Tre tappe di grande speranza
2016/1, p. 6
Ha incontrato e toccato le realtà concrete e si è fatto
voce per chi non ne ha. Un gesto forte è stato di aprire
la Porta Santa a Bangui. Nei martiri dell’Uganda ha
indicato la forza della Chiesa. Ai religiosi/e ha ricordato
che la fedeltà è possibile soltanto con la preghiera.
Accedi alla tua area riservata per visualizzare i contenuti.
Questo contenuto è riservato agli abbonati a
Testimoni
.
Il viaggio del Papa in Africa
TRE TAPPE
DI GRANDE SPERANZA
Ha incontrato e toccato le realtà concrete e si è fatto voce per chi non ne ha Un gesto forte è stato di aprire la Porta Santa a Bangui. Nei martiri dell’Uganda ha indicato la forza della Chiesa. Ai religiosi/e ha ricordato che la fedeltà è possibile soltanto con la preghiera.
La religione non va usata per giustificare la violenza. La prima tappa di Nairobi del viaggio del Papa (in Africa dal 25 al 30 novembre), ha portato parole nette in proposito. «Il Dio che noi cerchiamo di servire è un Dio di pace. Il suo santo Nome non deve mai essere usato per giustificare l’odio e la violenza». Tema ripreso nella Repubblica Centroafricana, dove lo scontro di potere in atto per il controllo del paese e delle sue vaste ricchezze viene rivestito da motivi religiosi. In Kenya ha avuto parole dure contro il fondamentalismo religioso e la corruzione. In Uganda ha incitato la Chiesa locale a guardare all’esempio dei martiri e a rinnovarsi profondamente. Nella Repubblica Centroafricana, la tappa senz’altro più intensa e toccante – a dispetto delle appena 26 ore passate nel paese – l’apertura della Porta Santa della cattedrale di Bangui è diventata il punto focale di tutto il percorso africano. Il tema che lega passato e presente – uno dei fili conduttori dei discorsi – è il tribalismo e il freno allo sviluppo dei diversi paesi, lacerati da tensioni e conflitti che spesso vengono fomentati dall’esterno.
Chiesa, contesti
e il messaggio
Il «tribalismo» è una piaga sociale che papa Francesco ha condannato e invitato a superare, parlando ai giovani nello stadio Kasarani a Nairobi. «Il tribalismo può essere vinto soltanto con l’ascolto, con il cuore e con la mano». Nel discorso pronunciato interamente a braccio in lingua spagnola, il Papa ha osservato che il tribalismo «distrugge una nazione, vuol dire tenere le mani nascoste dietro di noi e avere una pietra in ogni mano per lanciarla contro l’altro», ma che di fronte alle difficoltà della vita si può scegliere tra il «cammino di distruzione» e l’opportunità di superarle.
Nairobi è anche sede degli organismi delle Nazioni Unite. Incontrando i diplomatici il Papa ha parlato della necessità di un «cambio di rotta». «Nulla sarà possibile se le soluzioni politiche e tecniche non vengono accompagnate da un processo educativo che promuova nuovi stili di vita». «La promozione della coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti»: solo «questa consapevolezza di base» può permettere «lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita». Emerge così, ha concluso Francesco citando la Laudato si’, «una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione che abbiamo il tempo di portare a lungo termine».
Tra i temi sociali, a Nairobi il Papa ha avuto parole dure contro la corruzione (esiste «anche in Vaticano», «è uno zucchero facile, ci fa diventare diabetici e tutto il nostro paese diventa diabetico», «non prendete gusto a questo zucchero che si chiama corruzione») che corrode la convivenza. Ha parlato del vivere insieme a Nairobi, una megalopoli segnata da violenza e criminalità: «né sradicamento, né paternalismo, né indifferenza, né semplice contenimento. Abbiamo bisogno di città integrate e per tutti. Abbiamo bisogno di andare oltre la mera declamazione di diritti che, in pratica, non sono rispettati, e attuare azioni sistematiche che migliorino l’habitat popolare e progettare nuove urbanizzazioni di qualità per ospitare le generazioni future». «Il debito sociale, il debito ambientale con i poveri delle città – ha ammonito – si paga concretizzando il sacro diritto alla terra, alla casa e al lavoro (le tre ‘t’: tierra, techo, trabajo). Non è filantropia, è un dovere di tutti». Di qui l’appello a tutti i cristiani, in particolare al clero, a «rinnovare lo slancio missionario, a prendere l’iniziativa contro tante ingiustizie, a coinvolgersi nei problemi dei cittadini, ad accompagnarli nelle loro lotte, a custodire i frutti del loro lavoro collettivo e a celebrare insieme ogni piccola o grande vittoria».
