46° Giornata mondiale della pace
2016/1, p. 8
L’annuncio: «Dio non è indifferente! A Dio importa
dell’umanità, Dio non l’abbandona!», apre il messaggio
e dà forza all’invito «a non perdere la speranza nella
capacità dell’uomo, con la grazia di Dio, di superare
il male e a non abbandonarsi alla rassegnazione e all’indifferenza
».
49° giornata mondiale della pace
«Vinci l’indifferenza e conquista la pace»
Il messaggio di papa Francesco per la 49° giornata mondiale della pace è un appello alla responsabilità «di ogni uomo e ogni donna, di ogni famiglia, popolo e nazione del mondo, dei Capi di Stato e di Governo e dei Responsabili delle religioni», per «realizzare la giustizia, vincere l’indifferenza e operare per la pace».
L’annuncio: «Dio non è indifferente! A Dio importa dell’umanità, Dio non l’abbandona!», apre il messaggio e dà forza all’invito «a non perdere la speranza nella capacità dell’uomo, con la grazia di Dio, di superare il male e a non abbandonarsi alla rassegnazione e all’indifferenza». A conferma di questa capacità, papa Francesco ricorda « lo sforzo fatto per favorire l’incontro dei leader mondiali nell’ambito della COP 21, al fine di cercare nuove vie per affrontare i cambiamenti climatici e salvaguardare il benessere della Terra, la nostra casa comune». E associa l’evento al «Summit di Addis Abeba per raccogliere fondi per lo sviluppo sostenibile del mondo» e all’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, «finalizzata ad assicurare un’esistenza più dignitosa a tutti, soprattutto alle popolazioni povere del pianeta, entro quell’anno».
Vincere l’indifferenza
«L’indifferenza costituisce una minaccia per la famiglia umana»: sotto forma di falso umanesimo, di materialismo pratico, di cinismo, «con un pensiero relativistico e nichilistico», ha assunto «una dimensione globale» e planetaria. «La prima forma di indifferenza nella società umana è quella verso Dio, dalla quale scaturisce anche l’indifferenza verso il prossimo e verso il creato».
Molte persone conoscono vagamente i drammi che affliggono l’umanità e «non si sentono coinvolte, non vivono la compassione», quasi assuefatte alla realtà. «L’aumento delle informazioni, proprio del nostro tempo, non significa di per sé aumento di attenzione ai problemi, se non è accompagnato da un’apertura delle coscienze in senso solidale». Papa Francesco riprende quanto già aveva affermato Benedetto XVI nella sua enciclica Caritas in veritate: «La società sempre più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. La ragione, da sola, è in grado di cogliere l’uguaglianza tra gli uomini e di stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la fraternità» (n.19).
A livello individuale e comunitario «l’indifferenza verso il prossimo assume l’aspetto dell’inerzia e del disimpegno, che alimentano il perdurare di situazioni di ingiustizia e grave squilibrio sociale». Quando investe il livello istituzionale, «l’indifferenza nei confronti dell’altro, della sua dignità, dei suoi diritti fondamentali e della sua libertà, unita a una cultura improntata al profitto e all’edonismo, favorisce e talvolta giustifica azioni e politiche che finiscono per costituire minacce alla pace. Tale atteggiamento di indifferenza può anche giungere a giustificare alcune politiche economiche deplorevoli, foriere di ingiustizie, divisioni e violenze».
