Cabra Piergiordano
Il cardinal Pironio. Un precursore di papa Francesco?
2016/1, p. 5
Il cardinal Eduardo Pironio aveva molto in comune con il futuro papa Francesco, a partire dalle origini: entrambi argentini, entrambi figli di emigranti italiani, che avevano portato con sé la solida fede delle loro terre, entrambi, una volta nominati vescovi, si erano distinti per la loro vicinanza, talvolta rischiosa, al popolo sofferente che li amava e li ascoltava. Entrambi leader riconosciuti nel continente latino americano. Entrambi chiamati a Roma a servire la Chiesa universale.
IL CARDINAL PIRONIO
Un precursore di papa Francesco?
Il cardinal Eduardo Pironio aveva molto in comune con il futuro papa Francesco, a partire dalle origini: entrambi argentini, entrambi figli di emigranti italiani, che avevano portato con sé la solida fede delle loro terre, entrambi, una volta nominati vescovi, si erano distinti per la loro vicinanza, talvolta rischiosa, al popolo sofferente che li amava e li ascoltava. Entrambi leader riconosciuti nel continente latino americano. Entrambi chiamati a Roma a servire la Chiesa universale.
Se i Bergoglio erano piemontesi, i Pironio erano friulani di Percoto. E al suo Friuli resterà sempre affezionato, tanto da trascorrere le ferie annuali, da quando era in Italia, in una località, tanto vicina al luogo delle sue origini quanto lontana dalle attrazioni turistiche.
Pironio, nato poco meno d’una ventina d’anni prima, tirerà la volata al suo connazionale, portando a Roma una brezza innovatrice che ha preparato il ciclone Bergoglio.
Paolo VI che lo aveva chiamato a predicare gli esercizi alla Curia Romana, rimase impressionato della sua carica evangelica e della sua spiritualità, da metterlo subito a capo del dicastero che presiede alla Vita Consacrata, dicendogli testualmente:”So che soffre molto per ciò che deve lasciare e per la croce che io ho posto sulle sue spalle. Sì, è pesante, ma la porteremo insieme. E aggiungo che lei ha a che fare con una porzione privilegiata della Chiesa. Non solo ma oso prevedere che presto lei sarà immensamente felice”.
“E veramente io lo sono”, scriverà in seguito, “soprattutto perché il mio servizio nella Chiesa universale consiste nell’animare la vita consacrata”.
È qui che ebbi la gioia di conoscerlo e di frequentarlo, confessandogli un giorno, tra le sue cordiali risate, che lui aveva smentito clamorosamente ai miei occhi la perfida battuta circa i cardinali, che sarebbero stati “amici inutili e nemici pericolosi”, essendo lui riuscito a dimostrare d’essere un amico “utile” per il suo esemplare comportamento, e d’essere incapace di inimicizia verso nessuno, avendo preso sul serio il Vangelo.
In compenso non gli mancarono i nemici, che non condividevano proprio questo suo stile di animazione, fatto più di incoraggiamento che di interventi disciplinari, di vicinanza, di comprensione delle difficoltà col trovare diversi equilibri fra antico e nuovo. Anticipava Bergoglio, ma i tempi non erano maturi, come si suol dire eufemisticamente.
Qualcuno fece tali pressioni che, da un giorno all’altro, si trovò “promosso allo stato laicale” e senza preavviso.
Me lo disse sorridendo, con un velo di mestizia negli occhi, ma senza recriminazioni, nonostante l’insolita decisione che sembrava “retrocederlo” a presiedere l’organismo preposto ai laici.
E fu una benedizione per i laici e per il loro Consiglio, che prese nuovo smalto, perché con lui si organizzarono e si perfezionarono le grandiose giornate mondiali della gioventù.
E anche qui seppe presentare il volto materno e fraterno della Chiesa, anche qui conquistò quelli che lo accostavano con il suo limpido spirito evangelico, con la sua spiritualità pasquale, che sapeva vedere segnali di speranza anche nelle situazioni più intricate.
Credeva più nel miele che nell’aceto, più nelle motivazioni che nelle imposizioni, più nelle mete da indicare che nei pericoli da segnalare, più nella forza trainante della spiritualità che nella moltiplicazione delle norme.
Non amareggiò nessuno e da nessuno si lasciò amareggiare. Seppe trarre gioia anche nelle incomprensioni, perché, affermava, “solo la gioia è credibile”.
Specie quando la gioia viene dalla interiore sicurezza di essere alla sequela di Cristo.
L’ultima volta che lo vidi mi disse: “Ho un tumore osseo. Prega per me”. Mi abbracciò. Sapeva di dover soffrire molto.
Il suo segretario mi confidò, proprio in questi giorni, che giunto alla fine, rifiutò la morfina, per morire come Cristo, offrendo la sua vita per la Chiesa.
È già introdotta la causa di beatificazione di questo testimone del mistero pasquale, celebrato, annunciato, vissuto.
Piergiordano Cabra