Il ruolo sociale
della Chiesa
I gesti di papa Francesco anche in questo viaggio sono stati molto intensi. Si è recato a visitare diverse opere di carità gestite dalla Chiesa nei diversi paesi e ha incontrato e toccato con mano la realtà concreta, per dare effettivamente voce a chi voce non ha. In Uganda ha rivolto un appello a non dimenticare i poveri. In Centroafrica, al campo profughi del St. Sauveur ha sottolineato che «ognuno di noi deve fare qualcosa» per superare le difficoltà, le divisioni e vivere in pace «perché tutti siamo fratelli. Mi piacerebbe che tutti ripetiamo insieme: tutti siamo fratelli». E la gente ha ripetuto in coro.
L'incontro con i profughi, gli sfollati, i settori disagiati e poveri, ha segnato il viaggio nelle tre tappe e ha indicato una volta di più la strada da percorrere. «Questo luogo – ha osservato nella visita alla Casa della carità di Nalukolongo in Uganda fondata dal cardinale Nsubuga – è sempre stato legato all’impegno della Chiesa nei confronti dei poveri, dei disabili e dei malati. Qui, nei primi tempi, dei bambini sono stati riscattati dalla schiavitù e delle donne hanno ricevuto un’educazione religiosa».
Francesco ha ringraziato le suore del Buon Samaritano che portano avanti l’opera e ha ricordato in particolare il «grande e fruttuoso lavoro fatto con le persone malate di Aids». Il Vangelo «ci impone di uscire verso le periferie della società e di trovare Cristo nel sofferente e in chi è nel bisogno. Il Signore ci dice, con parole inequivocabili, che ci giudicherà su questo». Né poteva mancare un riferimento alla famiglia. «La salute di qualsiasi società dipende sempre dalla salute delle famiglie». «La società del Kenya è stata a lungo benedetta con una solida vita familiare, con un profondo rispetto per la saggezza degli anziani e con l’amore verso i bambini».
Nella Repubblica Centroafricana papa Francesco ha aperto la Porta Santa della Cattedrale di Bangui. Un gesto di speranza per il paese e per tutta la Chiesa universale in vista del Giubileo. Non a caso il Papa ha detto, parlando a braccio, che «l'Anno Santo qui arriva in anticipo» e Bangui «diventa la capitale spirituale della preghiera per la Misericordia», una conclusione coerente con i forti contenuti portati all’attenzione del clero e degli operatori pastorali.
Ma soprattutto al clero. Ai seminaristi, in Kenya ed in Uganda, papa Francesco ha ribadito che nessuno è costretto a fare il sacerdote; se non si ha la necessaria ispirazione evangelica e si vuole solo fare carriera, allora è meglio scegliere un'altra strada. Se un religioso o una religiosa, un sacerdote smette di pregare o prega poco perché dice che ha molto lavoro, ha detto a Kampala, già ha iniziato a perdere la memoria e la fedeltà. Preghiera significa anche umiliazione, l’umiliazione di andare regolarmente dal confessore, a dire i propri peccati. «Non si può zoppicare con entrambe le gambe». «Tutti coloro che si sono lasciati scegliere da Gesù – ha osservato Francesco nel discorso a braccio, pronunciato in spagnolo a Nairobi – sono lì per servire il popolo di Dio, per servire i poveri, i più scartati, i più lontani della società, i bambini e gli anziani, per servire anche le persone che non hanno coscienza della superbia e del peccato che loro stessi vivono, per servire Gesù».
«Circa un anno fa – ha raccontato – c’era un incontro di sacerdoti, durante gli esercizi spirituali ogni giorno c’era un turno di sacerdoti che dovevano servire a tavola. Alcuni di loro si lamentavano, ‘noi dobbiamo essere serviti, noi abbiamo pagato per essere serviti’». «Servire, non servirsi degli altri (…) Mi diceva un cardinale anziano, aveva un anno più di me – ha proseguito il Papa – che quando andava ai cimiteri, dove erano sepolti missionari e missionarie, religiosi e religiose che avevano dato la loro vita, si domandava: perché queste persone non vengono canonizzate domani?». «Perché hanno passato la loro vita servendo», la risposta. «Mi tocca l’anima», ha confessato il Papa, «mi emoziona sentire un sacerdote, una religiosa dire: “Sono 30, 40 anni che sono in questo ospedale o nella missione”. Quest’uomo ha capito che si segue Gesù per servire gli altri, non per servirsi degli altri».