Dall’indifferenza alla misericordia: la conversione del cuore
Per vincere l’indifferenza, è necessario fare nostri gli atteggiamenti di Dio. Ripercorrendo alcuni episodi della storia della salvezza, dalla prima fraternità tradita (Gen 4,1-16) al popolo schiavo in Egitto, papa Francesco evidenzia «i verbi che descrivono l’intervento di Dio: Egli osserva, ode, conosce, scende, libera. Dio non è indifferente. È attento e opera» e chiama l’uomo «alla responsabilità nei confronti del suo simile». Nel suo Figlio Gesù, «Dio è sceso fra gli uomini, si è incarnato e si è mostrato solidale con l’umanità, in ogni cosa, eccetto il peccato». Gesù non solo insegna alle folle, ma si preoccupa di loro, specialmente quando le vede affamate (Mc 6,34-44) o disoccupate ( Mt 20,3). «Egli vede, certamente, ma non si limita a questo, perché tocca le persone, parla con loro, agisce in loro favore e fa del bene a chi è nel bisogno, si lascia commuovere e piange (Gv 11,33-44). E agisce per porre fine alla sofferenza, alla tristezza, alla miseria e alla morte. Nella parabola del buon samaritano (Lc 10,29-37) denuncia l’omissione di aiuto dinanzi all’urgente necessità dei propri simili». È una lezione per «imparare a fermarsi davanti alle sofferenze di questo mondo per alleviarle, alle ferite degli altri per curarle, con i mezzi di cui si dispone, a partire dal proprio tempo, malgrado le tante occupazioni». In proposito il Papa ripropone alla riflessione quanto già espresso nella Bolla di indizione del Giubileo Misericordiæ Vultus (n.13): «siamo chiamati a fare dell’amore, della compassione, della misericordia e della solidarietà un vero programma di vita, uno stile di comportamento nelle nostre relazioni gli uni con gli altri».
Promuovere una cultura di solidarietà e misericordia per vincere l’indifferenza
Papa Francesco rivolge il suo messaggio anche a chi ha «responsabilità di carattere educativo e formativo». Innanzitutto alle famiglie, ambito primo e privilegiato per trasmettere «i valori dell’amore e della fraternità, della convivenza e della condivisione, dell’attenzione e della cura dell’altro». Agli educatori e a tutti i responsabili delle istituzioni educative. Agli operatori culturali e dei mezzi di comunicazione sociale che «hanno responsabilità nel campo dell’educazione e della formazione», con l’importante compito di «porsi al servizio della verità e non di interessi particolari», vigilando «affinché il modo in cui si ottengono e si diffondono le informazioni sia sempre giuridicamente e moralmente lecito».
Il Papa ricorda anche le tante organizzazioni non governative e i gruppi caritativi, «all’interno della Chiesa e fuori di essa», che in occasione di epidemie, calamità o conflitti armati, affrontano fatiche e pericoli per portare soccorso ai migranti, per curare i feriti e gli ammalati e per seppellire i morti. Il suo pensiero va anche «ai giornalisti e fotografi che informano l’opinione pubblica sulle situazioni difficili che interpellano le coscienze, e a coloro che si impegnano per la difesa dei diritti umani, in particolare quelli delle minoranze etniche e religiose, dei popoli indigeni, delle donne e dei bambini, e di tutti coloro che vivono in condizioni di maggiore vulnerabilità. Tra loro ci sono anche tanti sacerdoti e missionari che, come buoni pastori, restano accanto ai loro fedeli e li sostengono nonostante i pericoli e i disagi, in particolare durante i conflitti armati».
Gesti concreti nel Giubileo della Misericordia
L’ultima parte del messaggio è un appello a un «impegno concreto per contribuire a migliorare la realtà in cui si vive, a partire dalla propria famiglia, dal vicinato o dall’ambiente di lavoro». Anche gli Stati sono chiamati a gesti concreti nei confronti delle persone più fragili delle loro società, come i prigionieri, i migranti, i disoccupati, i malati: abolire la pena di morte, concedere un’amnistia; ripensare legislazioni sulle migrazioni, «nel rispetto dei reciproci doveri e responsabilità»; creare posti di lavoro dignitoso; garantire a tutti i malati «l’accesso alle cure mediche e ai farmaci indispensabili per la vita, compresa la possibilità di cure domiciliari». I responsabili degli Stati sono chiamati a rinnovare le loro relazioni con gli altri popoli: «astenersi dal trascinare gli altri popoli in conflitti o guerre che ne distruggono non solo le ricchezze materiali, culturali e sociali, ma anche l’integrità morale e spirituale»; cancellare o gestire in modo sostenibile il debito internazionale degli Stati più poveri; adottare «politiche di cooperazione che, anziché piegarsi alla dittatura di alcune ideologie, siano rispettose dei valori delle popolazioni locali».
«Non perdiamo la speranza che il 2016 ci veda tutti fermamente e fiduciosamente impegnati», per un mondo più fraterno e solidale.
Anna Maria Gellini