B, strofa 1,8).
Cercare
Il primo movimento è: cercare. Esso comporta fatica, impegno, costanza e la disponibilità a sfidare la notte e i suoi pericoli. Come dice papa Francesco: «La contemplazione è intelligenza, cuore, ginocchia». Il nostro contesto storico-civile non è dei più favorevoli. È un tempo «di naufragio e di caduta, di indifferenza e perdita di gusto. È indispensabile essere consapevoli di questo disagio che consuma i suoni dell’anima postmoderna, e ridestare nella fragilità il vigore delle radici» (n. 10), consapevoli che la vita cristiana impone una purificazione e una elevazione ben lontane da quella riduzione della fede a parentesi occasionale o a generici intimismi a cui porta la cultura prevalente.
Per essere «pellegrini in profondità» bisogna risvegliare l’inquietudine e la forza della domanda, «incamminarsi verso Cristo per centrare la vita in Lui» (n. 11). Pellegrino non è solo colui che conosce la fatica fisica del viaggio, ma anche colui che dà forma alla sua vita in ragione della ricerca di Dio. «Questo è il paradigma della vita di ogni cristiano, di ogni persona consacrata: la ricerca di Dio “si revera Deum quaerit” (se veramente cerca Dio). La parola latina quaerere non significa unicamente cercare, andare alla ricerca di qualcosa, darsi da fare per ottenere, ma anche chiedere, porre una domanda. L’essere umano è colui che chiede e cerca incessantemente» (n. 12). Lasciare che la presenza di Dio interroghi la nostra umanità significa porsi in una inquietudine che ha il suo corrispettivo nella inquietudine con cui il cuore di Dio si mette in relazione a quello dell’uomo. È un cammino che si sostiene nell’amore, ma non è senza prove, senza l’esperienza della notte. Con grande acume il card. Martini, ha identificato la notte come il luogo comune al non credente e alla sua ignoranza di Dio. Condividiamo assieme le difficoltà di credere. In nessun caso la fede si configura come possesso perché il Cercato non è un oggetto, ma un soggetto.
«Il passaggio attraverso la notte oscura è segnato dallo sfaldamento delle sicurezze per nascere a vita nuova. Si accede alla luce attraverso le tenebre, alla vita attraverso la morte, al giorno attraverso la notte: questo richiede la vita di fede» (n. 14).
Dimorare
La seconda stazione della contemplazione è: dimorare. Vi è una costellazione di termini che indicano il permanere nell’amore di Dio: la lode, la bellezza, la verità, l’eucaristia. Il linguaggio della lode traduce un’armonia relazionale che è verso Dio, ma anche verso le creature. Fiorisce all’interno dell’amore e intercetta i desideri più profondi.
Sia la tradizione d’Oriente come quella d’Occidente converge nell’indicare il percorso estetico come proprio dello Spirito: si va dalla bellezza alla Bellezza, dal penultimo all’Ultimo. Con una particolarità che lo distingue dall’estetismo sfibrato della cultura condivisa, quella che unisce nel crocifisso il massimo della bellezza e il massimo dell’obbrobrio. La bellezza è estatica, porta fuori di sé, colpisce la persona e l’innalza verso l’alto in un processo di conversione continua. Il pericolo che lo minaccia è il venir meno dell’invocazione a favore di un attivismo che inaridisce il cuore e giunge alla mondanità spirituale. Essa «si nasconde dietro apparenze di religiosità e persino di amore alla Chiesa, consiste nel cercare, al posto della gloria del Signore, la gloria umana e il benessere personale» (Francesco, EG 93).
La bellezza è lo splendore del vero, dice Tommaso, manifestazione della realtà profonda della vita. Per questo il discepolo non teme di guardare alla vita in tutta la sua contraddittoria realtà, perché la guarda con gli stessi occhi di Gesù. In parallelo allo sguardo vi è l’ascolto e le virtù ad esso coerenti come la costanza, l’attenzione, la consapevolezza. «La vita interiore esige l’ascesi del tempo e del corpo, chiede il silenzio come dimensione in cui dimorare; invoca la solitudine come essenziale momento di purificazione e integrazione personale; chiama alla preghiera nascosta, per incontrare il Signore che abita nel segreto e fare del proprio cuore la cella interiore» (n. 38).