Pregate,
siate fedeli!
Per comprendere meglio il ruolo che la Chiesa può svolgere possiamo considerare più da vicino alcuni passaggi delle omelie durante gli incontri con le realtà ecclesiali locali. A causa della brevità dei tempi non ci sono stati incontri particolari con consacrati e consacrate, bensì con tutte le componenti ecclesiali. Anche così le indicazioni arrivate sono state precise e nette.
In Kenya, ad esempio, Papa Francesco è stato estremamente diretto. «Vorrei darvi un messaggio che viene dal mio cuore per voi: che mai vi allontaniate da Gesù. Questo vuol dire non smettere mai di pregare. “Padre, però, qualche volta è così noioso pregare… Ci si stanca, ci si addormenta…”. Va bene, dormite davanti al Signore: è un modo di pregare. Ma restate lì, davanti a Lui. Pregate! Non lasciate la preghiera! Se un consacrato lascia la preghiera, l’anima si secca, si inaridisce come quei rami secchi: sono brutti, hanno un aspetto brutto. L’anima di una religiosa, di un religioso, di un sacerdote che non prega, è un’anima brutta! Perdonatemi, ma è cosi… Vi lascio questa domanda: io tolgo tempo al sonno, tolgo tempo alla radio, alla televisione, alle riviste, per pregare? O preferisco queste altre cose? Quindi mettersi davanti a Colui che ha iniziato l’opera e che la sta portando a compimento in ciascuno di noi».
In Uganda ha cercato di collegare l’esperienza del martirio di ieri con lo stimolo che deve dare all’opera ecclesiale di oggi, insistendo sull’idea di fedeltà. «Fedeltà, che è possibile soltanto con la preghiera. Noi religiosi, religiose, sacerdoti non possiamo condurre una doppia vita. Se sei peccatore, se sei peccatrice, chiedi perdono. Ma non tenere nascosto quello che Dio non vuole; non tenere nascosta la mancanza di fedeltà. Non chiudere nell’armadio la memoria. Memoria, nuove sfide - fedeltà alla memoria - e preghiera. E la preghiera incomincia sempre con il riconoscersi peccatori. Con queste tre colonne la “perla dell’Africa” continuerà ad essere perla e non soltanto una parola del dizionario. Che i martiri, che hanno dato forza a questa Chiesa, vi aiutino ad andare avanti nella memoria, nella fedeltà e nella preghiera».
A Bangui, nella Repubblica Centroafricana, il messaggio ha preso una forza diversa. «La salvezza di Dio annunciata riveste il carattere di una potenza invincibile che avrà la meglio su tutto. Infatti, dopo aver annunciato ai suoi discepoli i segni terribili che precederanno la sua venuta, Gesù conclude: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28). E se san Paolo parla di un amore “che cresce e sovrabbonda”, è perché la testimonianza cristiana deve riflettere questa forza irresistibile di cui si tratta nel Vangelo. È dunque anche in mezzo a sconvolgimenti inauditi che Gesù vuole mostrare la sua grande potenza, la sua gloria incomparabile (cfr Lc21,27) e la potenza dell’amore che non arretra davanti a nulla, né davanti ai cieli sconvolti, né davanti alla terra in fiamme, né davanti al mare infuriato. Dio è più potente e più forte di tutto. Questa convinzione dà al credente serenità, coraggio e la forza di perseverare nel bene di fronte alle peggiori avversità. Anche quando le forze del male si scatenano, i cristiani devono rispondere all’appello, a testa alta, pronti a resistere in questa battaglia in cui Dio avrà l’ultima parola. E questa parola sarà d’amore e di pace!».
A viaggio concluso, a Giubileo oramai iniziato, spenti i riflettori sul viaggio africano, resta da vedere se la Chiesa, nel suo complesso, metterà a punto modalità concrete e procedure di selezione e azione adeguate per rendere effettiva la testimonianza dei diversi operatori pastorali e seguire le indicazioni di papa Francesco.
Fabrizio Mastrofini