In sintesi la capacità contemplativa è l’estensione nel vissuto della esperienza eucaristica. «L’eucaristia alimenta la Jesu dulcis memoria, invito per noi consacrati e consacrate affinché nello Spirito Santo la memoria di Gesù dimori nell’anima, nei pensieri, nei desideri come contemplazione che trasfigura la nostra vita e fortifica la nostra gioia. “Dal tempo in cui ti ho conosciuto, tu dimori nella mia memoria ed è qui che ti trovo, quando mi ricordo e gioisco di te”, afferma s. Agostino, mentre i Padri greci indicano la memoria continua di Gesù come frutto spirituale dell’eucaristia» (n. 41).
Formare
Il terzo movimento è: formare. Contemplare significa rendere visibile ad altri il percorso per assimilare i sentimenti di Gesù e sapere introdurre nel cammino di fede. Un passo fondamentale è quello di far fiorire l’efficacia pedagogica del mistero celebrato, di lasciare che l’eucaristia diventi catechesi, di introdurre all’assimilazione del rito come la lectio introduce alla comprensione del testo scritturistico. È ciò che viene indicato come mistagogia.
Un secondo passo è il passaggio dalla contemplazione della croce alla visione dei molti crocifissi della storia. «Dalle croci del mondo, oggi altre vittime della violenza, quasi altri “cristi” pendono umiliati, mentre il sole si oscura, il mare diventa amaro e i frutti della terra, maturati per la fame di tutti, si spartiscono per l’avidità di pochi. Risuona l’invito a purificare lo sguardo per contemplare l’enigma pasquale della salvezza vivo e operante nel mondo e nei nostri contesti» (n. 49).
Appartiene alla formazione contemplativa la tradizionale apertura della vita consacrata alla bellezza e alla sua sacralità. «La riflessione contemporanea spesso in bilico tra spiritualizzazione della natura ed estetizzazione del sentire ha finito per trascurare il valore conoscitivo e formativo del bello, il suo significato di verità, confinandolo in un’ambigua zona d’ombra o relegandolo nell’effimero. Occorre ricucire il nesso vitale con il significato antico e sempre nuovo della bellezza quale luogo visibile e sensibile dell’infinito mistero dell’Invisibile» (n. 52). La dottrina tradizionale dei sensi spirituali, in analogia ai sensi del corpo, suggerisce lo sviluppo dell’uomo interiore verso la bellezza eterna, grazie anche alla musica, all’arte, alla poesia. La nuova cultura digitale e le sue risorse comunicative possono entrare in quest’ottica. È necessario per questo coltivare un «pensiero aperto», capace di accogliere le diversità, i mutamenti, gli imprevisti come possibili segni dei tempi.
Frutto della formazione contemplativa è la prossimità della misericordia, la vicinanza dei volti. Il programma del cristiano è un cuore che vede. Contempla i volti e la natura: «Siamo presenti in questa danza del creato nella modalità umile dei cantori e dei custodi» (n. 60).
Le ultime pagine sono dedicate alla vita contemplativa e si chiudono con due esempi, in qualche maniera riassuntivi dell’intero percorso: Etty Hillesum e Christian de Chergé, vittima della Shoah la prima, del martirio dei monaci di Tibhirine, il secondo. La giovane ebrea riscopre in se stessa la verità profonda dell’umano in cui sopravvive la presenza di un Dio segnato dalla piccolezza e dall’im-potenza. Il monaco affida la sua prevedibile uccisione per condividere con il Padre la visione dei suoi figli, come Lui li vede, totalmente illuminati dalla gloria di Cristo, al di là delle loro differenze anche di fede. Il martirio mostra tutta la forza testimoniante della contemplazione.
Lorenzo Prezzi